sabato 24 dicembre 2016

Festeggia e abbi cura di te stesso!







Facciamo gli auguri ai nostri cari, agli amici, anche agli sconosciuti e agli stranieri, ma nessuno dimentichi di curarsi di sé.
Stamattina ho telefonato a Luigi, con cui condivido l'origine arbërësh, ci siamo scambiati auguri, affetto, benevolenza, e abbiamo concluso con il “ruhu”: cioè prenditi cura, abbi cura di te, in tutti i sensi, mentale, fisico, emozionale.
Luigi, ha chiosato: “E’ l’unico comandamento!”
Tutto il resto segue a ruota.
Dalla cura, dall’attenzione rivolta a te stesso dipendono la fiducia, il coraggio, l’energia, la gentilezza, la compassione.
Il non restare chiusi dentro situazioni tossiche, il non aggrapparsi a illusioni, il non deperire a causa di attaccamenti a opinioni, a parole, proprie o altrui, a pensieri.
Perciò dico ai lettori, e a tutti: “ruheni”. Abbiate cura di voi stessi: dalla cura di te dipende la cura degli altri, e anch'io prendendomi cura di me stesso mi prenderò cura anche di voi.
Auguri!







sabato 10 dicembre 2016

Odio e sofferenza







Come ha detto James Baldwin: “La maggior parte delle persone scopre che quando cessa di odiare, sarà costretta a fare i conti con la propria sofferenza”.






sabato 26 novembre 2016

Nel luogo della difficoltà





Talvolta ci sediamo in zazen e ci aspettiamo qualcosa di speciale, sensazioni elevate, pace, estasi –abbiamo in mente un’agenda piena di obiettivi e di traguardi e li portiamo con noi sul cuscino. Persuasi di avere diritto a sempre nuovi piaceri e gratificazioni, tutto ciò che non rientra nella cornice del compiacimento crea torpore o scontento e un automatico ritrarsi seguito da giudizio negativo. Ecco perché molti abbandonano. Ma non è così male né insensato praticare con la scomodità, accogliere lo spiacevole, stare nel luogo della difficoltà. Aprirsi alla paura e all’incertezza. Anzi, può essere proprio quel di cui abbiamo bisogno e da cui proteggiamo quell’immagine di noi stessi e del mondo che preclude il risveglio alla realtà così com’è.  








domenica 13 novembre 2016

Perchè medito?






Un gruppo di meditanti, per non dare per scontata la meditazione e per condividerne l’esperienza, si sono chiesti, ‘Perché medito?’
Ecco alcune risposte, a cui chi vuole può unire, con un commento, la propria voce.

-         Medito, quando medito, per sentire il silenzio.

-         Io, per sentire il corpo e rilassarmi nel momento presente.

-         Per non preoccuparmi delle preoccupazioni. Sono solo pensieri.

-         Per addestrarmi a espirare quando mi sento oppresso da un pensiero o da una preoccupazione.

-         Per la felicità di lavare i piatti con consapevolezza.

-         Per fare una pausa consapevole.


-         E io per imparare a essere amico di me stesso.





sabato 29 ottobre 2016

L'offesa al maestro










Dice Levinas: ‹‹ L’offesa fatta al maestro è diversa da qualsiasi altra. Ma l’altro non è sempre, in un grado qualunque, vostro maestro?››

da Quattro letture talmudiche, il melangolo










venerdì 14 ottobre 2016

Una storia zen






Montali, ritiro di autunno, 7-9 ottobre
Vedere durante il ritiro Hinnerk che estirpava erbacce con calma e cura mi ha riportato alla mente i giorni in cui roncola alla mano battagliavo senza tregua contro gli ailanti infestanti il terreno intorno casa contando di potermene liberare una volta per tutte. Quindi, di pensiero in pensiero, mi sono ricordato del racconto della monaca Zen Shundo Aoyama che non riuscendo a tener dietro al ritmo incessante di crescita delle erbacce sul terreno antistante il suo tempio, Muryo-ji, fece ricorso a un diserbante.
foto di Hinnerk Brockmann
“Doveva essere un diserbante potente” –inizia la sua riflessione.
Per molti mesi il terreno restò arido e senza vita, non cresceva niente, nè erbacce, nè muschio, nè altro.
Quella vista intristì Aoyama e la fece pensare alla presunzione umana.
Prese così a pregare le erbacce di ritornare, non importa quanto estenuante potesse poi essere il doverle tirar via a mano: ‹‹Buona Terra. Ritorna presto alla vita e dai vita alle erbacce.››

