martedì 26 dicembre 2017

La tua candela si è spenta, fratello






Achaan Chah, uno dei più noti tra i maestri della tradizione della foresta, in Thailandia, ha detto: “La rabbia è facile da vedere, e l’avidità è più sottile, ma la delusione è la più difficile. Tutti gli stati mentali che l’accompagnano offuscano e confondono. Basatevi sulla vostra esperienza, non su pensieri confusi. Imparate la differenza.”
E' vero: quando brancoliamo e ci muoviamo a tentoni, i nostri passi, gesti e pensieri parlano della delusione e della confusione in cui siamo persi.

Una storia zen mi ricorda che solo mantenendo accesa la luce della nostra esperienza possiamo evitare di essere travolti via, ma non è cosa facile.

Nei tempi remoti, in Giappone, si usavano lanterne di carta e di bambù, con le candele dentro. Una notte, a un cieco che era andato a trovarlo, un tale offrì una lanterna da portarsi a casa.
«A me non serve una lanterna» disse il cieco. «Buio o luce sono per me la stessa cosa». «Lo so che per trovare la strada a te non serve una lanterna,» rispose l’altro «ma se non l’hai, qualcuno può venirti addosso. Perciò devi prenderla».
Il cieco se ne andò con la lanterna, ma non era andato molto lontano quando si sentì urtare con violenza. «Guarda dove vai!» esclamò il cieco allo sconosciuto. «Non vedi questa lanterna?».
«La tua candela si è spenta, fratello» rispose lo sconosciuto.
da 101 storie zen, a cura di Nyogen Senzaki e Paul Reps, Adelphi

Dovremmo riuscire a fare attenzione a tutte le volte in cui la nostra candela si è spenta ma noi siamo spesso saldamente radicati nella convinzione che siano gli altri a non vederci, a non vedere la nostra lanterna che non manda più luce. e continuiamo imperterriti a brancolare nel buio.





martedì 5 dicembre 2017

Il viaggio di Gandhi









“La vera religione per Gandhi non era una questione di norme e di regole -scrive Judith M. Brown nella biografia che gli ha dedicato- ma un viaggio attraverso le realtà e gli accidenti della vita nel mezzo dei quali il dharma deve essere cercato e costruito. La sola vera guida in questo viaggio era la voce interiore della verità che ogni individuo deve addestrarsi ad ascoltare.” 

Occorre disponibilità e pazienza per fermarsi ad ascoltare e in più addestramento per riconoscere la voce della verità.









domenica 12 novembre 2017

Un piccolo placido sorriso interiore






“Vuoi applicare concentratamente sulla tua vita tutto il succo della più alta e d’ogni grande religione? Non hai che una cosa da fare, una cosa sola, semplicissima. Tenerti in serenità, in tranquillità, in pace, qualunque cosa accada e ti accada. Questo è tutto. Se fai solo questo basta. (…) Hai attuato in te lo Stoicismo… Hai attuato in te il Buddhismo: con le «beatitudini» buddhiste ripeti «viviamo in pace»; strappata la freccia dei lamenti e dei turbamenti… ”

(...)
“Tenerti sempre in serenità, traversare la vita con un costante piccolo placido sorriso interiore. Con questa sola semplice cosa sei il Saggio stoico, il perfetto bhikkhu buddista, anzi il bodhisattva, lo yogin o il samnyasin vedantico, l’autentico seguace di Cristo. (…) Semplice cosa. Ma come è difficile quella semplice cosa, quel costante piccolo placido sorriso interiore! Prova. E se, anche per un breve tratto riesci nell’esperimento, la sua stessa difficoltà ti dimostrerà che in quella semplice cosa v’è la pratica più ardua della filosofia e della religione; perché quella semplice cosa, quel piccolo placido costante sorriso interiore implica e significa distacco totale da ogni oggetto creato e dal mondo e totale abbandono a Dio”
Giuseppe Rensi (1871-1941), Lettere spirituali, Adelphi





