domenica 20 dicembre 2015

Sorridere







"Sorridere a voi stessi -ha detto Thich Nhat Hanh- è un atto molto gentile nei vostri confronti, perchè state soffrendo e quando soffrite avete bisogno di amore. 
Voi siete la prima persona che può offrirvelo,  non aspettate che sia un'altra a farlo."

Se non siamo gentili e sorridenti con noi stessi, la nostra capacità di perseguire il bene è gravemente compromessa. Possiamo facilmente essere travolti dalle preoccupazioni e dalla negatività. Quando sorridere a noi stessi è più difficile a causa della sofferenza, proprio allora dobbiamo esercitarci a praticare il sorriso. Ecco che ci sentiamo subito più tranquilli e l'orizzonte si rasserena.








domenica 13 dicembre 2015

Otis e il vecchio studente





Un vecchio studente venne da Otis e disse: “Sono stato da un gran numero di Maestri e ho rinunciato a un gran numero di piaceri. Ho digiunato, sono rimasto celibe e ho passato le notti vegliando alla ricerca dell’illuminazione. Ho rinunciato a tutto quello a cui mi è stato chiesto di rinunciare e ho sofferto ma non ho raggiunto l’illuminazione- cosa dovrei fare?
Otis replicò: “Rinuncia alla sofferenza.”

da Taliaris Newsletter, anno 1995





















domenica 6 dicembre 2015

Quando la preoccupazione per se stessi si acquieta





“L’emergere e lo sbocciare di comprensione, amore e intelligenza non ha niente a che fare con qualsivoglia tradizione esterna,” osserva la maestra zen Toni Packer. “Avviene completamente per forza propria nel momento in cui un essere umano interroga, si stupisce, ascolta senza restare bloccato nella paura. Quando la preoccupazione per se stessi si acquieta, è assente, allora cielo e terra sono aperti.”







domenica 29 novembre 2015

Vertigini







W.G.Sebald dice di “quell’idea in fondo assurda, in virtù della quale si crede di poter influenzare il corso degli eventi con un colpo di timone, con la propria volontà, mentre gli eventi sono influenzati dai più diversi rapporti reciproci.”

in Vertigini, pag.141, Adelphi











domenica 22 novembre 2015

Su chi contare?







In verità è su di noi
che possiamo contare;
come contare
su qualcun altro?
E' un raro rifugio
arrivare ad affidarci
a noi stessi.

Dhammapada, 160 
(versione di Ajahn Munindo, traduzione dall'inglese di Chandra Candiani)








domenica 15 novembre 2015

Parigi 13/11/2015







Se consentiremo con onestà e con coraggio allo tsunami di sofferenza, di tristezza, di cambiamenti traumatici, di contattarci, con la sua richiesta di ascolto e di attenzione, invece di piegarne il senso dentro i consueti riservati dominii fatti di solitarie paure, preoccupazioni e compensazioni, o di immaginarie vie di fuga, allora, molto spesso da un luogo di silenzio e di calma, nascerà l’indicazione di quel pensiero, parola, azione, di quel gesto, nella sua riconoscibile qualità alla nostra portata, che sarà certamente percepito e accolto come benefico, utile e portatore di pace da noi stessi e possibilmente da altri.



domenica 8 novembre 2015

La meditazione non è sogno




La meditazione è un processo di trasformazione, non di consolidamento di modelli e modi usuali.

Se la nostra mente non è abbastanza ferma, rimbalza qui e là quando sediamo sul cuscino e quando ci alziamo tendiamo a essere assorbiti, risucchiati e andare alla deriva tra le attività usuali, di lavoro, domestiche, o nello spazio chiamato da Achaan Sumedho "fiera dei divertimenti", che è il tempo non-libero, non-vuoto, ma inzeppato da divertimenti e da diversivi. Così, ci alziamo dal cuscino per correre a infilarci nel sogno consueto.

Occorre comprendere e sentire l’interrelazione, la compenetrazione tra meditazione seduta, "zazen", e le azioni ordinarie. La meditazione seduta inizialmente resta circoscritta, isolata, e minoritaria e non “decolla”. Tuttavia è il nostro punto di forza e di consapevolezza. A essa tende ad accompagnarsi una consapevolezza crescente estesa alla vita, così gli "insight", le intuizioni, che abbiamo su noi stessi e sulla nostra esperienza durante la meditazione seduta vengono rinforzate e allargate.

