sabato 22 dicembre 2018

Ehi, vieni fuori dal bozzolo!







In tanti siamo portati dall'egocentrismo e dall’autoreferenzialità a trascurare l’attenzione alla qualità della presenza consapevole nelle relazioni con familiari, amici, compagni di pratica, colleghi e a concentrarci con maggiore o minore devozione sul nostro bozzolo. E qualcuno di noi ha la capacità di imbozzolarsi così impermeabilmente da non percepire più la presenza altrui se non quando la propria è ormai per gli altri diventata una assenza. E’ proprio il caso di ripetersi più frequentemente l’invito della maestra Pema Chōdrōn: “Datti una chance di venir fuori dal tuo bozzolo.”
La pratica della meditazione se non è una fuga dal mondo o un desiderio di rinascita fondato su respingimenti e rifiuti di qualcosa di noi stessi che non ci piace, potrebbe rappresentare un mezzo abile nelle nostre mani e una buona occasione per aprirsi alla vita.

«Siamo creature di sensazioni e possiamo diventare habitués di particolari sensazioni preferite (di qualunque tipo) e pronti a smuovere cielo e terra per procurarcene l’esperienza» ha detto John Garrie, maestro zen.
Con la coltivazione della consapevolezza possiamo capire come, portati dalla lunga familiarità con le sensazioni preferite, siamo condizionati a incrementarne la frequenza e l’intensità. E così trascuriamo l'attenzione alle facce più creative e innovative della nostra esperienza, l’esplorazione delle nostre potenzialità, e il coraggio di uscire dal chiuso di abitudini e di paure. 
“Vieni fuori dal bozzolo!”, "Che io possa uscire dal mio bozzolo", ecco  l'augurio che faremmo bene a rivolgere a noi stessi per il Natale e il Nuovo Anno!







lunedì 3 dicembre 2018

La perfezione











La perfezione non è necessariamente impeccabile.
Spesso è semplicemente qualcosa fatta col cuore.
Perfezione è un lavoro completato,
una gloria resa, una preghiera ascoltata.
Può essere un gesto gentile,
dei ringraziamenti.
Perfezione è ciò che scopriamo gli uni negli altri
quello che poi vediamo riflesso.
E se la perfezione ci sfugge
non importa.
Perché ciò che viviamo
nel momento è sufficiente.

da Call the Midwife, una serie di film tratta dal libro omonimo scritto da Jennifer Worth, prodotta da Netflix

domenica 11 novembre 2018

"La mente crea l’abisso, il cuore lo attraversa" Sri Nisargadatta







Talvolta ci scopriamo cocciutamente attaccati ai nostri pensieri. Pensiamo che senza di essi la nostra vita sarebbe vuota, e poi spesso questi pensieri si accompagnano a - o fanno tutt’uno con- ricordi da cui non vogliamo e da cui non ci sembra possibile distaccarci. Quei nostri irrinunciabili pensieri, punti di vista, opinioni ci sono costati tanto impegno e tanto sforzo: lasciarli andare non sarà autolesionistico? in fondo che cosa otterremo in cambio di un così grande sacrificio? E’ tanto forte il nostro attaccamento che appena assaporata la vita senza il peso di qualche pensiero ecco che ci affrettiamo a ritornare sui nostri passi per riprenderci ciò che diciamo “mio”. Così un pensiero che è frutto di circostanze casuali e di occasionali combinazioni lo trasformiamo in un fondamento della nostra filosofia. Ci leghiamo mani e piedi e più il legame è stretto e doloroso più lo giudichiamo imperdibile per la nostra vita.
“Tu non sei i tuoi pensieri” dice Jack Kornfield in “The Wise Heart”. E aggiunge: “Gran parte della nostra sofferenza mentale viene da quanto strettamente ci stringiamo alle nostre credenze, pensieri e prospettive.”
“Ma –continua- se i pensieri sono vuoti, su cosa possiamo fare affidamento? Dov’è il nostro rifugio? Ecco come il saggio indiano Nisargadatta risponde a questa domanda: “La mente crea l’abisso, il cuore lo attraversa.” La mente che pensa costruisce visioni di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato, buono e cattivo, di sé e dell’altro. Queste sono l’abisso. Quando lasciamo che i pensieri vengano e vadano senza aggrapparci, possiamo usare il pensiero, ma riposare nel cuore. Diventiamo più fiduciosi e coraggiosi. C’è una qualità di innocenza propria del cuore. (...) Riposando nel cuore viviamo in armonia con il nostro respiro, con il nostro corpo. Riposando nel cuore la nostra pazienza cresce. Non dobbiamo pensare tutto. La vita si sta svolgendo intorno a noi.”