“Esseri vivi è meraviglioso. Sbocciano i bei fiori e crescono le erbacce perché sono vivi. E’ l’egoismo umano che considera buoni i fiori e cattive le erbacce. La colpa non è loro. Il Maestro Zen Dogen disse: ‹‹Un fiore cade, anche se lo amiamo, e l’erbaccia cresce anche se non l’amiamo.›› Gli uomini sono una seccatura per le piante. Se solo mettessero da parte i criteri egoistici e guardassero attentamente ai fiori e all’erba, si vedrebbe che il cielo e la terra benedicono la vita di ogni fiore e stelo d’erba, e che queste cose sono meravigliose. Così è con gli esseri umani. Poiché vivono gli uomini sperimentano guadagno e perdita, amore e odio, gioia e rabbia, sollievo e dolore. Ciascuna di queste esperienze è un importante utensile nelle nostre insostituibili vite.”






sabato 1 ottobre 2016

Il tesoro








Un giorno un vecchio saggio e buono
mi incoraggiò a trovare il tesoro

Ero un giovane serio e leale
all’ideale più elevato e senza posa
per anni ho scavato nel campo
fino a che allo stremo
e prossimo a morire gli attrezzi
mi caddero di mano

In quell’istante il buio
si aprì con un lampo
e vidi dove mi avevano spinto
l’avidità e l’accanimento

E vidi anche il tesoro
che prima non vedevo
e non è altro che il vedere
che non c’è altro tesoro
che il vedere davvero

quel che vedo qui e adesso

Poesia inedita, di Michele Colafato

sabato 24 settembre 2016

Einstein e la consapevolezza





In una riflessione sul razzismo nella società degli Stati Uniti d'America la cui adeguatezza nel nostro tempo non necessita di essere richiamata, Albert Einstein ricorda che gli antichi greci avevano schiavi che non erano neri ma bianchi fatti prigionieri in guerra, di conseguenza non si poteva parlare di differenze razziali. Eppure Aristotele li giudicava esseri inferiori che erano stati giustamente sottomessi e privati della loro libertà. 

«E' chiaro -dice Einstein- che Aristotele era invischiato in un pregiudizio tradizionale, dal quale, nonostante il suo straordinario intelletto, non poteva liberarsi».

L'intelligenza non ci mette al riparo dal pregiudizio e dall'avversione, siamo immersi nella tradizione, siamo risucchiati dal passato e i modi di pensare propri del "già conosciuto", come dice Krishnamurti, affermando le loro convenienze, inerzie e paure possono danneggiare "il nostro destino e la nostra dignità".

Infatti più che l'intelligenza e le conoscenze tradizionali, le parole di Einstein richiamano l'importanza della consapevolezza, della sua assenza e della sua presenza, rispetto al "renderci quel che siamo".

«Gran parte del nostro atteggiamento verso le cose è condizionata da opinioni ed emozioni che abbiamo assorbito inconsapevolmente da bambini dall’ambiente esterno. In altre parole, è la tradizione – oltre ad attitudini e qualità innate – che ci rende quel che siamo.
Riflettiamo raramente su quanto l’influenza del pensiero consapevole sul nostro comportamento e sulle nostre convinzioni sia piuttosto debole rispetto al peso potente della tradizione».

Albert Einstein, The Negro Question, 1946








mercoledì 14 settembre 2016

Amorevole benevolenza







Una persona cui sono vicino e che non è ufficialmente su un cammino interiore mi ha donato, senza l’intenzione di farlo, e senza presunzione, una bell’esempio di amorevole benevolenza.
Questa persona mi diceva che stava per andare a un appuntamento con una sua amica che anch’io ho incontrato qualche volta.