sabato 4 novembre 2017

E' tua la scelta del sentiero






Spesso la gente lotta per capire il karma. Karma è semplicemente la legge di  causa ed effetto, e nelle nostre vite questa legge di causa ed effetto dipende dalle nostre intenzioni. Per capire, nota come la motivazione o l’intenzione che precede l’azione determini il futuro risultato karmico di quella azione. Se l’atto è motivato da sincera gentilezza, produrrà necessariamente un risultato positivo, e se un atto è motivato da aggressione o avidità, porterà in ultima istanza a un risultato spiacevole. Poiché i risultati karmici non sempre portano frutto nell’immediato, è talvolta difficile osservare questo processo.
La parola è un ambito nel quale il karma può essere visto in una maniera facile e diretta. Per questo esercizio, decidi di prendere due o tre giorni per notare con cura le intenzioni che motivano il tuo parlare. Dirigi la tua attenzione allo stato mentale che precede il parlare, la motivazione per i tuoi commenti, risposte e osservazioni.
Cerca di essere particolarmente attento a se la tua parola è anche sottilmente motivata da noia, preoccupazione, irritazione, solitudine, compassione, paura, amore, competitività, avidità, o qualunque stato osservi. Sii consapevole, inoltre, dell’umore generale o stato del tuo cuore o della tua mente, e di come potrebbe stare influenzando la tua parola.
Cerca di osservare senza alcun giudizio o anticipazione di quello che dovresti vedere. Semplicemente nota le diverse motivazioni nella mente e il discorso che ne deriva. Poi, dopo aver scoperto quale motivazione è presente mentre parli, nota l’effetto del discorso. Se c’è competitività o attaccamento o orgoglio o irritazione dietro le parole, che risposta sollecitano dal mondo che ti sta intorno? Se c’è compassione o amore, qual’è la risposta? Se il tuo parlare è sconsiderato, come se fossi in modalità pilota automatico, quale è la risposta? Se c’è chiarezza e cura, come è ricevuto e con quale risposta? 
Con la legge del karma in ogni nuovo momento abbiamo una scelta di quale risposta il nostro cuore e mente porteranno nella situazione intorno a noi. Scoprendo il potere dei nostri stati interiori di determinare le condizioni esterne, possiamo seguire un sentiero che può condurre a genuina felicità e libertà.

dal libro Seeking the Heart of Wisdom” di Jack Kornfield & Joseph Goldstein.







sabato 28 ottobre 2017

Un insegnamento






“Non si può insegnare agli altri ciò che non si è vissuto di persona.”


Evagrio il Pontico (345-399 d.C.)





















giovedì 28 settembre 2017

Amarezza e amore per la vita. Jane Austen vista da Virginia Woolf








Sembra che Virginia Woolf pensasse che quando si ha uno spirito non inquinato dall’amarezza, come Jane Austen, si possa anche guardare negli occhi l’amarezza seminata a piene mani nel mondo dalla sofferenza e dalla paura; e se non ci si lascia tentare dal dire alle persone come dovrebbero vivere, tutta la vita  possa essere un oggetto d’amore come lo è stata per Jane Austen.

“Veniva così naturale a Jane Austen descrivere le persone attraverso i loro difetti, che vi fosse stata una goccia di amarezza nel suo spirito, i suoi romanzi ci avrebbero dato il ritratto più coerentemente satirico della vita che possa esserci. Apriteli alla pagina che volete: sarete quasi certi di incappare in qualche passaggio che mirabilmente satireggia le assurdità dell’esistenza…le satireggia, ma senza amarezza, in parte senza dubbio perché lei era felice della sua vita, in parte perché non desiderava che le cose fossero diverse da come sono. Per il suo gusto, la gente non sarebbe mai potuta essere troppo assurda, la vita mai troppo piena di cose buffe e singolari, e quanto al dire alle persone come dovrebbero vivere, che costituisce il motivo della satira, avrebbe alzato le mani per la sorpresa al solo pensiero. La vita stessa: era quello l’oggetto del suo amore, del suo studio attento, era quella la ricerca che riempì gli anni non registrati e portò a esprimersi la «quieta intensità della sua natura», facendola sembrare al mondo esteriore un po’ critica e distaccata, e «talora molto austera.”