La meditazione è un mezzo abile per uscire da quella che la maestra zen Diane Rizzetto definisce la prigione del sogno auto-centrato, intendendo che in assenza della consapevolezza del qui e ora, che possiamo iniziare a coltivare sul cuscino, restiamo affondati nel sogno chiamato vita che attraversiamo in sogno. E’ un sogno potente che vuole continuare a essere sognato e a sognarci.

Tale è la natura della vita non risvegliata al cui centro sta una mente che reagisce invece di dare risposta e che è intontita e confusa dagli attaccamenti.
Una mente che ama risvegliarsi è quella mente che accoglie anche ciò che non piace, che provoca fastidio o irritazione, che porta disagio. Una mente che non fugge e non respinge quel che percepisce come strappi e lacune ma accoglie e cura, “semplicemente” accogliendo.

Talvolta ci avviciniamo alla meditazione in vista di benefici immediati e strada facendo ci risvegliamo alla prospettiva di benefici imprevisti e incalcolabili che non procedono con le nostre esigenze immediate, capiamo che non è di beneficio rinchiudersi all’interno della prospettiva dei benefici immediati, ma coltivando l'attenzione, la consapevolezza, la calma rendersi disponibili a un orizzonte aperto, di liberazione.  





sabato 31 ottobre 2015

Sulla stessa lunghezza d'onda...





Come avvertivo nel post “Il pennello e la carriola” (29 luglio 2015) ridere di noi stessi, delle situazioni in cui ci cacciamo, delle nostre illusioni, o presunzioni, ridere delle costruzioni intellettuali e degli stati mentali in cui ci ingarbugliamo è sempre salutare.

Talvolta lo humour, la risata, il sorriso segnalano che siamo consapevoli del sorgere di un condizionamento e disponibili a guardarlo.

Quando ci sentiamo in bilico e pericolosamente inclini a cedere a uno stato d’animo negativo ricorriamo con fiducia a una barzelletta non volgare, a una battuta, magari chiedendo comprensione e amorevole benevolenza ai presenti più giovani...

“Sono sposato da 46 anni e mia moglie e io siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Per esempio nello stesso momento in cui ho ottenuto un apparecchio acustico, lei ha smesso di borbottare”.


E’ con questa barzelletta, come riporta Pagine Ebraiche del 9 ottobre scorso, che il rabbino americano Bob Alper, noto come the funny rabbi, ha fatto ridere Bergoglio guadagnandosi il titolo di... “consigliere di battute umoristiche” del papa e vincendo la somma di diecimila dollari che ha devoluto in beneficenza alla costruzione di case per senzatetto in Etiopia.




venerdì 23 ottobre 2015

Amo gli occhi tuoi, amica mia









Martyska



Nella scena finale del film di Andrej Tarkovskij, la figlia di Stalker, Martyska, è seduta davanti a un tavolo dal ripiano di marmo, con gli occhi sul libro che regge tra le mani.
S’ode il fischio di una locomotiva.
Vagano nell’aria piccoli fiori bianchi, forse lanugine, o neve?

Martyska poggia il libro sulle ginocchia e recita a memoria, mentalmente, la poesia di Fëdor Ivanovič Tjutčev (1803-1873):

“Amo gli occhi tuoi, amica mia,
il loro gioco, splendido di fiamme,
quando li alzi all'improvviso
e, con un fulmine celeste,
guardi di luce tutt'intorno.

Ma c'è un fascino più forte:
gli occhi tuoi rivolti in basso,
negli attimi di un bacio appassionato
e, fra le ciglia semichiuse,
del desiderio il cupo e fosco fuoco.”

Martyska volge gli occhi alla finestra.
Poi li riporta sul tavolo e con lo sguardo spinge un bicchiere facendolo scivolare.
Si ode mugolare il cane che ha seguito Stalker dalla Zona.
Martiska lo guarda. Riprende a spingere il bicchiere con gli occhi fin quasi all’orlo del tavolo.