-Come fai a sopportarla?

E’ una persona che vedo ogni tanto. Ha la famiglia, i colleghi, sì, eppure è molto sola. E ancora più sola la rende il fatto di non riuscire a lasciar andare l’osservazione che le pare critica nei propri confronti, l’espressione che le suona poco gentile o irrispettosa. Non può dimenticarla ed è costretta a ritornarci sopra, a rimuginare e si isola con i suoi pensieri negativi.

-Capisco. Eppure non riesco a tollerare il fatto che parli a valanga senza lasciarti un minimo spazio...


E’ vero. Al massimo ti fa dire due parole e subito riprende a esternare a ruota libera. Ma io non mi aspetto di essere ascoltata o di svolgere una interessante conversazione. So che ogni tanto chiederà: “E tu che mi dici?”, e che quando avrò pronunciato due parole mi interromperà subito con qualche frase del tipo, “Sai quella lì... Ti ricordi, sì?”, e prima ancora che io risponda sarà già partita di nuovo...

-E allora dov’è la comunicazione?

Infatti non la incontro per quello, lo faccio per benevolenza. Quando non ne posso più mi consento di distrarmi e respiro. La cosa più importante è che lei si senta voluta bene, che non si senta esclusa e rifiutata...




sabato 3 settembre 2016

Amicizia



In una lettera a Lucilio, Seneca si chiede come riconoscere il progresso spirituale e risponde con le parole del filosofo stoico Ecatone: “Ho cominciato a essere amico di me stesso.”

Questa amicizia inizia con “il vedere i difetti prima ignorati”: un vedere che “è indizio di un animo che ha fatto progressi”. Attenzione: ci si riferisce ai propri difetti non a quelli altrui -vedere i quali, magari anche quando non ci sono, è indizio del contrario: di un animo che non ha fatto progressi, e che, si potrebbe aggiungere, continuando così, non li farà mai.

Essere amico di me stesso comprende il non lasciarsi imprigionare dalle preoccupazioni in un cerchio chiuso al cui centro troneggiano l’io e il mio ma piuttosto vedersi come essere vivo, sensibile e attento. Comincio a essere amico di me stesso avendo cura di me. Evito quello che non è salutare, identifico e riconosco i miei stati mentali, le parole che dico, i comportamenti che metto in atto. Inoltre la pratica di questa amicizia mi ricorda di non trascurare per pigrizia o per sfiducia le azioni che mi portano in dono coraggio e forza.

Non per caso Seneca afferma che grande è il progresso di chi si fa amico di se stesso: “Non rimarrà più solo.”


Le citazioni sono tratte da Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio, Rizzoli

mercoledì 27 luglio 2016

Buona estate!









Nel mezzo della grande confusione in cui si dibatte il mondo le parole di chi è riuscito a creare un po’ di pace in se stesso si ascoltano come voci amiche che offrono rifugio invitando a deporre il risentimento e la violenza e a coltivare la consapevolezza e la tranquillità.

Theodor Fontane, l’autore di Effi Briest, scrisse a un suo amico:

“La vecchia battuta, secondo cui siamo solo un’imboccatura di clarino in cui entra fiato da qualche parte ignota, ha pur qualcosa di vero, e l’essere penetrati di tale verità lascia infine soltanto questo duplice sentimento: di modestia e di gratitudine.”




domenica 17 luglio 2016

Quando non ne puoi più...






Nel momento in cui dici a te stesso, mentalmente, con gesti o a parole: "non ne posso più", "non ce la faccio più", e invece di raddrizzare la schiena e espandere la consapevolezza, ti abbatti e mortifichi -proprio in quel momento possono nascere in te la rabbia l’odio e il risentimento per qualcosa o qualcuno che ti attacca dall’esterno, il nemico, e nello stesso tempo l’attesa, più o meno, inconscia di un grande uomo, di un super-uomo, a cui sei pronto ad attribuire e riconoscere super-poteri, poteri straordinari e risolutivi...