da uno scritto di Virginia Woolf che accompagna Ragione e sentimento (Sense and Sensibility) nella edizione Mondadori, Oscar Classici

















sabato 2 settembre 2017

To love, Amare











“To love is to give a space to grow”, maestro Zen Shōhaku Okumura

dal video Sit, di Yoko Okumura, dedicato allo Zen come cammino nella vita della famiglia Okumura.
















martedì 15 agosto 2017

Bashō e la rana





Dal blog Poesie senza pari riporto una mia poesia pubblicatavi il 9 agosto scorso:



BASHŌ E LA RANA

Un mattino il poeta Bashō
sentì una gran pace dentro
e invece di correre
a scrivere un haiku
si rilassò in quello che stava facendo
– stendere il bucato ad asciugare
sulla canna.
Fu in quel momento
che udì la rana tuffarsi
nel vecchio stagno: plof!


da AA. VV. Per una gentile compagna di viaggio, Dieci omaggi a Nancy Watkins, Fàmmera Edizioni, 2o17





domenica 23 luglio 2017

Viandanti del cuore





Siamo indifferenti o disattenti alle condizioni di mente e di cuore in cui viviamo abitualmente? Siamo divenuti insensibili all’orientamento dei nostri pensieri, alla loro pesantezza o tossicità? Diamo per scontati i nostri stati d’animo, ancorchè scoraggianti e deprimenti? Oppure la nostra ricerca “spirituale” si disinteressa e ha smesso da tempo di vedere il nostro aspetto fisico, il nostro portamento? E’ il momento di realizzare che le nostre intenzioni e motivazioni, le nostre riflessioni, sono connesse con l’ambiente interiore in cui viviamo, e anche quando non ne siamo consapevoli ne sono profondamente influenzate, in particolare se esso è segnato da negatività, abbandono, rassegnazione, sfiducia.
Molti sono i versi del Dhammapada, il classico libro della scuola del buddhismo antico, che ci richiamano alla realtà delle emozioni e dei modelli mentali in cui nel nostro viaggio nell’esistenza terrena possiamo restare impigliati e anche perderci, e di quel che ci offre sostegno e gioia. Leggendo il Dhammapada ci viene naturale vederci come viandanti del cuore, visualizzare le strade che percorriamo nel mondo come sono predisposte dalla nostra realtà mentale, dai suoi meccanismi, spesso inconsci, dalle abitudini, dalle distrazioni. E possiamo, grazie alla pratica di consapevolezza, realisticamente impegnarci a prenderci cura della mente-cuore, sostituire la trascuratezza con la sollecitudine, la paura e la negatività con l’intenzione positiva, l’ostilità con la gentilezza amorevole, e capiamo che da qui si diramano le strade che prendiamo.
Un noto insegnante di pratica della consapevolezza, Jack Kornfield, ha scritto un libro intitolato The Wise Heart in cui invita a praticare con fiducia la sostituzione di pensieri negativi con pensieri positivi. Raccomanda l’attenzione alle occasioni in cui i pensieri distruttivi emergono, qual è il bersaglio del loro criticismo, quali frasi utilizzano, da dove vengono queste frasi e che tipo di reazione generano nell’organismo, la vergogna, il giudizio devastante, la denigrazione sistematica. Una volta che la consapevolezza degli attacchi di negatività è sentita, Kornfield sollecita a crearsi un antidoto, due o tre semplici frasi che rovescino la falsità insita nei pensieri non salutari, “La vita è preziosa”, “Userò bene questo giorno”, o esprimano l’opposto della vergogna e dell’autosvalutazione, “Vivrò nobilmente e dignitosamente”, o l’opposto dell’ansia, “Vivrò con fiducia”. O potranno essere basate su espressioni desunte dalla pratica dell’amorevole gentilezza:
Che io possa amare me stesso proprio come sono.
Che io possa sentire in me il merito e il benessere.
Che io possa aver fiducia in questo mondo.
Che io possa aver compassione per me stesso.
Che io possa accogliere con compassione la sofferenza e l’ignoranza di altri.