giovedì 1 novembre 2018

Quel che ci portiamo dentro







Albert Camus scrive: “Noi tutti ci portiamo dentro i nostri luoghi di esilio, i nostri crimini, le nostre devastazioni. 
Non è nostro compito quello di scatenarli contro il mondo ma di trasformarli dentro di noi.”














martedì 9 ottobre 2018

L'impudenza







La vita sembra facile
per chi non conosce vergogna,
per chi è impudente come un corvo,
arrogante, aggressivo
invadente e corrotto

dal Dhammapada, strofa 244


Anche se talvolta le persone elogiano un comportamento sfrontato, non significa che sinceramente lo ammirino. Spesso è solo che un comportamento del genere consente di divertirsi. A seconda dello stato d’animo in cui si trovano, le persone possono essere divertite da ogni sorta di atteggiamenti nocivi: violenza, rudezza, arroganza. Ma quando lo stato d’animo cambia, lo stesso atteggiamento può creare, nella stessa misura, repulsione. Quando la mente è oscurata dall’egocentrismo, qualità come l’empatia e la compassione vengono messe facilmente in secondo piano. È saggio prestare attenzione a cosa ci consentiamo di trovare divertente.

commento di Achaan Munindo
traduzione di Chandra Candiani

dal sito del Monastero Buddhista Santacittarama






venerdì 31 agosto 2018

Un sentiero c'è




Come esseri umani facciamo esperienza di gioie, di speranze, affanni, ansie, momenti di sollievo, delusioni… Si susseguono giornate luminose e giornate cupe, ore liete e ore pesanti, stati mentali benefici e stati mentali distruttivi…
Spesso restiamo abbarbicati alle esperienze e alle sensazioni che ci procurano, ripetiamo comportamenti e modelli che non amiamo e che ci deprimono, ma non sappiamo liberarcene.
Talvolta però lasciamo che sia l’esperienza stessa nella sua concretezza a interrogarci, impariamo a non dirottare le responsabilità e a cercare risposte vere, sincere, oneste e reali alla sofferenza che ci stringe.
Abbiamo sentito dire di sentieri antichi, che sono stati battuti da tempi lontani e che nessuno può percorrere al posto nostro! Allora ci mettiamo in cammino – non c’è altro da fare, non basta leggere, non è sufficiente avere belle idee o ripetere teorie suggestive.
Se perseveriamo con coraggio e allegrezza d’animo lungo il cammino conosceremo cose meravigliose tra cui la più sorprendente per ricchezza e generosità è l’apertura dell’io e l’amicizia con i maestri e i compagni di pratica che sono animati dal nostro stesso desiderio di bene e di liberazione. 