domenica 10 luglio 2016

Vivere il presente. A colloquio con mio figlio







Quando mio figlio, adolescente e desideroso di fare le sue esperienze in prima persona e mettersi alla prova, me ne racconta qualcuna, mi rendo conto che il primo ostacolo alla comunicazione è per me il non essere presente, qui e ora, nell’ascolto e nella partecipazione ma essere d’istinto trasportato nel futuro.
Lo ascolto e debbo stare attento a non precorrere il racconto e l’esperienza, trascinato come sono in avanti e indietro dall’ansia che essa possa rappresentare un pericolo per la sua vita e la sua sicurezza.
Quando ascolto mio figlio devo innanzitutto vivere il presente, con calma e con pazienza.
Migliaia di cose che permettono di infervorarsi non sono scontate o garantite e non lo saranno mai per quanta enfasi e pathos io possa mettere nelle mie spiegazioni e perorazioni. Non saranno esse a darmi il controllo del futuro e la sicurezza che tutto andrà nella maniera più soddisfacente e priva di sofferenza.
Devo fare spazio nel momento così com’è usando tranquillità e tenerezza, ed essere incoraggiante, invece di minaccioso e terrorizzato.

Avendo visto che nella mia mente c’è paura e ansia, imparo a lasciarle andare e a non identificarmi con modelli non salutari e così scopro, come insegna Jack Kornfield, un livello più profondo di liberazione.





domenica 3 luglio 2016

Buddha che ride









Dal giardinetto in fondo a via Asinio Pollione che stavo risalendo ho sentito un richiamo: “Buon giorno” e voltandomi ho incontrato con lo sguardo la figura familiare della signora rom da Sarajevo con cui qualche volta mi fermo a scambiare due parole e che porta in braccio e ancora allatta l’ultimo suo bimbo.
Erano circa le 11, il sole cominciava a farsi sentire e la signora mi ha detto che aveva cercato riparo al caldo nel fresco ombroso di Largo Manlio Gelsomini in cui in quel momento non c’erano altre persone.
E’ una signora dal sorriso aperto che non nasconde i pochi denti storti, è un sorriso che può anche fare a meno di denti perfetti e bianchi.
E quello del bimbo è un sorriso generoso. Basta che i suoi occhi siano sfiorati da una attenzione benevola e il sorriso del bimbo si offre in tutta la sua benefica grazia.
I sorrisi della mamma e del piccolo mi insegnano a sorridere con la pancia, mi fanno sentire la radicale differenza tra il sorriso sforzato, non libero, prigioniero di chi sa quale paradiso futuro e il sorriso che anticipa il paradiso e lo realizza nel momento presente.

E avverto l’irresponsabile avarizia di sorrisi rateizzati, non integri, come una attitudine alla vita che non voglia mai assolvere e assolversi dal calcolo di quanto dovrebbe ancora ottenere per rilassarsi e sorridere senza tirare il freno. 






martedì 28 giugno 2016

Terra e cielo







Nella ciotola di terracotta color del cielo
le ginestre dalle radici tenaci e il giallo
ardore sono insieme al cardo viola
che sa di compassione

dal ritiro d'estate 24-26 giugno 2016 a Montali














domenica 19 giugno 2016

Danza all'aperto





Lascia andare i pensieri, prendi una pausa dalla pre-occupazione, smetti di leggere e dai uno sguardo all’aperto.  

Gli oleandri si dondolano dai fianchi ai capelli adorni di fiori rossi e ti guardano, la buganvillea alle loro spalle cinguetta, il sambuco con gli ombrellini bianchi e i tralci dell’edera dalle foglie larghe ritmicamente si chinano e rialzano.

Ogni pianta è animata da simpatia e rispondendo al vento ti offre amicizia e sollievo dalla compulsione.

