martedì 28 maggio 2013

Sono a casa





Nel buddhismo la liberazione avviene attraverso l'intuizione, non attraverso la grazia, e quell'intuizione non sarà possibile senza la pratica della meditazione e del guardare in profondità.

Non perdete neanche un minuto delle vostre giornate, ogni minuto della vostra giornata può essere utilizzato per generare l'energia della presenza mentale: camminando, respirando, sedendo.

Inspirate, godetevi il vostro respiro e dite: "Sono arrivato".  Lo scopo è smettere di correre. Quando espirate dite: "Sono a casa", e la vostra casa comincerà a rivelarvisi.

da un discorso di Thich Nhat Hanh






venerdì 24 maggio 2013

Lettera dalla gentilezza







 

“La mia religione è la gentilezza”  dice il Dalai Lama.

Questa gentilezza non va confusa con la forma, le buone maniere, la “politeness”. E’ una qualità del cuore, una gentilezza nel senso di benevolenza, di amorevolezza, una qualità dell’essere, non una norma o il segno di una distinzione sociale.

Il modo in cui trattiamo gli esseri viventi e anche gli oggetti riflette la qualità del nostro essere, che è inseparabile da noi stessi. 

Quando siamo “gentili per paura”, paura fisica o timore di essere giudicati, non siamo veramente gentili, semplicemente non siamo, ci rifugiamo nell’assenza e ci nascondiamo dietro compiacenze, cautele, remissività e false modestie.

La gentilezza si unisce all’esserci, qui e ora, e al sapere di esserci: non al desiderio di annullarsi e scomparire.

Talvolta la pratica della gentilezza, verso altri o verso noi stessi, non ci è possibile, ma è possibile respirare, allora respiriamo e pratichiamo la gentilezza restando aperti e consapevoli della condizione di non-gentilezza.
 
 
 
 

sabato 18 maggio 2013

Com’è subitaneo e cambia








Mi fermo a conversare con il merlo

fermo sulla sella d’edera arida

addosso al muro e al cancello

che cinge la villa in sommo

intrepido all’inverno.

Sotto il fitto nevischio dove

il piumaggio lo ripara con il becco

giallo taglia il silenzio o piuttosto

lo nutre e ammanta sotto l’ala.

Quanto la vita tua è lunga?-lo interrogo

Dove ritorni alla tua casa?

Or’è poco le persiane

erano aperte il fervore dei lumi

riscaldava il giardino e la strada

adesso è muta la dimora

e sbarrata. Dall’alto del cenobio

scende l’oscurità un momento un altro

e il mio amico è scomparso.
 
 
da Tieni aperto, di Michele Colafato, IL LABIRINTO

mercoledì 15 maggio 2013

Dove far luce


 
 
Di quando in quando Shunryu Suzuki ritornava a ricordare: “Nel Sutra del Loto, Buddha dice di illuminare un angolo –non il mondo intero. Fai luce proprio dove sei.”

Non si cessa mai di imparare da questa indicazione, non è mai compresa una volta per tutte, ogni occasione è buona per riconsiderarla e offrirne testimonianza. Possiamo praticare momento dopo momento l’intera nostra vita senza mai annoiarci e senza mai averne abbastanza: “Fai luce proprio dove sei.”  

La frase fa il paio con la risposta di Shunryu alla moglie Mitsu a proposito del buddhismo: le due si sostengono qualificano e interpretano a vicenda.

La domanda era: “In poche parole, il buddhismo in che cosa consiste?”
Shunryu aveva risposto: “Accetta quello che è così com’è e adoperati meglio che puoi perché sia il meglio che può essere.”




giovedì 9 maggio 2013

La via e il cammino




La via verso la meta non è lineare, e il cammino non è lineare.

Sentiamo un discostamento, una faglia che si è aperta rispetto alla tradizione -che è rimasta al di là della faglia come un reperto, un’appartenenza del passato. Però non è detto che la tradizione non abbia senso. La vita è trovare, non chiudersi al trovare, facendosi bloccare dal concetto, dalla parola. Il concetto tradizione, la parola tradizione, come altri concetti, altre parole.