A questo punto ogniqualvolta notiamo la presenza di pensieri distruttivi, inquinanti, ci fermiamo e intenzionalmente sentiamo la sofferenza che portano, tiriamo un respiro, tratteniamo il senso di sofferenza con gentilezza e poi mentalmente recitiamo le frasi che abbiamo scelto. Le ripetiamo comunque, che ne siamo o no convinti, come un antidoto alla sofferenza. Passerà del tempo prima che ci rendiamo conto che funzionano ma succederà. Forse sarà prima necessario passare attraverso più acute difficoltà e sofferenze ma succederà. Come semi che vengono piantati, insegna Kornfield, percepiamo con tenerezza ogni frase - come lasciando cadere semi di compassione e di cura nella nostra mente e corpo. Piantiamo queste frasi di gentilezza e piano piano, mentalmente, notiamo come la mente e il cuore diventino una fonte di nutrimento e di forza nel cammino.






giovedì 29 giugno 2017

It has been real




Una volta un amico americano di San Francisco, Kevin, un ragazzo che si manteneva agli studi di linguistica e di lingue facendo il carpentiere e che tra le sue molte abilità e risorse poteva contare uno spiccato entusiasmo per le culture native, mi invitò a un viaggio sul suo pickup, un camioncino con il retro scoperto che gli serviva anche per il lavoro, lungo la California del Nord, l’Oregon e lo stato di Washington.
Di questo viaggio memorabile per la bellezza della costa e della natura, la varietà del paesaggio e il carattere aperto verso tutte le direzioni di luoghi oceanici come Seattle mi colpì e mi resta in particolare il suono di una frase. Ci stavamo accommiatando da sua madre che ci aveva offerto la cena e il letto e Kevin la salutò con questa per me fino ad allora sconosciuta espressione: “It has been real” - il nostro incontro è avvenuto davvero, è stato reale.
Mi sembra un bel saluto e un augurio che dovrebbe accompagnare i nostri passi nella vita.
Augurio di vivere in contatto con la vita che scorre, essere più reali, sentirsi presenti momento per momento per quanti più momenti possiamo.  
Talvolta sembra che abbiamo paura di “essere reali” e ci riduciamo a ripetere schemi di incontro e clichè di presenza che nella loro fugace e distratta ripetitività sono rassicuranti.
Eppure la mente separata dal reale è spesso una mente isolata e impaurita, che giudica, critica, soffre. Può anche collezionare pensieri, esperienze e novità ma resta chiusa in se stessa, e nel proprio collezionismo.

Aprirsi con attenzione a quello che è così com’è rappresenta un momento di significativa trasformazione. L’attenzione crea una spaziosità interiore che non coincide con il conoscere intellettuale o il sapere questo e quello ma origina dall’esserci, dall’avere “abitato” quel luogo, da un contatto reale.





domenica 11 giugno 2017

Passare la vita nella propria testa







Una partecipante a un corso di meditazione scrisse all’insegnante, che era Frank Ostaseski: “Sempre più, con il passare del tempo, provo dispiacere: dispiacere per tutti gli anni che ho passato vivendo nella mia testa, giudicando, criticando e analizzando.”

da Cinque inviti di Frank Ostaseski, Mondadori











domenica 28 maggio 2017

Una lettera di Albert Einstein






Nel 1950 Albert Einstein scrisse una lettera a Robert E.Marcus, direttore del World Jewish Congress, il cui figlio era appena morto di poliomielite.