domenica 22 luglio 2018

La goccia d'acqua e la pietra








Dice un antico proverbio latino: Gutta cavat lapidem non vi, sed saepe cadendo (“la goccia scava la pietra non con la forza, ma cadendo in continuazione”). Ogni giornata può contenere almeno una goccia che scava la tua pietra interiore togliendole a poco a poco le dure asperità: se l’accogli, da puntuto e aguzzo che sei, con quelle punte superbe dell’ego che ti fanno aspirare a essere chissà chi, e che poi, quando vieni sconfitto, ti fanno scappare risentito dalla vita, se l’accogli, dicevo, vieni gradatamente lisciato, levigato, arrotondato, quasi ammorbidito e diventi più bello. Ricordo la meraviglia suscitata in me dalle rocce della Valcamonica, levigate dagli elementi atmosferici giorno dopo giorno, anno dopo anno, secolo dopo secolo, millennio dopo millennio, fino a trasformarsi in quelle stupefacenti lavagne naturali su cui i camuni migliaia di anni fa poterono tracciare i loro segni misteriosi. E noi che cosa possiamo fare di più bello delle nostre esistenze, se non trasformarle in lavagne naturali?
Forse davvero non c’è nulla di più sensato, alla fine, se non aspirare a essere come pietra levigata che, a mò di lavagna, accoglie i sensi impressi dalla potenza superiore della vita, da quella forza immensamente più grande da cui veniamo e verso cui andiamo, e che non può essere definita con una sola denominazione né con tutte le denominazioni messe insieme. I segni impressi su di noi possono essere ferite più o meno profonde il cui unico senso è la passione e il dolore, oppure, ricombinate creativamente dalla nostra libertà alimentata dalla sapienza, possono prendere la forma di bianche parole con un messaggio che la nostra vita trasmette fraternamente ad altre vite.
(...)
Eccoci al punto decisivo: ognuno di noi è, e diventa, ciò che guarda, ciò che desidera, ciò che pensa. In altre parole: la qualità della tua vita interiore, il valore di ciò che sei, la possibilità di sperimentare e di connetterti con il Mistero, dipendono da te, dalle tue scelte. Le grandi autorità spirituali del passato e del presente non lasciano dubbi:
- Siddharta Gautama detto il Buddha: "Qualunque cosa un monaco frequentemente pensi e consideri, quella diventerà l'inclinazione della sua mente".
- Gesù detto il Cristo: "Dov'è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore" (Matteo, 6,21).
- Plotino: "Ogni anima è e diventa ciò che guarda".
(...)
Tu diventi ciò di cui ti nutri, ciò di cui ti circondi, ciò che scegli come tua compagnia"

da Vito Mancuso, Il bisogno di pensare, Garzanti, p.168-171










domenica 8 luglio 2018

La cosa più importante







“Tutto avviene secondo un ritmo più profondo che si dovrebbe insegnare ad ascoltare, è la cosa più importante che si può imparare in questa vita.”
Etty Hillesum, Lettere 1942-1943, Adelphi

giovedì 28 giugno 2018

Non ti arrendere









Non ti arrendere, ancora sei in tempo
per arrivare e cominciare di nuovo,
accettare le tue ombre
seppellire le tue paure
liberare il buon senso,
riprendere il volo.

Non ti arrendere perché la vita è così
Continuare il viaggio
Perseguire i sogni
Sciogliere il tempo
togliere le macerie
e scoperchiare il cielo.

Non ti arrendere, per favore non cedere
malgrado il freddo bruci
malgrado la paura morda
malgrado il sole si nasconda
E taccia il vento
Ancora c’è fuoco nella tua anima
Ancora c’è vita nei tuoi sogni.

Perché la vita è tua
e tuo anche il desiderio
Perché lo hai voluto e perché ti amo
Perché esiste il vino e l’amore,
è vero.
Perché non vi sono ferite che non curi il tempo

Aprire le porte
Togliere i catenacci
Abbandonare le muraglie
Che ti protessero
Vivere la vita e accettare la sfida
Recuperare un sorriso
Provare un canto
Abbassare la guardia e stendere le mani
aprire le ali
e tentare di nuovo
Celebrare la vita e riprendere i cieli.

Non ti arrendere, per favore non cedere
malgrado il freddo bruci
malgrado la paura morda
malgrado il sole tramonti e taccia il vento,
ancora c’è fuoco nella tua anima,
ancora c’è vita nei tuoi sogni,
perché ogni giorno è un nuovo inizio
perché questa è l’ora e il miglior momento
perché non sei sola, perchè io ti amo.









lunedì 4 giugno 2018

Valore della consapevolezza







Consapevolezza è dare importanza al qui e ora, è valorizzare il momento presente. Quando teniamo lo sguardo fisso sul passato o sul futuro viviamo sbadatamente, e non attribuiamo significato alla nostra presenza qui e ora. E spesso quel che si accompagna al vivere sbadatamente è una presenza caratterizzata da rinuncia e sfiducia, una presenza non presente. In questi casi basta poco, un’emozione che non piace, la sensazione di uno scarto, un errore di poco conto per proiettare un’ombra di pessimismo e di negatività su intere giornate.
Grazie alla pratica meditativa possiamo accogliere stati d’animo che non ci piacciono e invece di soccombere o identificarci con essi li lasciamo transitare e svanire accompagnandoli con una espirazione. Vediamo così la vita come qualcosa di molto meno solido e ci muoviamo con agilità al suo interno evitando di farci ipnotizzare dalla negatività e dalla sfiducia.
Capiamo che la consapevolezza è amica di uno sguardo spazioso che non solidifica in giudizi.