Andare nella Zona, con Stalker, è andare in un luogo fuori mano, proibito, anche pericoloso, dove a condizione di fiducia, coraggio, si possono trovare verità vitali. L’origine e la natura di questo luogo, della Zona, è misteriosa, e sappiamo che esige rispetto.

Krishnamurti dice che la Verità è una terra senza sentieri. Questo può significare che la tradizione, il sentiero della tradizione, è un concetto, non è una realtà ma diventa reale quando si resta prigionieri di questo concetto e lo si considera invalicabile, come quando diciamo la tradizione è roba del passato. 

Tradizione è un concetto, se entriamo in un concetto troveremo un concetto, se entriamo in una tradizione senza praticarla come tradizione ma portati dalla pratica di quel che è bene, che è fatta di fiducia, allora potremo trovare qualcosa di prezioso.

Nella tradizione letteraria cristiana è presente, grazie a Dante, la figura del maestro, individuato in Virgilio. Anche il maestro può diventare un concetto, se cerchiamo il concetto di maestro a cui chiediamo questo o quest’altro, allora resteremo delusi o costruiremo un feticcio. Se troviamo qualcosa di buono, in quel momento abbiamo trovato un maestro, anche se il maestro, il guru, inteso come Qualcuno che ci dice quello che dobbiamo fare richiama un concetto e una parola del passato, della tradizione. Ciò non toglie che se lo interpelliamo nel momento, in quel momento può anche dirci di far qualcosa che per noi è bene.

Andrej Tarkovskij (1932-1986), regista, autore di Stalker e di Andrej Rublev, dice di quest’ultimo, il pittore di icone: “..visse una vita complessa, aveva studiato nel monastero della Santa Trinità con il maestro, padre Sergeij di Radonec, ma la sua vita la trascorse diversamente da come gli era stata insegnata e giunse a guardare il mondo con gli stessi occhi del suo maestro soltanto alla fine della sua vita, soltanto dopo averla vissuta a modo suo.”

Dobbiamo tener presente che nella pratica, nella realtà, questa materia è inevitabilmente complicata dai concetti e dalle concettualizzazioni che ci pre-cedono e ci ingabbiano prima che noi contattiamo la realtà così com’è.

Ugualmente si potrebbe dire, come pare suggerire Itaca, la bella poesia di Kavafis, che la parte più importante del viaggio consiste nel ritorno. Anche  questo concetto, del ritorno, può essere utile nell’indicare che certe paure certi inquinanti ce li portiamo dentro, e se il cammino è sincero se i passi sono onesti lungo la via cadono o si trasformano perché non sono assoluti ma condizionati.

venerdì 3 maggio 2013

E se non puoi


 
 
E se non puoi la vita che desideri
cerca almeno questo
per quanto sta in te: non sciuparla..
 

La poesia prosegue ma noi possiamo, per ora, non seguire oltre e fermarci con il poeta sulla soglia della sua esortazione.
Abbiamo prestato attenzione alle sue parole? Abbiamo notato che ci invita a non sciupare la vita, proprio la vita che abbiamo, proprio questa vita, così com’è?
Anche se non è quella che desideriamo, anche se non realizza i desideri che ci sembrano irrinunciabili per la nostra felicità.
Forse quando la vita non corrisponde alle nostre aspettative e voglie la sciupiamo intenzionalmente. O forse la respingiamo senza rendercene conto.
Prendiamo il tempo qualche volta per chiederci se siamo in contatto con la vita, prendiamo lo spunto da un respiro, da un incontro, da una sensazione fisica, mentale, piacevole, spiacevole, dal fare di slancio quello che sentiamo essere bene, diamo un nome ai momenti che si susseguono, oppure fermiamoci per stare un po' nel vuoto, nel silenzio, evitiamo gli automatismi e le derive che chiamiamo vita.
Ci sono tante possibilità di sciuparla!
La vita si perde facilmente, scivola tra le dita.
E il modo più facile per perderla è non considerarla, non prestarle attenzione, non ascoltarla, così com’è, “per quanto sta in noi”.
 