Sotto il cielo meravigliosa è la danza.







sabato 11 giugno 2016

Filastrocca dei mutamenti







«Aiuto, sto cambiando!» disse il ghiaccio
«Sto diventando acqua, come faccio?
Acqua che fugge nel suo gocciolìo!
Ci sono gocce, non ci sono io!»
Ma il sole disse: «Calma i tuoi pensieri
Il mondo cambia, sotto i raggi miei
Tu tieniti ben stretto a ciò che eri
E poi lasciati andare a ciò che sei»
Quel ghiaccio diventò un fiume d’argento
Non ebbe più paura di cambiare
E un giorno disse: «Il sale che io sento
Mi dice che sto diventando mare
E mare sia. Perché ho capito, adesso
Non cambio in qualcos’altro, ma in me stesso»
di Bruno Tognolini, Le Filastrocche della Melevisione, Carlo Gallucci Editore


Il cambiamento può ispirare paura o ansia e quando ne siamo posseduti ci facciamo piccoli piccoli e ci chiudiamo in uno stato di confusione o di impotenza. 
Rimpiangiamo il passato che resta solido perchè non si muove più, siamo rigidi, cerchiamo sicurezze nella rigidità, e non vediamo i colori cangianti della vita. 
Il poeta ci invita alla calma, a distogliere lo sguardo dal ghiaccio che ferisce e acceca, a familiarizzarci con il lasciare andare e ad avere fiducia, a scioglierci e a riconoscere: "... sto diventando mare e mare sia."




domenica 29 maggio 2016

Quando siamo in difficoltà...





Quando siamo in difficoltà, quando sentiamo lo stress, la sofferenza della malattia, il disagio della vecchiaia, quando la freccia dell’avversità ci colpisce, quello specialmente è il momento in cui dobbiamo prenderci cura di noi, essere gentili con noi stessi, essere benevoli verso la nostra esperienza e comprensivi davvero per la nostra vita. 
L’amarezza deve poter trovare la strada per uscire così come è entrata. 
Spesso si inizia a conoscere se stessi imparando a volersi bene. 





sabato 21 maggio 2016

L'orto di Francesco






Nel cap.12 di Laudato sì, l’enciclica dedicata da papa Bergoglio alla crisi e alla cura della “casa comune” leggiamo che «san Francesco, fedele alla Scrittura, ci propone di riconoscere la natura come uno splendido libro nel quale Dio ci parla e ci trasmette qualcosa della sua bellezza e della sua bontà... Per questo chiedeva che nel convento si la­sciasse sempre una parte dell’orto non coltivata, perché vi crescessero le erbe selvatiche, in modo che quanti le avrebbero ammirate potessero ele­vare il pensiero a Dio, autore di tanta bellezza. Il mondo è qualcosa di più che un problema da risolvere, è un mistero gaudioso che contemplia­mo nella letizia e nella lode
Il riferimento all’orto è tratto da un brano della Vita seconda di San Francesco  (CXXIV, 165: Fonti Francescane 750) di Tommaso da Celano:

 “Quando i frati tagliano legna, proibisce loro di recidere del tutto l'albero, perché possa gettare nuovi germogli.
E ordina che l'ortolano lasci incolti i confini attorno all'orto, affinché a suo tempo il verde delle erbe e lo splendore dei fiori cantino quanto è bello il Padre di tutto il creato.
Vuole pure che nell'orto un’aiuola sia riservata alle erbe odorose e che producono fiori, perché richiamino a chi li osserva il ricordo della soavità eterna.
Raccoglie perfino dalla strada i piccoli vermi, perché non siano calpestati, e alle api vuole che si somministri del miele e ottimo vino, affinché non muoiano di inedia nel rigore dell'inverno.
Chiama col nome di fratello tutti gli animali, quantunque in ogni specie prediliga quelli mansueti.”

