domenica 29 maggio 2016

Quando siamo in difficoltà...





Quando siamo in difficoltà, quando sentiamo lo stress, la sofferenza della malattia, il disagio della vecchiaia, quando la freccia dell’avversità ci colpisce, quello specialmente è il momento in cui dobbiamo prenderci cura di noi, essere gentili con noi stessi, essere benevoli verso la nostra esperienza e comprensivi davvero per la nostra vita. 
L’amarezza deve poter trovare la strada per uscire così come è entrata. 
Spesso si inizia a conoscere se stessi imparando a volersi bene. 





sabato 21 maggio 2016

L'orto di Francesco






Nel cap.12 di Laudato sì, l’enciclica dedicata da papa Bergoglio alla crisi e alla cura della “casa comune” leggiamo che «san Francesco, fedele alla Scrittura, ci propone di riconoscere la natura come uno splendido libro nel quale Dio ci parla e ci trasmette qualcosa della sua bellezza e della sua bontà... Per questo chiedeva che nel convento si la­sciasse sempre una parte dell’orto non coltivata, perché vi crescessero le erbe selvatiche, in modo che quanti le avrebbero ammirate potessero ele­vare il pensiero a Dio, autore di tanta bellezza. Il mondo è qualcosa di più che un problema da risolvere, è un mistero gaudioso che contemplia­mo nella letizia e nella lode
Il riferimento all’orto è tratto da un brano della Vita seconda di San Francesco  (CXXIV, 165: Fonti Francescane 750) di Tommaso da Celano:

 “Quando i frati tagliano legna, proibisce loro di recidere del tutto l'albero, perché possa gettare nuovi germogli.
E ordina che l'ortolano lasci incolti i confini attorno all'orto, affinché a suo tempo il verde delle erbe e lo splendore dei fiori cantino quanto è bello il Padre di tutto il creato.
Vuole pure che nell'orto un’aiuola sia riservata alle erbe odorose e che producono fiori, perché richiamino a chi li osserva il ricordo della soavità eterna.
Raccoglie perfino dalla strada i piccoli vermi, perché non siano calpestati, e alle api vuole che si somministri del miele e ottimo vino, affinché non muoiano di inedia nel rigore dell'inverno.
Chiama col nome di fratello tutti gli animali, quantunque in ogni specie prediliga quelli mansueti.”

Come possiamo leggere questi insegnamenti?
Sulla proibizione di recidere del tutto l’albero. Può indicare rispetto e attenzione per la vita che ne abbraccia le radici. Nelle radici è la condizione della vita. Talvolta ci si accontenta e si ritiene soddisfatti da una conoscenza superficiale delle cose, delle situazioni e delle persone, ma questa è solo ignoranza, con una battuta o uno sguardo si ritiene di esaurire l’esperienza, laddove esperire implica una ripetuta familiarizzazione, dalla quale soltanto può germogliare la vita.
Sull’ordine di lasciare incolti i confini attorno all’orto e di preservare erbe e fiori. E’ una affermazione del primato del bello dei colori dei profumi e del canto libero sull’utile. Senza di che l’orto isterilisce nel calcolo del prodotto e tradisce la sua stessa origine. Lasciare intenzionalmente qualcosa di incolto è importante come un invito alla misura, al non cercare comunque e sempre l’abbondanza, anche a scapito delle condizioni, e soprattutto perché l’incolto non va letto come abbandono ma appunto come apertura e disponibilità a quel che viene indipendentemente dalla volontà e dalle preferenze individuali. La terra (e l’orto, il bosco, l’ambiente della vita) sono anche “casa comune” e non solo o principalmente proprietà privata, e terreno esclusivo dell’io-mio.
Sul soccorso prestato ai vermi e alle api. E’ sostegno alla vita in tutte le sue forme e esercizio di cura e di pazienza. La pazienza è un bene indispensabile e ineguagliabile. Salvare e sostenere la vita di altri esseri con atti ripetuti e pazienti di cura può essere più formativo e salutare di una petizione o una donazione fatta pigiando un bottone. Nel buddhismo mahayanico si parla di una “mente affettuosa del genitore” che l’essere umano ha la potenzialità di portare in tutti i suoi incontri con altri esseri viventi, situazioni, cose.
Sul nome di fratello dato agli altri animali. E’ comprensione che nasciamo da una vita universale, ciascuno di noi è vita, non siamo uguali ma siamo fratelli.