Egregio dottor Marcus,
un essere umano è parte di quel tutto che abbiamo battezzato «universo», una parte limitata nel tempo e nello spazio. Sperimenta se stesso, i propri pensieri e sentimenti come qualcosa di separato dal resto, una specie di illusione ottica della coscienza. La lotta per liberarsi da tale illusione è il solo scopo della vera religione. Non nutrire l’illusione ma cercare di sormontarla è il modo per raggiungere l’unica pace interiore che sia alla nostra portata.
Con i miei migliori auguri
Sinceramente suo,

Albert Einstein







sabato 13 maggio 2017

“Scegli il sentiero che ha un cuore”







«In uno dei suoi libri su Don Juan Castaneda chiede: “Come fai a sapere quale deve essere il tuo sentiero?”, e Don Juan risponde: “Scegli il sentiero che ha un cuore”, Castaneda replica: “Ma questo non è un sentiero particolarmente difficile?” E don Juan dice: “No, è negli altri [sentieri] che sta il difficile”. Ho scoperto che ciò è assolutamente vero.
(…)
Alla fine, nessun sentiero andrà bene al cento per cento. Farsi strada attraverso sentieri differenti, fare uso della propria innata saggezza e della propria consapevolezza, è parte della pratica. Il criterio che mi ha aiutato a decidere è l’originario criterio del Buddha: “Insegno soltanto la sofferenza e la fine della sofferenza”. Perciò chiedetevi: “Questo modo di vivere, questo metodo, questo insegnante, mi sta aiutando a liberarmi della mia sofferenza? La mia vita sta diventando meno pesante? Sto diventando meno egocentrico?”

Se non conoscete voi stessi, e intendo ciò al livello più ordinario, semplicemente ciò che vi piace e ciò che non vi piace, siete destinati a inciampare. I lunghi ritiri e le tecniche meditative sono cose belle e utili; ma se le usate a prezzo dell’onestà, dell’imparare a fronteggiare voi stessi e a vedere come vivete e come create sofferenza per voi stessi e per gli altri, allora non ho molta fiducia in esse. Potete essere intensamente concentrati a conseguire la calma, ma se non riuscite a conoscere voi stessi, qualcosa si insinuerà in voi e causerà sofferenza.

Non sono contro la relazione guru-discepolo, se aiuta la gente a liberarsi. Ma non è quello il modello per cui ho lavorato. Nella mia tradizione i Buddha semplicemente indicano la via e tu devi percorrere il sentiero. Ecco ciò che tanto mi piacque nel Buddhismo fin dall’inizio: è un sentiero di responsabilità. Mi considero un guardiano, un portiere. Una persona dice: “Mi trovo intrappolato in questa stanza; sono molto infelice”. Io indico la porta. La porta è nella mente. Dico alla gente che l’uscita dalla loro sofferenza non è più distante del loro respiro. Sta nello stesso luogo della sofferenza.

Ci sono alcune persone straordinarie nel mondo, persone che hanno saputo svilupparsi in misura notevole. Ma sono arrivate? La vita continua e ci sono sempre nuove sfide. Quindi ho rispetto per l’abito e per il lignaggio ma non ne sono eccessivamente impressionato. Tutto si riduce alla stessa cosa: eccoti qua, un essere umano, sulle due tue gambe. Sai prenderti cura di te stesso?

Ciò che dà soddisfazione è aiutare le persone a capire finalmente che, in ultima istanza, non c’è nessuno a cui far riferimento, che tutto ciò di cui hanno bisogno sta dentro di loro: vale a dire la loro capacità di essere autoconsapevoli e di imparare. In certi casi so di aver fatto bene il mio lavoro proprio quando una persona non si fa più vedere.

Una volta una donna si alzò e disse a Krishnamurti: “Sa, sono quindici anni che vengo a sentire i suoi discorsi e finalmente capisco quello che lei mi è venuto dicendo”. Egli chiese: “Che cosa, signora?” Ed ella rispose: “Ciò che è venuto dicendo negli ultimi quindici anni è che lei non può aiutarmi in nessun modo”. Ed egli disse: “Esattamente”.»


da una intervista a Larry Rosenberg, fondatore e insegnante guida del Cambridge Insight Meditation Center a Cambridge, Massachusetts. Tradotta e pubblicata su SATI, Rivista dell’Associazione per la Meditazione di Consapevolezza, A.Me.Co, 1-2017





domenica 23 aprile 2017

Il vento allena i gerani a radicarsi






La paura di non essere, di scomparire tra i gorghi del nulla, o di non essere all’altezza, a causa della quale finiamo dominati dall’illusionismo dell’apparire, della visibilità, dell’esibire (presenza, posizione, status, autorità...) e dell’esibirsi, ci porta a dimenticare, e separarci da, una condizione pura e non inquinata di rilassamento, di libertà e di fiducia nel vivere un momento dopo l’altro.
Occorre affidarsi al momento, accettarne la transitorietà, e accogliere la propria vulnerabilità.