Infine, appoggiata la testa sul tavolo, si concentra su di un altro bicchiere e lo spinge con lo sguardo fino a farlo cadere sul pavimento. 







venerdì 16 ottobre 2015

Non togliere la gioia agli animali





Da una settimana è morto Poldo, il cane dei vicini, che abbaiava dal balcone quando ci vedeva dare l’acqua alle piante e si eccitava incontrando per strada i nostri ragazzi ancora piccoli, tanto da non riuscire a trattenere la pipì... La sua amorevole irruenza è stata prematuramente sconfitta da una forte anemia che lo ha fatto ammalare e finito.

Il vecchio starec Zosima, uno dei protagonisti de I fratelli Karamazov, il romanzo di F. Dostoevskij, dice:

 “Amate tutto il creato nel suo insieme e in ogni granello di sabbia. Amate ogni fogliolina, ogni raggio di sole. Amate gli animali, amate le piante, amate ogni cosa. Una volta che l’avrai compreso, comincerai a conoscerlo incessantemente, ogni giorno di più e sempre più profondamente. E amerai alla fine tutto il mondo di un amore totale, universale. Amate gli animali: Dio ha dato loro un inizio di pensiero e una quieta gioia. Non inquietateli, non tormentateli, non togliete loro la gioia: non opponetevi all’intenzione di Dio.”





venerdì 9 ottobre 2015

La tua nuova casa










“Il territorio sconosciuto che può diventare la tua nuova casa ha una vita sua propria, ma anche, in un senso antico, alla maniera di Meister Eckart, riceve la vita dal modo in cui lo ascolti, gli dimostri attenzione.”


da “What to Remember When Waking: Disciplines That Transform an Every Day Life” di David Whyte, poeta (vedi anche, in questo blog, Lettera dall'oscurità del 6/04/2014 )













venerdì 2 ottobre 2015

Andrej Rublëv in viaggio






Lungo tratto in carro nella notte
i tatari alle calcagna ossa rotte
Teofane il Greco serba gli occhi chiusi.
Un lampo di luce improvvisa rischiara
il volto sfatto di orfani vecchie mugiki.

Ecco, vedi, nascono nel mondo esseri comuni
che non sanno niente di tutte le cose
dette in prose o poesia
non credono di salvare nessuno
e nessuno li crede grandi nobili distinti.
Tu non li vedi o li vedi
chiusi in un miserabile cantuccio
vegetativi incatenati e occulti
nelle proprie due opinioni quali che siano
cocciuti devoti a una sola icona stretti
a una sola idea emozione o pensiero
e se sono obbligati a spiegare balbettano
e arrossiscono per lo sforzo fino alla cima
dei capelli.
E per questo saresti migliore di loro?

E la loro vita meno importante della tua?
da Tieni aperto, di M.Colafato, Il Labirinto





venerdì 25 settembre 2015

Se l'ami abbastanza




Miti di tutto il mondo dicono di uomini e donne in cerca dell’elisir che protegga dalla sofferenza. La risposta del buddhismo è la consapevolezza. Come funziona la consapevolezza? Lasciatemi illustrare con una storia che divenne la base per il film del 1988 “Gorilla nella nebbia”. Il film racconta di Dian Fossey, una coraggiosa biologa ricercatrice sul campo che riuscì a farsi amica una tribù di gorilla. Fossey era andata in Africa sulle orme del suo mentore George Shaller, un famoso biologo dei primati che era ritornato dalla foresta con informazioni sulla vita dei gorilla più profonde e cogenti di qualsiasi altro scienziato prima di lui. Quando i suoi colleghi gli domandarono come era riuscito ad apprendere dettagli così rimarchevoli circa la struttura tribale, la vita familiare e le abitudini dei gorilla, egli l’attribuì a una semplice cosa: non portava con sé un fucile.
Precedenti generazioni di biologi erano entrati nel territorio di questi grandi animali presupponendo che fossero pericolosi. Così gli scienziati venivano con uno spirito aggressivo, con grandi fucili in mano. I gorilla potevano sentire il pericolo intorno a questi uomini con i fucili spianati e se ne tenevano a lunga distanza. Al contrario, Shaller -e più tardi la sua studentessa Dian Fossey- entrarono nel loro territorio senza armi. Dovevano muoversi lentamente, con gentilezza, e soprattutto con rispetto nei confronti di queste creature. E, col tempo, sentendo la benevolenza di questi umani, i gorilla gli permisero di venire proprio in mezzo a loro e imparare i loro modi. Sedendo immobile, ora dopo ora, con sollecita, paziente attenzione, Fossey finalmente capì quello che vedeva. Come spiegò il saggio afro-americano George Washington Carver: “Qualunque cosa rilascerà i suoi segreti se l’ami abbastanza.”

