sabato 29 giugno 2013

Lettera prioritaria




 

Talvolta incontriamo una di quelle persone che per un motivo o l’altro hanno l’acqua alla gola.

Di solito, implicitamente o intenzionalmente, la nostra vita e i nostri percorsi sono organizzati in modo da restare alla larga da queste persone, ma non sempre ci riusciamo.

Il nostro stesso lavoro, o la nostra condizione sociale “rispettabile”, ci tengono lontani dalle loro traiettorie, però possano portare loro da noi.

Ugualmente la nostra inclinazione a “giocare sul sicuro”.

L’ideologia o la morale che professiamo e che avvolge la nostra mente come un velo ci impedisce programmaticamente di riconoscerli.

Preferiamo chiuderci dentro una identità auto centrata, il “mio sogno”, con la sua agenda fissa, che mi protegge dagli inconvenienti e dalle "improvvisate".

Comunque sia, qualche volta ce li ritroviamo davanti.

Quando questo capita vuol dire che ci serve uno scossone, che dobbiamo svegliarci.

Usualmente vediamo sempre e soltanto una parte e crediamo sia il tutto. Crediamo ciecamente che il mondo che ci siamo costruiti intorno sia la realtà. Vedere le cose che ignoriamo dischiude o spalanca il nostro orizzonte. Ma se vogliamo aprirci davvero a quello che di solito non vediamo o evitiamo, abbiamo bisogno di coraggio e di vivere ogni momento come un momento nuovo.

Secondo Shunryu Suzuki: “Momento dopo momento dobbiamo rinnovare la nostra vita, non dovremmo restare attaccati alle vecchie idee di cos’è la vita o di quello che è la nostra concezione della vita. Se restiamo sempre attaccati a vecchie idee e ripetiamo sempre la stessa cosa, allora siamo prigionieri nel nostro vecchio modo di vita.”
 
Inconvenienti e inciampi vengono a ricordarcelo.






domenica 23 giugno 2013

Quiete





Quiete
all'alba.

Quiete
a sera.

Nonostante i giorni rabbiosi               
com’ero felice
quel giorno senza rabbia.

 
 

Da bambini la nostra vita dipende talvolta dall’umore, stati d’animo, disponibilità degli adulti, ma siamo pronti a ritrovare la strada della spensieratezza e a riabbracciare la felicità. Diventando adulti troviamo la strada della rabbia e delle negatività asfaltata dalle nostre inclinazioni e abitudini e possiamo ritrovarci a vivere in uno stato di intossicazione abituale. Eppure, basta un solo giorno di pace interiore per assaporare e riconoscere la felicità, ritornare piccoli, e chi ci sta intorno ne gode come noi stessi.
Così ci ricorda in questa poesia dedicata alla quiete e alla felicità, Jukichi Yagi, un poeta giapponese nato nel 1898 e morto di tubercolosi all’età di soli 29 anni, ancora oggi letto e amato per la capacità dei suoi versi di parlare al cuore dell'esperienza di essere umani e del diventarlo.




martedì 18 giugno 2013

Lettera del giornaliero





 

Ti ricorderai, quando eravamo ragazzi, i giornalieri, i lavoratori a giornata, braccianti e manovali, si alzavano all’alba e dovevano “guadagnarsi la giornata”,  la sera andavano a letto e il giorno dopo era un altro giorno che doveva essere guadagnato. La loro ci sembrava una condizione “naturale”, e circoscritta, oltre la quale c’eravamo noi e quanti altri godevano di una condizione migliore, e quelli che la cercavano, se potevano, con lo studio  o con l’emigrazione in Germania.
Poi, si è affermata l’illusione che i giornalieri fossero una categoria residuale, e invece dopo qualche tempo con nomi diversi sono diventati tantissimi e la loro condizione  è oggi sinonimo di precarietà e incertezza.
Io ho un buon lavoro, da questo punto di vista mi ritengo fortunato, eppure a differenza di quando eravamo ragazzi, adesso vedo che tutti siamo giornalieri e dobbiamo “guadagnarci la giornata”. Quand’ero giovane, immerso nel mio sogno autocentrato di stabilità e di privilegio, non tolleravo di essere contraddetto da uomini e circostanze, e se lo ero mettevo il broncio, o mi offendevo, ne facevo una questione di dignità personale, di conseguenza soffrivo e mi abituavo male. Era un mio problema ma non l’accettavo. Oggi trovo che essere contraddetto, ripreso, corretto, infastidito da contrattempi e incomprensioni è una occasione magnifica per lasciar andare catene grucce e ingessature e stare nella transitorietà del tempo. Anche se lì per lì non mi mostro entusiasta, quando porto pazienza scopro dentro il mio problema qualcosa di insostituibile e di prezioso fatto a misura per me. Qualcosa come un supplemento di spazio e di spaziosità, e anche una vicinanza agli altri.
 