Dinamismo dell’amore. Nel momento in cui cominciamo ad amare quello che non capivamo, e non volevamo capire, e lasciamo andare i giudizi e le condanne, l’amore si espande in gioia di vivere.


Tornare indietro è difficile; è più facile, e comodo, anche se pericoloso, proseguire per la stessa strada e ripetersi. Inizi a mangiare o a indulgere nei piacere dei sensi e continui a farlo all’eccesso. Ti convinci che è necessario smettere con gli eccessi e finisci per eccedere nelle mortificazioni. Ti rendi conto che la transitorietà e l’impermanenza sono caratteristiche dell’esistenza umana e finisci per disprezzare la vita e non vedi più le possibilità di valorizzarla e darle un significato.
Nella storia di Siddharta c’è un momento più importante di ogni altro -del lasciare il palazzo paterno, del lasciare la casta di appartenenza, del lasciare gli averi e gli affetti- ed è quello in cui lascia la via della mortificazione a oltranza e abbraccia la via di mezzo quando interrompe il digiuno e gli stenti che lo uniscono agli asceti itineranti e accetta la tazza di riso che gli viene offerta da una donna. In quel momento viene riconosciuta la possibilità e la salutarietà del contraddirsi, del fare un'inversione e di prendere una via che non sia basata sull’accumulazione e sulla ripetizione, ma valorizzi il fluire, il cambiamento e la presenza consapevole momento per momento come premessa per scelte di liberazione e per la gioia di vivere.







domenica 2 aprile 2017

Il senso del presente







“Il presente ha un senso per il suo contenuto, non come ponte verso il futuro. E il suo contenuto è il nostro contenuto nel presente, con il quale viene colmato il nostro vuoto, se sappiamo accoglierlo.”
Dag Hammarskjöld, Tracce di Cammino, p.80 edizioni Qiqajon Comunità di Bose


Dag Hammarskjöld nacque in Svezia nel 1905 e fu segretario generale dell’ONU dal 7 aprile 1953, data della sua elezione, al 1961, anno in cui la sua vita ebbe termine in un incidente aereo a Ndola, nell’attuale Zambia, nel corso di una missione per risolvere la crisi congolese. Tracce di Cammino è il titolo con cui venne pubblicato, postumo, il suo diario. 
In questo blog un precedente post, del 22/02/ 2015, intitolato Dire sì riporta una riflessione di Hammarskjöld tratta dal discorso, “Fede antica in un mondo nuovo”.








sabato 25 marzo 2017

Fiducia e amore





 La fiducia è una forma di amore per la persona – o per l’oggetto - che la suscita. E’ un modo in cui si sente l'amore ed è inizio di amore che si riflette su tutti gli aspetti della vita, come capacità di amare e di riconoscere la dinamica dell’amore. Siamo presi da meraviglia quando sentiamo che le riserve e le perplessità suscitate dal comportamento di una persona o da una situazione hanno lasciato il posto a un sentimento più positivo e un atteggiamento più aperto. E’ il segno che le nostre difese sono scivolate a terra, che le nostre aspettative, spesso cariche di ego-centrismo, sono cadute e che siamo in grado di accettare le cose così come sono. Proprio da questa accettazione nasce una disponibilità a lasciarci contattare dalla realtà, a sperimentare come cambia ed evolve, ad aprirci all’inatteso che è il futuro. 







sabato 11 marzo 2017

11 marzo 2011-11 marzo 2017






La realtà esige



La realtà esige
che si dica anche questo:
la vita continua.
Continua a Canne e a Borodino
e a Kosovo Polje e a Guernica.