Come possiamo leggere questi insegnamenti?
Sulla proibizione di recidere del tutto l’albero. Può indicare rispetto e attenzione per la vita che ne abbraccia le radici. Nelle radici è la condizione della vita. Talvolta ci si accontenta e si ritiene soddisfatti da una conoscenza superficiale delle cose, delle situazioni e delle persone, ma questa è solo ignoranza, con una battuta o uno sguardo si ritiene di esaurire l’esperienza, laddove esperire implica una ripetuta familiarizzazione, dalla quale soltanto può germogliare la vita.
Sull’ordine di lasciare incolti i confini attorno all’orto e di preservare erbe e fiori. E’ una affermazione del primato del bello dei colori dei profumi e del canto libero sull’utile. Senza di che l’orto isterilisce nel calcolo del prodotto e tradisce la sua stessa origine. Lasciare intenzionalmente qualcosa di incolto è importante come un invito alla misura, al non cercare comunque e sempre l’abbondanza, anche a scapito delle condizioni, e soprattutto perché l’incolto non va letto come abbandono ma appunto come apertura e disponibilità a quel che viene indipendentemente dalla volontà e dalle preferenze individuali. La terra (e l’orto, il bosco, l’ambiente della vita) sono anche “casa comune” e non solo o principalmente proprietà privata, e terreno esclusivo dell’io-mio.
Sul soccorso prestato ai vermi e alle api. E’ sostegno alla vita in tutte le sue forme e esercizio di cura e di pazienza. La pazienza è un bene indispensabile e ineguagliabile. Salvare e sostenere la vita di altri esseri con atti ripetuti e pazienti di cura può essere più formativo e salutare di una petizione o una donazione fatta pigiando un bottone. Nel buddhismo mahayanico si parla di una “mente affettuosa del genitore” che l’essere umano ha la potenzialità di portare in tutti i suoi incontri con altri esseri viventi, situazioni, cose.
Sul nome di fratello dato agli altri animali. E’ comprensione che nasciamo da una vita universale, ciascuno di noi è vita, non siamo uguali ma siamo fratelli.

«Lasciare sempre una parte dell’orto non coltivata» può significare che quella parte non deve essere governata secondo la regola del guadagno, del profitto, del risultato, del frutto.
Che c’è una parte in cui non deve dominare la pianificazione e il disegno dell’ “uomo acquisitivo”.
Che quella parte resta aperta all’incontro di terra e cielo, pioggia e vento, sole e luna, aperta a una vita non prefissata dall’interesse materiale. Aperta alla contemplazione, alla meditazione intesa come pratica della bellezza e della verità.

L’orto di Francesco è una trasparente e fertile metafora del vivente, della natura, della società e in particolare dell’essere umano.
L’orto che può essere visto, e sentito, come organismo vivente, e insieme di macro e microorganismi.
L’orto, così facilmente inquinabile, richiama la realtà dell’essere umano e della necessaria consapevolezza di quelle condizioni non salutari che ne pregiudicano la salute, come avidità, rabbia e confusione.
L’orto che va rispettato e curato con presenza e costanza animate da compassione verso gli esseri viventi che ospita, riporta alla realtà di mente-corpo, la cui salute richiede la cura della benevolenza e della compassione verso se stessi.
L’orto ci ricorda che la tecnologia può portare all’estinzione se non è bilanciata da altri tipi di intelligenza.



                                                                                                       





giovedì 12 maggio 2016

Lhungse, la ciotola





Il Dalai Lama (prendendo spunto dal brano del Vangelo di Luca 9,1-6 in cui Gesù raccomanda ai discepoli di andare ad annunziare il regno di Dio e guarire gli infermi senza prendere nulla per il viaggio “né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro”) dice: “La ciotola per le elemosine che i monaci portano con sé si chiama (in tibetano) lhungse, ovvero “il recipiente che raccoglie ciò che viene loro offerto”. Questo nome dimostra come un monaco che vive di elemosine non ha diritto di esprimere preferenze su quanto gli viene dato”.

E’ un buon incoraggiamento per tutti all’equanimità, a non lagnarsi per quello che ci viene incontro giorno dopo giorno e un invito a tenere pulita la ciotola che lo raccoglie.