Jack Kornfield







venerdì 18 settembre 2015

Attraversamento di confini





L’attraversamento di confini interni segnalato da una battuta giocosa o ironica, un motto di spirito, un sorriso, un’espressione o un comportamento inaspettato, in primo luogo per il suo autore, è sempre liberatorio e salutare perché implica la "sconnivenza" pacifica e non violenta delle regole del gioco auto-imposto, per convinzione, per assuefazione o per comodità: inclinazioni che hanno spesso a che fare con l’avidità, la rabbia, specie soppressa, e la delusione.






venerdì 11 settembre 2015

Consapevolezza e Pace Interiore





Il non restare attaccati al fastidio e all’irritazione è un chiaro sintomo di pace interiore (vedi su questo blog il post del 14/09/2013).    


Ad esempio sediamo in meditazione e non avendo spento il cellulare  -magari perché riteniamo che nessuno debba osare disturbarci, in quanto non è stato autorizzato- siamo costretti a interrompere la seduta e rispondere. Ammettiamo che il punto di partenza dello spiacevole evento è un torreggiante e minaccioso senso dell’io che crede nella propria importanza e considera sacra la propria agenda. Dal call center ci assaltano con una speciale offerta e noi, a difesa della nostra pace interiore, abbiamo uno scatto di aggressività, magari si tratta della stessa offerta che da un altro call center ci hanno proposto soltanto ieri sera. Diverso sarebbe se la telefonata fosse di congratulazioni e di rallegramenti per i post che appaiono su questo blog...


Ritornando a sedere ci rendiamo conto -ed è un segnale positivo, di consapevolezza- che il fastidio si è trasformato in resistenza a stare nel momento e nell’esperienza del momento e ci ritroviamo a rimuginare su quanto è accaduto, così  da ritrovarci ben presto impigliati nei più assurdi pensieri, naturalmente negativi, di tipo sociale, politico, culturale, e personale, che mettono in moto associazioni di altri pensieri, ricordi e sensazioni, tendenzialmente ossessivi e paranoici.
Tutto questo è attaccamento e frutto dell’attaccamento.


Quando invece lasciamo andare il fastidio e non ci impantaniamo nel conflitto la porta è aperta per ritornare senza strattoni e con gentilezza alla originaria intenzione di pratica e capire che non è poi così impossibile seguire la corrente e gioire momento per momento del cammino.




venerdì 4 settembre 2015

All'aperto







Una poesia di Tomas Tranströmer (Stoccolma, 15 aprile 1931- 20 marzo 2015) ricorda l’atmosfera della pratica meditativa. Il silenzio, il bosco delle sensazioni, il risvegliarsi dell’attenzione, la disponibilità o indisponibilità a riconoscere la realtà della nostra esperienza, la scoperta di appena accennati rumori, gli indizi di una realtà misteriosa e più vasta del piccolo io rispetto alla quale possiamo chiuderci nelle strette della paura e nell’ansia oppure aprirci all’ascolto, considerando ogni momento nuovo e inedito.

 

All’aperto

Entra! In questa stagione il bosco

è silenziosi locali abbandonati.

Solo rumore di battiti come se qualcuno

spostasse piano i rami con una pinzetta.

O un cardine che cigola

in un grosso tronco.

dalla raccolta Poesia dal silenzio, Crocetti editore, trad. di Maria Cristina Lombardi









mercoledì 26 agosto 2015

Lettera a un ragazzo sulla non-violenza






Carissimo,

sarei contento se tu leggessi questa lettera nata dallo scambio di idee, di opinioni e di emozioni che abbiamo avuto.