C’è un distributore di benzina
nella piazzetta di Gerico,
ci sono panchine dipinte di fresco
sotto la Montagna Bianca.
Lettere vanno e vengono
tra Pearl Harbor e Hastings,
un furgone di mobili transita
sotto l’occhio del leone di Cheronea,
e ai frutteti in fiore intorno a Verdun
si avvicina solo il fronte atmosferico.

C’è tanto Tutto
Che il Nulla è davvero ben celato.
Dagli yacht ormeggiati ad Azio
arriva la musica
e le coppie danzano sui ponti nel sole.

Talmente tanto accade di continuo
Che deve accadere dappertutto.
Dove non è rimasta pietra su pietra,
c’è un carretto di gelati
assediato dai bambini.
Dov’era Hiroshima
c’è ancora Hiroshima
e si producono molte cose
d’uso quotidiano.

Questo orribile mondo non è privo di grazie,
non è senza mattini
per cui valga la pena svegliarsi.

Sui campi verdi di Maciejowice
l’erba è verde
e sull’erba, come è normale sull’erba,
una rugiada trasparente.

Forse non ci sono campi se non di battaglia,
quelli ancora ricordati,
quelli già dimenicati,
boschi di betulle e boschi di cedri,
nevi e sabbie, paludi iridescenti
e forre di nera sconfitta,
dove per un bisogno impellente
ci si accuccia oggi dietro un cespuglio.

Qual è la morale? – forse nessuna.
Di certo c’è solo il sangue che scorre
e, come sempre, qualche fiume, qualche nuvola.

Sui valichi tragici
il vento porta via i cappelli
e non c’è niente da fare –
lo spettacolo ci diverte.


di Wisława Szymborska, da Vista con granello di sabbia, Adelphi











domenica 5 marzo 2017

Tesoro interiore







Non c’è nulla che si debba cercare di ottenere attraverso qualsivoglia forma di privazione, punizione, disciplina o stento. Tutti gli esseri sono essenzialmente Buddha, tutti gli esseri sono Buddha, o Buddhi - illuminati: tutto quello che occorre fare è rendersene conto.

Non si ha il tesoro interiore, si è il tesoro interiore. Quando ci si distacca da questa verità, credendo che la ricerca debba essere perseguita all’esterno nelle attività e negli sforzi, allora si ignora quel tesoro interiore. Questo è il vero significato di ignoranza – non che uno sia offuscato o stupido, ma che stia ignorando la realtà essenziale che è sempre stata presente. E’ questa l’ignoranza che porta alla nascita esseri in una continua ricerca di qualcosa che pensano di dovere ottenere e che essi già sono. (...) Semplicemente respira e lascia che il corpo dimori nella tranquillità e nel rilassamento, e al punto di sentirsi tranquilli e rilassati in ogni attività, che sia camminare o solo essere nella calma in quello che si sta facendo – e nel momento in cui ti senti bene, dì: “Questo è il tesoro”.
di John Garrie, da the way is without flaw