(Montali, ritiro meditativo 1-3 giugno 2018)







sabato 12 maggio 2018

Libertà di commettere errori





Gandhi disse: “Non vale la pena di avere la libertà se non include la libertà di commettere errori.” Non aver paura di commettere errori. Vai fuori. Prendi il volo. Anche se ti bruci, puoi cadere a terra e iniziare di nuovo. Il maestro Zen Dogen ridendo chiamò la vita “un errore continuo”. Sì, c’è la paura di apparire malconci, ma più tardi quando rivedrai la tua vita, vorresti esserti trattenuto? Probabilmente no.
Talvolta, limitiamo la nostra libertà perché pensiamo che ci travolgerà. O pensiamo di non meritarla. Oppure temiamo che il nostro ego ci porterà fuori strada... Vincoliamo noi stessi dall’essere “troppo liberi.”
Tutti incespicano. Nel ritmo ordinario di vita, vacilliamo e poi impariamo dalle nostre sofferenze. Talvolta ci preoccupiamo per la nostra tendenza ad andare oltre, a sognare piani inebrianti per noi stessi, visioni gonfiate del futuro. Altre volte ci sentiamo inadeguati o indegni. Riconosci queste paure con gentilezza. Ma non seguirne il consiglio. (...) Ascolta il tuo cuore, e consulta il tuo corpo e la tua testa. Poi, agisci, sperimenta, fai un passo, impara, scopri, cresci. Scopri la facilità del fare errori, fidarsi, fallire, lasciarti portar via da qualcosa più grande di te. (…)
In questo modo impari quella che è chiamata la libertà di imperfezione. Con questa libertà viene gioia, giocosità, perdono e compassione per te stesso e per gli altri. Puoi gioire anche degli errori; sono parte del gioco. Tutto quello che puoi fare è agire con le migliori intenzioni, riconoscendo che non puoi controllare i risultati. “Non sapere,” una famosa pratica Zen, esprime la verità della nostra incarnazione umana. Poi, agendo liberamente, cedi il controllo sul risultato e volentieri lancia il tuo spirito unico nel mistero.
da Freedom to Make Mistakes di Jack Kornfield












martedì 24 aprile 2018

Due voci, Sostanza e Vacuità (Sūnyatā)








Quello di sostanza (lat.substantia, gr.hypostasis, hypokeimenon, ousia) è di certo il concetto fondamentale del pensiero occidentale. In Aristotele designa ciò che è stabile in ogni cambiamento. La sostanza è costitutiva dell’unità e dell’identità dell’ente. Il verbo latino substare (letteralmente: stare sotto), da cui deriva substantia, significa anche “resistere”, “sostenere”. Stare viene inoltre usato nel senso di “ritenersi, affermarsi, tenere testa”. Nella sostanza è dunque insita l’attività del persistere e insistere. Essa è il medesimo, l’identico, che insistendo in se stesso si delimita rispetto ad altro e con ciò si afferma. Oltre a “fondamento” o “essenza”, hypostasis significa anche “resistenza” e “fermezza”. La sostanza sta, per così dire, fermamente in se stessa: in essa è inscritta la tensione verso se stessa, l’aspirazione a possedersi. Ousia, nell’uso corrente, vuol dire “patrimonio, possesso, proprietà, tenuta” o “proprietà fondiaria”. La parola greca stasis, poi, non significa solo “stare”, ma anche “rivolta, insurrezione, conflitto, discordia, contesa, inimicizia” e “partito”. Questo atrio linguistico del concetto di sostanza, di certo si basa su un movimento non pacifico o amichevole, lo prefigura in modo congeniale. La sostanza si basa su un movimento di separazione e distinzione; delimita una cosa dall’altra, mantiene ogni cosa nella sua identità con se stessa. La sostanza non è perciò concepita per l’apertura, bensì per la chiusura.