Alcuni di noi sono per la non violenza, ne parlano e la sbandierano ma spesso continuiamo a ignorare quanta attenzione, onestà, integrità e costanza richieda il praticarla.

E forza, molta più forza che il lamentarsi o piangersi addosso o lasciarsi prendere dal risentimento e dall’energia della rabbia.

E qualcosa, una dedizione, un impegno, più profondo e personale di uno slogan accattivante.

La violenza nelle relazioni interpersonali può presentarsi come una spirale in cui siamo risucchiati prima di rendercene conto se non conosciamo quelle tendenze, inclinazioni, debolezze che possono facilmente renderci ciechi e sordi ai pensieri, alle parole, e alle azioni, nostre e altrui.

Può essere utile visualizzare la situazione come quella di un uomo che si trovi dentro un fosso irto di chiodi appuntiti, vetri aguzzi e lame taglienti e che abbia appena lo spazio per venirne fuori ma solo se si muove con consapevolezza sveglia perché ogni distrazione e inavvertenza può ferirlo gravemente.

Come parla, come muove le mani, come si lascia prendere da una certa idea, tutto può essergli fatale e spingerlo più a fondo.

Quello che considera un dato obiettivo può essere a causa del suo tono di voce recepito come un’offesa. La metafora cui fa ricorso per illustrare la sua ragione può prendergli la mano e trasformarsi in una polemica senza quartiere contro l’avversario. Il ricordo dei comportamenti passati di questi divenire un’ossessione che gli toglie la calma. Fino al momento in cui la rabbia si impossessa di tutto il suo essere e in preda ad essa scoppia in urla e in atti di violenza contro oggetti ed esseri viventi, umani e non.

Anche uomini essenzialmente innocui possono trasformarsi in violenti se non curano la pace del cuore e della mente.

Due persone pronte a una conversazione, che si conoscano e conoscendosi sappiano di correre qualche pericolo di cadere nella trappola della violenza, mentale, verbale e fisica, dovrebbero impegnarsi, direi far voto preventivo, di rinunciare ad ogni costo a provocazioni, ingiurie, argomenti tendenziosi o equivocabili e naturalmente a manifestazioni di vera e propria violenza fisica. 

Se si rendono conto che non gli è possibile per qualche motivo nonostante le buone intenzioni dovrebbero aggiornare la loro conversazione a un altro momento, quando saranno più calmi.

Ciao, sono certo che riflessione e consapevolezza facilitano il cammino di ciascuno di noi verso l'essere che desideriamo più felice, saggio e senza paura di liberarsi dalle catene e dalle remore del passato e delle abitudini.

Un abbraccio
 
 
 
 
 

mercoledì 12 agosto 2015

Un vecchio trave





Lavoravamo sulla facciata della casa e notammo che il pergolato di sostegno al glicine era storto, si era abbassato da un lato e rischiava di cedere. Bisognava estrarre i pali di sostegno e i vecchi travi dal muro e sostituirli.

Tirando via da parte uno di questi travi di castagno, consunto e fradicio, ebbi a dire: "Com'è brutto!"

Il maestro replicò con calma: "E' stato bello pure lui..."

Restai a bocca aperta.

Quanta compassione e quanta saggezza in questa espressione!

E quanta ispirazione in una frase semplice e non pretenziosa...

Tirai un respiro di sollievo. Anche se il lavoro era duro quelle parole lo avevano reso leggero, la fatica restava ma come un dato di integrità dell’esperienza.






mercoledì 5 agosto 2015

Valutando un'esperienza





Jiddu Krishnamurti afferma che si può diventare "prigionieri dell'esperienza" e afferma con estrema chiarezza:
"Ogni esperienza ha significato quando con essa arriva la conoscenza di sè, che è il solo fattore di liberazione o di integrazione, ma senza conoscenza di sè, l'esperienza è un peso che porta a ogni tipo di illusione."
("All experience has significance when with it there comes self-knowledge, which is the only releasing or integrating factor, but without self-knowledge, experience is a burden leading to every kind of illusion", da Valuing an Experience)

mercoledì 29 luglio 2015

Il pennello e la carriola






Ridere di noi stessi, delle situazioni in cui ci siamo cacciati, ridere delle nostre illusioni, ridere delle costruzioni intellettuali e degli stati mentali in cui ci ingarbugliamo è molto salutare.