venerdì 24 febbraio 2017

Oltre le prescrizioni ricevute





“Il racconto tradizionale narra del re Śuddhodana a cui nasce un figlio e a cui i brahmani predicono che questo figlio diventerà un monarca universale oppure un grande saggio veggente. Il padre si premura di evitare che questa seconda possibilità si avveri e organizza per il figlio, Siddhārta, una vita di piacere protetta dalla visione e dalla conoscenza degli aspetti negativi della vita. Inevitabilmente, però –come scrive Cristina Pecchia- questo figlio privilegiato viene a contatto con sofferenze di vario tipo in alcune gite fuori dal palazzo. Siddhārta incontra un vecchio, in una successiva uscita un malato, e in una terza un morto. (...) Di fronte all’inquietudine che prende Siddhārta, l’auriga lo esorta a non disprezzare i piaceri dei sensi e anzi a riconoscere l’appagamento dei sensi e la passione amorosa come un bene altissimo; è un invito a identificarsi con il sistema dato dalla tradizione. L’atteggiamento di Siddhārta è controcorrente: un dato conoscitivo, legato alla presa di contatto con la realtà, è fonte di un diverso sguardo sulla realtà tutta e di una profonda inquietudine per le certezze che va a minare...
Siddhārta non si distrae, non fugge, rimane con questa inquietudine e in modo attivo, con un’apertura alla scelta, all’eventuale cambiamento. Esce di nuovo dalla sua città alla ricerca di quiete e per vedere luoghi boscosi; dopo una fase meditativa in cui comprende come tutto sia sofferenza, vede un asceta itinerante (śramana) che vive senza possessi in luoghi solitari e che persegue lo stato di libertà dalla sofferenza. Siddhārta decide di farsi asceta itinerante; sceglie di andare fuori dal palazzo, fuori dal ruolo assegnatogli fin dalla nascita, fuori dall’identità propostagli dalla famiglia (il padre) e dalla società (l’auriga), e di intraprendere il percorso śramanico, ricercando nuove guide. Le pratiche di rinuncia di vari asceti non lo soddisfano perché in effetti mirano a raggiungere il cielo e non a superare in modo definitivo il ripetersi dell’atto e dunque la rinascita. Si recherà poi da due maestri che gli daranno insegnamenti molto elevati relativi a pratiche meditative e alla natura della liberazione. Ma anche questi insegnamenti non costituiscono una risposta soddisfacente perché l’abbandono progressivo che dev’essere praticato non arriva all’abbandono di colui che compie le pratiche, ovvero il sé, che potenzialmente può sempre legarsi alla sofferenza. La sua ricerca –puntualizza Cristina-  prosegue oltre le prescrizioni ricevute all’interno della sua cultura. Dopo una lunga pratica di digiuno e di rinunce che non trova adatta a raggiungere la liberazione decide di recuperare le forze fisiche necessarie alla mente e accetta il riso offertogli da una donna; ne mangia, si bagna nel fiume, e si incammina verso Gayā, dove la sera riprende la meditazione ai piedi di una ficus religiosa, l’albero della bodhi (risveglio, illuminazione), e raggiunge il Risveglio, diventando un buddha, un risvegliato. Di nuovo una scelta, attraverso un’inquietudine generata da una nuova conoscenza, ha fatto aprire a un’altra scelta, quella di uscire ulteriormente dai tracciati proposti dall’esterno, che fanno accettare la propria identità quanto più essa è costruita secondo quei tracciati: accettare di mangiare riso è infrangere il digiuno, è non contribuire alla costruzione dell’identificazione con il perfetto śramana; ma il fatto di togliere materiale a questa costruzione porta al Risveglio. L’intento è infatti abbandonare qualunque veste l’io assuma e questo può tradursi in adesione o negazione nei riguardi di un’immagine, un ruolo ecc. ai quali in definitiva si attribuisce un valore di realtà.
L’esperienza del Buddha mostra che le parole del maestro, anche quando hanno la forma di istruzioni, di precetti, non possono che valere come indicazioni di percorso, perché la realizzazione di quel percorso, ovvero uscire dall’identificazione con alcunché, sia pure il modello ascetico, significa non dare più credito all’idea di io, né concettualmente né emotivamente. Il punto in cui ciò accade si trova sperimentando; se, quando e quanto riso mangiare è cosa che nessun maestro può dire e si può decidere soltanto attraverso una pratica rivolta a decostruire l’io, non a esaltarlo o mortificarlo. Si dice per esempio nel Suttanipāta:

I saggi chiamano vincolo quella visione in base alla quale si vede il resto come inferiore. Perciò un bhikku (monaco) non dovrebbe dipendere da niente che abbia visto, udito o pensato, né da una condotta virtuosa, né da voti.

Una visione, una dottrina, una pratica, alla quale si aderisce può diventare fonte di dipendenza, vincolo che restringe all’ambito del positivo ciò che la costituisce e relega al livello inferiore ciò che è diverso da essa”.


da C.Pecchia, Scegliere il Buddha come maestro, in Maestri (a cura di M.Colafato), FrancoAngeli editore