Sūnyatā (vacuità), il concetto centrale del buddhismo, rappresenta per molti aspetti il concetto opposto a quello di sostanza. La sostanza è per così dire piena: essa è ricolma di sé, del proprio (Eigen). Sūnyatā indica invece un movimento di es-propriazione (Ent-Eignung), ovvero svuota l’ente che si ostina in se stesso, che si irrigidisce in se stesso o in se stesso si chiude. Lo immerge in una apertura, in un’aperta vastità. Nel campo della vacuità nulla si condensa in una massiccia presenza. Nulla si basa esclusivamente su se stesso.

da Filosofia del buddhismo zen, di Byung-Chul Han, edizioni nottetempo










martedì 10 aprile 2018

Nella moltitudine







“Sono quella che sono.
Un caso inconcepibile
come ogni caso.

In fondo avrei potuto avere
altri antenati,
e così avrei preso il volo
da un altro nido,
così da sotto un altro tronco
sarei strisciata fuori in squame.

Nel guardaroba della natura
c’è un mucchio di costumi: di
ragno, gabbiano, topo campagnolo.
Ognuno calza subito a pennello
e docilmente è indossato
finchè non si consuma.

Anch’io non ho scelto,
ma non mi lamento.
Potevo essere qualcuno
molto meno a parte.
Qualcuno d’un formicaio, banco, sciame ronzante,
una scheggia di paesaggio sbattuta dal vento.


Qualcuno molto meno fortunato,
allevato per farne pelliccia,
per il pranzo della festa,
qualcosa che nuota sotto un vetrino.

Un albero conficcato nella terra,
a cui si avvicina un incendio.

Un filo d’erba calpestato
dal corso di incomprensibili eventi.

Uno nato sotto una cattiva stella,
buona per altri.

E se nella gente destassi spavento,
o solo avversione,
o solo pietà?

Se al mondo fossi venuta
nella tribù sbagliata
e avessi tutte le strade precluse?

La sorte, finora,
mi è stata benigna.

Poteva non essermi dato
Il ricordo dei momenti lieti.

Poteva essermi tolta
L’inclinazione a confrontare.

Potevo essere me stessa – ma senza stupore,
e ciò vorrebbe dire
qualcuno di totalmente diverso.
Wisława Szymborska










giovedì 29 marzo 2018

Sul tram delle illusioni perdute







Di ritorno dall’ufficio pensioni salgo sul tram, il numero 3: il consueto parlottìo di donne di servizio dall’est Europa, le letture di libri o di smartphone degli studenti de La Sapienza, gruppetti di giovani cinesi e latini, le facce di anziani e di vecchi italiani.
Resto impressionato da alcune facce affaticate, consunte, voci flebili, occhi infossati, viso tirato, corpi prosciugati da tante illusioni andate in frantumi.
Il bilancio della vita sembra un tutto a perdere, ci si è affidati a illusioni, le abbiamo create a nostra immagine e somiglianza per far fronte a rovesci e sconfitte e per risalire la china dopo altre precedenti illusioni che si erano infrante e che ci avevano lasciato delusi. Arriva così il giorno in cui ci si ritrova senza più la voglia o l’energia di riprovare nè di capire. Talvolta ci si porta dentro un senso di delusione irredemibile così carico di angoscia e di confusione. Scopriamo che i nostri sogni non sono eterni. Lo sapevamo sì, ma intellettualmente - non l’avevamo ancora compreso davvero. Credevamo che i pupazzi di neve che plasmavamo durassero per sempre…
Nel buio di tale condizione l’esserne consapevoli non pare dare sollievo.
A che serve? - può venir fatto di chiedersi, di interrogare. L’essere umano confuso dalla sofferenza e dalla delusione può trovare rifugio nella consapevolezza della sua misera sorte? Non sarebbe meglio cercare uno sfogo nei piaceri, nell’ebbrezza, nell’oblìo?
Queste domande possono suonare inutili o provocatorie, ma sono per certi versi necessarie e salutari.
Se non le ascoltiamo rischiamo di nascondere a noi stessi che illudendoci di scampare alla sorte comune a tutti gli esseri umani, grazie al supposto speciale valore di nostri progetti o pensieri, stiamo andando incontro all’ennesima delusione. L’illusione di una presunta salvifica distinzione deve essere svelata dalla realizzazione della nostra comune umanità, del nostro non essere superiori, o a parte, rispetto agli altri esseri umani -solo questa realizzazione può aprire la strada alla compassione verso tutti, me compreso, ogni essere vivente incluso. L'attenzione, che Malebranche definisce "la preghiera naturale dell'anima", non deve essere menomata e avvilita dal giudicare questo o quello, ma allargarsi in una disposizione di benevolenza e apertura. Allora la consapevolezza non sarà quella fredda e amara medicina che va presa per difendersi dalla realtà così com’è, ma accompagnandosi a una pratica che non mi isoli dagli altri, apra il mio cuore a vivere il momento presente con amorevole gentilezza e con fiducia.