§
 




E se non puoi la vita che desideri
cerca almeno questo
per quanto sta in te: non sciuparla
nel troppo commercio con la gente
con troppe parole in un via vai frenetico.

Non sciuparla portandola in giro
in balìa del quotidiano
gioco balordo degli incontri
e degli inviti,
fino a farne una stucchevole estranea.
Constantinos Kavafis, Cinquantacinque Poesie, Einaudi




mercoledì 1 maggio 2013

Lettera dalla paura


Molte persone hanno una gran paura della povertà, paura che i loro consumi, le loro risorse, le loro possibilità, anche comodità e agi, diminuiscano, hanno paura, invecchiando, di non aver mezzi sufficienti per essere adeguatamente curati e assistiti, hanno paura dell’idea stessa della povertà, anche di immaginarla, forse sono la maggioranza -mentre una minoranza, forse, si difende dalla stessa paura accumulando beni, risorse, ricchezze.
Oggi la paura della povertà è moltiplicata dall'ansia seminata a piene mani dalla mancanza di attenzione, dall'avidità di individui e gruppi e da politiche economiche irrispettose della vita e della tranquillità degli esseri viventi più indifesi.

Grazie alle condizioni familiari e alle circostanze economiche e sociali in cui sono cresciuto e divenuto adulto, la paura della povertà mi è stata finora risparmiata, ma le cose cambiano di continuo; mentre ne ho conosciuto altre di paure che hanno piegato la mia mente in altre direzioni, la paura di essere abbandonato, la paura di non essere approvato, l’incertezza, il senso di colpa, la sfiducia, la disistima, la ricerca di una copertura nel gruppo o nell’autorità.

Questa fragilità, che è inimmaginabile per chi non la soffre o non sfugga alla sofferenza torturando chi ne soffre, ho cominciato a riconoscerla a darle un nome e a muovere i primi passi per uscire dal suo regime quando ho incontrato il maestro John Garrie, e sento da allora che le paure possano essere comprese e lasciate andare grazie all’incontro con esseri capaci di accogliere, comunicare tranquillità, fiducia e amorevole gentilezza, e di insegnare quei mezzi abili che consentono di coltivare le qualità indispensabili per non essere dominati dalla paura e per uscire dalla gabbia di ferro dell’autocentratezza e autoreferenzialità dentro la quale la paura non può che crescere.

Se ci lasciamo prendere dalla paura, in rapporto alla sistemazione, al lavoro, al reddito, al “futuro”, finiamo dritto dritto nella prigione della mente e del cuore. A colpi di paura (di restare tagliato fuori dal gioco, di non avere quello che hanno gli altri) ci deprimiamo, ci tagliamo fuori da tutto-i e ci auto-condanniamo.
“Se non avessi incontrato una certa persona a un certo momento, se non avessi incontrato le parole di questa persona in quel momento –scrive Shundo Aoyama- che tipo di vita starei vivendo oggi? Il solo immaginarlo mi mette un groppo in gola. Ma dobbiamo ricordarci che anche se un grande maestro sta di fronte a noi per spiegarci i veri insegnamenti, se noi non aspiriamo alla Via e non gli prestiamo attenzione, non può esserci connessione e non può nascere una relazione maestro-discepolo.”
 
Questo riguarda non solo i grandi maestri ma anche persone che non pretendono di esserlo e che con la loro gentilezza e disponibilità ci sostengono silenziosamente e ci raggiungono con il loro calore, eppure spesso diamo per scontata la loro presenza e ci lamentiamo per la mancanza di gentilezza e disponibilità di altri che sono impietriti nelle loro paure. 

Ricordiamo allora le parole di Diane Rizzetto: "Possano coloro che sono spaventati cessare di aver paura, e quelli che sono costretti essere liberati. Possano i senza potere trovare il potere, e possa la gente pensare di agire in amicizia l'una con l'altra. Coloro che si sentono disorientati in una spaventosa landa selvaggia -i bambini, gli anziani, i senza protezione- possano essere protetti nella saggezza e compassione della vita risvegliata."