Un pomeriggio assolato John, il giovane aiutante, mi aveva chiesto un pennello per dare della cera liquida a una porta e mi seguiva verso il laboratorio dove andavo a cercarlo, il mio sguardo cadde sulla carriola e gli chiesi di prenderla.

Fosse il caldo, fosse la stanchezza, fosse una sensazione acuta di vulnerabilità, non era necessario approfondire le cause: in quel momento mi ha colpito nella mia voce immediatamente e senza dubbi una inconfondibile nota di scontentezza.

Al sorgere della consapevolezza ha fatto seguito la pratica dello humour. Ho espirato e porgendo il pennello ho detto: "La carriola è per riportare il pennello..."

Il ragazzo dopo un attimo di perplessità è scoppiato a ridere e anche l'inizio di malumore è sparito.

Cominciamo con il ridere e il sorridere più spesso quando facciamo cose che ci piacciono e poi allarghiamo la pratica anche alle circostanze più ostiche e spiacevoli.

E’ essenziale ridere e sorridere almeno tre volte al giorno e riconoscere in questo una buona medicina e una ricchezza!
 
Talvolta lo humour, la risata, il sorriso, il respiro segnalano che siamo consapevoli del sorgere di un condizionamento e disponibili alla sua risoluzione.







martedì 21 luglio 2015

Dhrupad








a  Fariddudin Dagar

 

 

in quella sera indiana

grazie al negro destriero

mi fu in un lampo chiaro

cosa abbiamo perduto

e cosa non abbiamo neanche

immaginato

 

il prodotto di massa confezionato

in clinica misura per il palato

strenuamente educato splendeva

sugli scaffali del supermercato

una esemplare punizione

ma per un modico prezzo

 

su quello specchio riconobbi

i miei sforzi

l’arrampicaggio

poveri esercizi di recluso

e una umiltà incondizionata

mi portò delizioso sollievo

 

di Michele Colafato, da Mutuazioni e sconnivenze, Il labirinto
 
 
 
 
 
 
 
 

mercoledì 15 luglio 2015

Il falco, la quaglia e il territorio ancestrale







Una di queste mattine, dopo un primo passo in internet tra le suggestioni, i divertimenti, le varie offerte dal mondo dei sensi e gli spot dell’infinito intrattenimento, mi sono fermato, e ho scelto di occuparmi di quelle cose che comportano impegno e presenza mentale, le cose che rappresentano la mia occupazione, la mia realtà e gli “affari miei”: riprendere il filo di un discorso, organizzare un lavoro, entrare senza frapporre indugi nella mia pratica.

Questo ha riportato alla memoria l’insegnamento del Buddha nel Sutta del falco: finchè la quaglia vaga fuori dal proprio «territorio ancestrale» non può non essere preda del falco; fin quando resta nel proprio territorio, identificato in un “campo arato di recente”, potrà rifugiarsi dietro la zolla contro la quale si infrange l’attacco dello sparviero, pur con tutta la sua forza, velocità e sicurezza di sé.

Fuori dal «territorio ancestrale», ci attendono, sempre accessibili, le consuete novità mondane, dall’apparenza vaga, seduttrice, incantevole, e la canzone che cantano è la stessa: divertiti, divertiti, dormi, dormi...

Il «territorio ancestrale» lo vedo proprio come il mio laboratorio, in cui presto attenzione e fiduciosa sollecitudine, adopero l’ingegno e i mezzi abili adatti all’attività specifica, lasciando andare le divagazioni e quel che non mi riguarda.

mercoledì 8 luglio 2015

Raddrizzare la schiena








Quali che siano le occasioni, da un rifiuto che ferisce la nostra auto-stima a una malattia che ci fa sentire più fragili, possiamo scivolare in una “posizione di ripiego” segnata da passività, pigrizia, sedentarietà, assuefazioni, dipendenze, per non dire delle delusioni preventive, accompagnate dall’eterno ritornello del “non ne vale la pena...”

Non deve stupirci che allora paure, supposizioni da “scenario peggiore” e preoccupazioni croniche divengano presenze fisse del nostro orizzonte mentale.