domenica 11 marzo 2018

11 marzo 2011-11 marzo 2018




La luna, le nuvole, la neve, la fioritura

  
Con il discorso di accettazione del Nobel per la letteratura nel 1968 Yasunari Kawabata apre il suo cuore al mondo spiegando quale significato abbia per la cultura giapponese la compagnia e la voce di alcuni monaci-poeti.  
Tra questi c'è Myōe di cui riporta tre poemi sulla luna d’inverno e il resoconto dettagliato della loro origine: «Nella notte del dodicesimo giorno del dodicesimo mese dell’anno 1224, la luna era dietro le nubi. Io sedevo in meditazione Zen nella sala Kakyū. Quando scoccò la mezzanotte terminai la meditazione e discesi dalla sala ai quartieri inferiori, nel mentre la luna uscì dalle nuvole e fece brillare la neve. La luna mi era compagna, e neppure il lupo che ululava nella valle faceva paura. Nel momento in cui venni via dai quartieri bassi, di nuovo la luna era dietro le nubi. Non appena la campana segnalò la vigilia di tarda notte, salii ancora una volta ai quartieri alti, e la luna mi vide per strada. Entrai nella sala di meditazione, e la luna, scacciando via le nuvole, era sul punto di tramontare dietro la vetta lontana, e mi sembrava che mi tenesse segreta compagnia.»
Ecco ora la prima delle tre poesie:

Luna d’inverno, che vieni
Dalle nuvole a tenermi compagnia,
E’ tagliente il vento, fredda la neve?

Kawabata dice di averla scelta “per la sua straordinaria gentilezza e compassione. Luna invernale, che vai dietro le nuvole e poi ne esci, facendo brillare le mie orme mentre raggiungo la sala di meditazione e ne scendo di nuovo, così che non ho paura dei lupi: il vento non affonda dentro di te, e la neve, non hai freddo? La considera una poesia che ha in sé la profonda quiete dello spirito giapponese” e  aggiunge: “la neve, la luna, la fioritura, parole che esprimono le stagioni nel mentre che muovono l’una nell’altra, includono nella tradizione giapponese la bellezza di montagne e fiumi ed erba e alberi, della miriade di manifestazioni della natura, e anche dei sentimenti umani.” 

La seconda poesia “fu composta da Myōe entrato nella sala di meditazione dopo aver guardato la luna discendere verso la montagna”:

Andrò dietro la montagna.
Ci andrò anch’io, luna.
Notte dopo notte ci faremo l’un
l’altro compagnia.

E la terza, preceduta da queste parole dello stesso Myōe: «Aprendo gli occhi dalla meditazione vidi la luna nell’alba, che illuminava la finestra. Nell’oscurità, sentii come se proprio il mio cuore risplendesse di luce che sembrava fosse la luce della luna»:

Il mio cuore risplende, pura espansione
di luce;
e senza dubbio la luna penserà
che questa luce sia la sua.


L'anniversario del disastro di Fukushima mi riporta alla mente i poeti scelti da Kawabata: MyōeDōgen, Ikkyū. 
Mi ricorda Ryōkan (vedi il post del 21/06/2014) che "praticava la letteratura e la fiducia nello spirito benigno riassunto nella frase buddista “un viso sorridente e parole gentili” e sperava che dopo la sua morte la natura restasse bella.”  