domenica 1 maggio 2016

I fiori e il loto





“I fiori freschi abbelliscono qualunque luogo in cui si trovano, non sminuiscono né danneggiano mai alcunché. Nel buddhismo sono un simbolo di purezza mentale. Di solito le immagini del Buddha lo mostrano seduto su un fiore di loto. Nel sudest asiatico, il fiore di loto cresce nelle paludi e negli stagni, sbocciando tra il fango e la melma. Si innalza al di sopra di tutto ciò e diviene un fiore magnifico. Quel fiore è come un essere umano morale. Un essere umano responsabile di ciò che fa è sempre una creatura magnifica da avere vicino a sé. Ovunque vada è il benvenuto; abbellisce, adorna. Al contrario, il mondo è ingombro di esseri umani egoisti, immorali e noncuranti, simili a erbe infestanti. Ecco perché il Buddha è seduto simbolicamente su un trono di loto: la saggezza del Buddha può provenire soltanto dalla purezza morale.
Gli esseri umani possono raggiungere qualunque livello. Possiamo vivere, come fanno molti, a livello istintivo del corpo, seguendo gli impulsi animali al cibo, al sonno e alla procreazione. Possiamo anche abbassarci sotto a quel livello ed essere ossessionati da desideri di bassa natura. Molti esseri umani vivono in questo modo. Non sono veramente umani; sono come spettri che vivono in un mondo crepuscolare di appetiti ossessivi e desideri insaziabili, come tossicodipendenti e alcolizzati. Oppure possono essere demoni, con un’energia malvagia che cerca di distruggere e di ferire gli altri. Il solo fatto che possedete un corpo umano non significa che siate pienamente umani. Non è così facile. Il regno umano è totalmente intriso di moralità, perciò essere umani implica anche l’aspetto mentale.
Solo quando decidiamo di assumerci la responsabilità della nostra vita diventiamo esseri umani a tutti gli effetti. Dobbiamo compiere lo sforzo di elevarci. Essere responsabili richiede fatica; non è qualcosa che avviene senza sforzo. Dobbiamo sceglierlo. Dobbiamo decidere di essere in quel modo e assumerci l’impegno e la fatica necessari. Viveversa, ci limiteremo a seguire gli impulsi istintivi che spesso sono auto indulgenti e di basso livello. Quando compiamo lo sforzo necessario, ci innalziamo a un livello superiore. Ecco cosa rappresentano i fiori e il loto.”

di Achaan Sumedho, da La mente e la via, Ubaldini





domenica 24 aprile 2016

Ognuno di noi è un cercatore...





“Non ci sono dubbi che ognuno di noi è un cercatore, in ognuno di noi c’è il desiderio di scoprire, di comprendere. Spesso la tendenza a porsi domande o a cercare di capire nasce in noi già in età molto giovane e ci spinge a domandarci: “Che cos’è la vita? Con quale scopo sono su questa terra? Quali sono i valori per me più profondi?” 
Poi, mano a mano che diventiamo adulti, perdiamo il contatto con la freschezza di queste domande, perché siamo tanto impegnati a cercare le risposte che ci dimentichiamo che la ricchezza è nella ricerca stessa, nel mistero, non nelle risposte. 
Grazie alla fiducia e alla fede è possibile riconquistare questo senso di innocenza che appartiene all’infanzia, dove l’interesse non risiedeva nelle giuste risposte, ma piuttosto nel guardare con curiosità e meraviglia la vita intorno a noi. 
Come cercatori possiamo risvegliare in noi quella semplicità che ci sostiene nell’aprirci al mistero della vita stessa.”

di Patricia Feldman Genoud, da SATI anno XXV, n.1 / 2016

[SATI è la rivista dell'A.Me.Co, Associazione per la Meditazione di Consapevolezza]









domenica 17 aprile 2016

Pensare pensieri






Talvolta ci rendiamo conto di stare pensando pensieri che partono da circostanze improbabili e persino da sciagure e disgrazie, specialmente altrui, e finisce che portano a un nostro guadagno o successo...
E’ allora il momento di prendere atto che una formidabile, molto sottovalutata e inconscia forza d’inerzia, che si nutre da sempre di “io” e di “mio”, mi propina di continuo l’illusione di me stesso come entità indipendente dotata di sostanza e di durata illimitata.
Immaginiamo occasioni e combinazioni favorevoli per realizzare desideri e questi mettono in moto altri pensieri che spesso indirizzano energie e prospettive verso orizzonti angusti e tossici.

E se ce ne accorgiamo non è perché siamo esseri razionali, questo viene dopo, se viene, ma probabilmente grazie a una pratica di consapevolezza che ci porta a intravvedere quel che è sepolto nel profondo e avvolto nelle morbide e sonnolenti coltri del torpore.