 
 
 

giovedì 13 giugno 2013

Gli irrigatori incanalano l’acqua







Gli irrigatori incanalano l’acqua,
gli arcieri piegano l’asta della freccia,
i carpentieri piegano il legno;
i saggi domano se stessi.
Dhammapada, 80
“Il Dhammapada –scrivono Claudio Cicuzza e Francesco Sferra, cui si deve la cura del testo e la traduzione che presentiamo- è una raccolta in versi di insegnamenti concernenti il Dhamma. E’ con buona probabilità l’opera più venerata nel mondo buddhista e tra le più conosciute in Occidente. Si ignora il nome dell’autore, o meglio del compilatore, del Dhammapada, e non è possibile fissare se non molto approssimativamente la data della sua composizione, che risale all’epoca della formazione del canone Theraváda, nel III secolo a.C.”
in La Rivelazione del Buddha, I testi antichi, a cura di C.Cicuzza, R.Gnoli e F.Sferra, Mondadori

venerdì 7 giugno 2013

Devozione







"Il senso di devozione e di riguardo è un aspetto assai positivo dell'essere umano. Una persona che non prova rispetto per alcunché, che non prova amore né gratitudine, è una persona la cui compagnia è assai sgradevole. Le persone che si lamentano, che criticano e che pretendono, le persone testarde e orgogliose, sono persone con cui non è piacevole stare. L’atteggiamento “Sono troppo in gamba, non mi inchinerò davanti a nessuno” è pura arroganza ed è un aspetto disdicevole degli uomini. La pratica della devozione consiste nell'aprirsi, nel fare offerta di se stessi inchinandoci. E’ un movimento del corpo nel quale realmente offriamo alla verità noi stessi, questo corpo, questa forma umana."
 
di Achaan Sumedho, La mente e la via, Ubaldini





sabato 1 giugno 2013

Vetta magnifica






Per sua stessa natura
s’innalza sopra
il garbuglio di fiumi

Non dire
è un mucchio di terra
accumulata

Senza sosta la nebbia dell’alba
la nuvola della sera
la cingono d’ombre

Dalle quattro direzioni
alzi lo sguardo e la vedi
verde ripida e selvaggia
da A Book of Luminous Things, edited by Czeslaw Milosz, Harcourt Brace & Co

“Vetta magnifica”, la poesia di Musō Soseki (1275-1351), monaco buddhista della scuola Rinzai Zen, poeta, calligrafo, disegnatore di giardini e maestro, è introdotta da Czeslaw Milosz:

“E’ sorprendente il grado in cui la montagna appare e riappare nella poesia di varie lingue, cominciando naturalmente con la Bibbia, come una sacra presenza da contemplare. Spesso la sua esistenza indipendente viene opposta agli stati mentali e ai sentimenti dell’essere umano che sono passeggeri.”

E cosa, "per sua stessa natura", si distingue da stati mentali e sentimenti transienti, se non la calma e l'equanimità della consapevolezza non giudicante?

Come la montagna non scaccia via nè sopprime le nuvole e le nebbie, così la consapevolezza non giudicante lascia che sensazioni, pensieri e immagini vengano e vadano senza esserne condizionata. La montagna è una immagine della consapevolezza, ciò che chiamiano "grande mente".