Probabilmente legittimano la posizione di ripiego,  e sono parte integrante del modello che ne emerge.

Quando abbiamo questo "insight" non ci resta che espirare e raddrizzare la schiena.
 
 
 
 
 

martedì 30 giugno 2015

Quello che voglio








«Chi fa questi cambiamenti? Lancio una freccia verso destra e atterra a sinistra. Corro dietro un cervo e mi ritrovo inseguito da un maiale. Mi organizzo per ottenere quello che voglio e finisco in prigione. Scavo buche per far cadere in trappola altri e ci finisco dentro! Dovrei sospettare di quello che voglio.»

 
Jelaluddin Rumi (1207-1273)




 

lunedì 22 giugno 2015

ORGOGLIO! Un insegnamento di John Garrie






Quello che segue, ti assicuro, è molto più una riflessione di tipo auto-analitico che un attacco a te, lettore, chiunque tu sia che leggi. Se realizzi nella lettura che è come se io ti stessi reggendo uno specchio di fronte -sappi che quanto segue risulta in primo luogo dalle mie personali realizzazioni seguenti all’essermi seduto davanti allo stesso specchio (credimi -nella sofferenza) per qualche tempo. Sono stato e ho fatto tutte queste cose che seguono.
Invito alla compassione per il lettore e per lo scrittore.

 

L’orgoglio è essenzialmente un tratto che si sviluppa e ha le sue radici nell’adolescenza, o prima. Si può persino dire che l’orgoglio è un guardiano dell’autocentratezza ed è chiaramente molto molto folle perché in definitiva è molto auto-distruttivo. Ci induce a una logica distorta e prevenuta e quindi a percorsi che con maggiore chiarezza mai prenderemmo in considerazione.

Perché? Perché una delle principali caratteristiche dell’orgoglio è che prima di tutto crediamo o abbiamo bisogno di credere che abbiamo ragione o che non abbiamo mai torto, e subito dopo sviluppiamo una inflessibilità di attitudine che non consente di cambiare mai idea, basata com’è sulla credenza che cambiare idea sia una inusuale debolezza alla quale mai soccombere, rivelando così l’immensa vulnerabilità dell’orgoglio e le cocciute e provocatorie emozioni che l’accompagnano.

Sono sicuro che la psicologia avrà chiare spiegazioni di precoci deprivazioni di affetto o rispetto o anche attenzione per dar conto dell’orgoglio in anni seguenti. Forse. Personalmente preferisco guardare a quello in cui si mette orgoglio o a quello di cui si è orgogliosi. Quello che si sente di aver superato o almeno eguagliato o da quali standard ci si sente ancora intimiditi o ridotti all’autocommiserazione o a bravate che accrescono l’ego o a decisioni “potenti”.

I modelli di ruolo sono ovviamente molto influenti in questo campo... Ma i reali modelli di ruolo sono quelli intuitivamente percepiti o ‘sentiti’ da un ragazzo di 6 o 7 anni.

A 6 o 7 anni i confini di percezione, comprensione e ‘sentire’ non sono chiaramente definiti e tendono a fondersi in un conoscere che spronerà spesso un bambino nell’urgenza di far bene, di brillare, o a spiccare in qualche area che ha a che fare con rispetto, affetto, o attenzione; o egualmente nel caso opposto. Questo impulso o la sua assenza detterà la personalità come si sviluppa nel periodo della crescita, educazione inclusa, in quello che emerge a 14-15 anni nell’adolescenza. La secchiona, il somaro, il ribelle, il cocco dell’insegnante, il/la precocemente sexy, il respinto, il militante, l’atleta, lo zerbino, oppure occasionalmente un misto di tutti o parte dei positivi e di tutti o parte dei negativi. E in tutti questi o in qualunque combinazione ci sarà la veemenza dell’orgoglio con la forza impulsiva propria dei primi giorni e una forte appiccicosa riluttanza a cambiare o a consentire lo sviluppo di modi più maturi.