«Lasciare sempre una parte dell’orto non coltivata» può significare che quella parte non deve essere governata secondo la regola del guadagno, del profitto, del risultato, del frutto.
Che c’è una parte in cui non deve dominare la pianificazione e il disegno dell’ “uomo acquisitivo”.
Che quella parte resta aperta all’incontro di terra e cielo, pioggia e vento, sole e luna, aperta a una vita non prefissata dall’interesse materiale. Aperta alla contemplazione, alla meditazione intesa come pratica della bellezza e della verità.

L’orto di Francesco è una trasparente e fertile metafora del vivente, della natura, della società e in particolare dell’essere umano.
L’orto che può essere visto, e sentito, come organismo vivente, e insieme di macro e microorganismi.
L’orto, così facilmente inquinabile, richiama la realtà dell’essere umano e della necessaria consapevolezza di quelle condizioni non salutari che ne pregiudicano la salute, come avidità, rabbia e confusione.
L’orto che va rispettato e curato con presenza e costanza animate da compassione verso gli esseri viventi che ospita, riporta alla realtà di mente-corpo, la cui salute richiede la cura della benevolenza e della compassione verso se stessi.
L’orto ci ricorda che la tecnologia può portare all’estinzione se non è bilanciata da altri tipi di intelligenza.



                                                                                                       





giovedì 12 maggio 2016

Lhungse, la ciotola





Il Dalai Lama (prendendo spunto dal brano del Vangelo di Luca 9,1-6 in cui Gesù raccomanda ai discepoli di andare ad annunziare il regno di Dio e guarire gli infermi senza prendere nulla per il viaggio “né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro”) dice: “La ciotola per le elemosine che i monaci portano con sé si chiama (in tibetano) lhungse, ovvero “il recipiente che raccoglie ciò che viene loro offerto”. Questo nome dimostra come un monaco che vive di elemosine non ha diritto di esprimere preferenze su quanto gli viene dato”.

E’ un buon incoraggiamento per tutti all’equanimità, a non lagnarsi per quello che ci viene incontro giorno dopo giorno e un invito a tenere pulita la ciotola che lo raccoglie.






domenica 1 maggio 2016

I fiori e il loto





“I fiori freschi abbelliscono qualunque luogo in cui si trovano, non sminuiscono né danneggiano mai alcunché. Nel buddhismo sono un simbolo di purezza mentale. Di solito le immagini del Buddha lo mostrano seduto su un fiore di loto. Nel sudest asiatico, il fiore di loto cresce nelle paludi e negli stagni, sbocciando tra il fango e la melma. Si innalza al di sopra di tutto ciò e diviene un fiore magnifico. Quel fiore è come un essere umano morale. Un essere umano responsabile di ciò che fa è sempre una creatura magnifica da avere vicino a sé. Ovunque vada è il benvenuto; abbellisce, adorna. Al contrario, il mondo è ingombro di esseri umani egoisti, immorali e noncuranti, simili a erbe infestanti. Ecco perché il Buddha è seduto simbolicamente su un trono di loto: la saggezza del Buddha può provenire soltanto dalla purezza morale.
Gli esseri umani possono raggiungere qualunque livello. Possiamo vivere, come fanno molti, a livello istintivo del corpo, seguendo gli impulsi animali al cibo, al sonno e alla procreazione. Possiamo anche abbassarci sotto a quel livello ed essere ossessionati da desideri di bassa natura. Molti esseri umani vivono in questo modo. Non sono veramente umani; sono come spettri che vivono in un mondo crepuscolare di appetiti ossessivi e desideri insaziabili, come tossicodipendenti e alcolizzati. Oppure possono essere demoni, con un’energia malvagia che cerca di distruggere e di ferire gli altri. Il solo fatto che possedete un corpo umano non significa che siate pienamente umani. Non è così facile. Il regno umano è totalmente intriso di moralità, perciò essere umani implica anche l’aspetto mentale.
Solo quando decidiamo di assumerci la responsabilità della nostra vita diventiamo esseri umani a tutti gli effetti. Dobbiamo compiere lo sforzo di elevarci. Essere responsabili richiede fatica; non è qualcosa che avviene senza sforzo. Dobbiamo sceglierlo. Dobbiamo decidere di essere in quel modo e assumerci l’impegno e la fatica necessari. Viveversa, ci limiteremo a seguire gli impulsi istintivi che spesso sono auto indulgenti e di basso livello. Quando compiamo lo sforzo necessario, ci innalziamo a un livello superiore. Ecco cosa rappresentano i fiori e il loto.”

di Achaan Sumedho, da La mente e la via, Ubaldini