Sarebbe primitivo dar la colpa ai genitori. Sto dicendo che quello che un ragazzo percepisce, raccoglie o a cui reagisce, è qualcosa nei genitori di cui essi -i genitori- sarebbero piuttosto ignoranti, presi dalle loro negoziazioni con i propri partner o con le proprie coscienze per la propria felicità, pur rendendo omaggio a parole all’idea di essere buoni, amorevoli, premurosi e responsabili genitori e modelli di ruolo- che per lo più, a livello esteriore, essi sono. Quanto il ragazzo riceve e a cui reagisce è piuttosto differente.

Che cosa un ragazzo sta cercando di provare dimostrandosi “bravo”, sempre primo o tra i primi nella sua classe, eccellente negli sport? O con l’essere conflittuale o ribelle con i genitori o gli insegnanti, o attraente per l’altro sesso, e che significa attraente in questo contesto? Pochi sono nati con eccezionale bellezza fisica o del viso, il resto della “attrattività” consiste di accessibilità, disponibilità, determinazione e “proiezione” di personalità. A quell’età io ero ben lontano dall’essere in alcun modo attraente. Il mio viso, collo, spalle erano orribilmente coperti da acne -foruncoli, bolle, ascessi. Per fortuna ero un corridore veloce e bravo a cricket -così mi sono specializzato e con il sostegno della rabbia ottenni la mia rivincita sui diffusori di nomi ingiuriosi e i molti rovesci che sopportavo -ma solo in parte. Divenni socialmente “presentabile” solo a 18 o 19 anni.

Probabilmente quello che sto chiedendo è “Quali misure siamo portati a prendere per assicurare la nostra sopravvivenza o esistenza in quanto identità che sia riconoscibile in mezzo a quella che spesso è una competizione davvero formidabile?”

L’orgoglio è essenzialmente reattivo: è una risposta a qualche stimolo o emozione, e mentre è inizialmente difensiva o auto-protettiva può facilmente diventare, e spesso diventa presunzione e si trasforma in arroganza, insensitività, o ciecamente compulsiva autocentratezza.

Ripeto è un gioco emozionale molto molto folle e in ultima istanza autodistruttivo.

Orgoglio è come scavare compulsivamente dentro un fosso nel mentre si cerca di venirne fuori -ed è azione totalmente futile e votata all’autoseppellimento da cui ci si può salvare soltanto saltando fuori dal fosso. Non c’è letteralmente futuro nell’orgoglio!

Posso sentire le obiezioni adesso. Quelli che dicono che l’orgoglio nei risultati o nei propri standard morali o sociali è degno di ammirazione etc., ma certo quello di cui stiamo parlando è semplice auto-rispetto. Orgoglio in verità è auto-rispetto che è tracimato in un stato nuovo, se non pienamente patologico.

Attenzione ai sintomi dell’orgoglio - essi trasformano nature gradevoli e davvero amabili in persone che diventano socialmente inaccettabili e spesso pericolose, perché i confini si confondono e la filosofia morale si distorce.

Triste a vedersi! Abbi compassione per l’orgoglio ma se hai qualche rispetto per la vittima dell’orgoglio -non condonarlo mai. Un secco calcio nel sedere è spesso più affettuoso che un mazzo di rose - e in definitiva di maggior valore.

Non puoi comprare l’orgoglio -affrontalo! Negli altri e soprattutto in te stesso.

E buona fortuna.

di John Garrie (1923-1998), da  Newsletter from Kemps, May 1997

martedì 16 giugno 2015

Amicizia





In una newsletter leggo i versi di Ryōkan che mi ricordano Drew, amico di pratica, artista, costruttore di case e fotografo (autore del bellissimo "Man with Fire in the Belly"):


Buoni amici e maestri eccellenti..

restagli vicino!

Ricchezze e potere sono sogni fuggevoli

ma le parole sagge profumano il mondo

per anni

da Ryōkan, Gocce di rugiada su una foglia di loto


A causa di preoccupazioni e difficoltà possiamo finire "imprigionati" dentro un'ansa cieca  dove tutto rimbomba si contorce e sembra senza scampo. Allora è d’aiuto essere nelle vicinanze di qualcuno che ci aiuti a dubitare della oggettività e assolutezza delle sensazioni e percezioni mentali che in tali condizioni, anche a causa di precedenti condizionamenti, ci stringono e ci tolgono spazio e respiro.

Che cosa e chi meglio di un amico?! Che potremmo mai desiderare di meglio?