Che la natura resti bella è stata, dopo Fukushima, e rimane oggi, una speranza grande e difficile. Una speranza che trae la sua forza dall'essere condivisa e ispirata da una compassione con mille facce e braccia come Kannon nel Sanjusangendo a Kyoto: i tanti ragazzi accorsi da lontano per prestare soccorso, i residenti rimasti sempre accanto ai loro amici non umani o ritornati per contribuire alla rinascita di luoghi e istanze di comunità, i volontari organizzati in squadre devote al salvataggio di persone anziane o disabili, i molti che hanno fatto tutto il possibile per recuperare le vittime da sotto le macerie o per svolgere con pazienza straordinaria la selezione e la raccolta di materiale contaminato e mille altre attività di ricucitura e di cura della grande ferita dell'11 marzo 2011.  












venerdì 23 febbraio 2018

Non avere paura







Diceva Rabbì Nachman di Brezlaw (1772-1810): “Tutto il mondo è un ponte stretto e la cosa più importante è non aver paura, non aver affatto paura”.












lunedì 19 febbraio 2018

Vita di famiglia







La vita di famiglia offre mille occasioni di pratica. Qualcuno è triste, qualcuno è scontento perché ritiene di aver subìto un torto a scuola, qualcuno si sente ingiustamente preso di mira dalla cattiva volontà degli altri o dalla cattiva sorte e spesso tutti ritengono che dipenda naturalmente da loro (gli altri, il mondo) cambiare atteggiamento e comportamento. Controproducente sdrammatizzare con chi si sente perseguitato. Inutile far presente che sarà oltremodo difficile trovare giustizia se si è arrabbiati. Talvolta offrire il proprio ascolto alle lagnanze e rimostranze di figli, fratelli, coniugi, parenti è oltremodo rischioso perché se non si è fino in fondo animati da pazienza e compassione possiamo finire risucchiati nel malumore diffuso e gettare sul piatto della bilancia anche il nostro carico di scontentezza.

Ascoltare è un bel dono ma –diceva Suzuki roshi- succede che senza neppure accorgercene smetto di ascoltare non appena chi parla cessa di essere d’accordo con me. E rieccomi allora, ancora una volta, alle prese con l’io, che con uno scatto veloce o una manovra avvolgente ha riconquistato il centro della scena, con tutto il suo carico di isolamento e di frammentazione che porta confusione.










domenica 11 febbraio 2018

Non dipendenza della mente








Da Moon in a Dewdrop (Luna in una goccia di rugiada) titolo di una raccolta di versi e di saggi di Dōgen (1200-1253) curata da Kazuaki Tanahashi ho scelto la poesia intitolata Non dipendenza della mente:


Uccelli acquatici
che vanno e vengono
le loro tracce scompaiono
ma non dimenticano mai
il loro sentiero.

Come gli uccelli d’acqua – della poesia di Dōgen- possiamo imparare a non dipendere da tracce che prima o poi scompaiono.

La fiducia, l’attenzione e la consapevolezza momento dopo momento, la costanza, la pratica della compassione e del coraggio sono ciò di cui abbiamo bisogno per non dimenticare il sentiero. 





sabato 20 gennaio 2018

Sento il peso di diverse cose, senza avere più cose precise...






Domenica scorsa ho ricevuto una mail che diceva:
“Io sto vivendo giornate di sin troppa sensibilità, quando passo per Magliano e mi fermo sento pure con anticipo il terremoto che sta per arrivare ad Amatrice, meglio riallontanarsi per un pochino, sento il peso di diverse cose, senza avere più cose precise. Va bene così. Speriamo.”

Leggendo queste righe, mi sono ritrovato anch'io fermo a Magliano Sabina e ho avvertito il terremoto avanzare verso Amatrice. E avevo voglia di tornare indietro, di allontanarmi poiché percepivo acutamente il peso della presenza di incertezza e dell'assenza di sicurezze.

Con poche parole veniva messa a fuoco la condizione umana: impermanenza e cambiamento, vulnerabilità... Ne possiamo osservare il riflesso nelle nostre esistenze e nelle vicende esterne. Ho sentito che abbracciare l’incertezza è più necessario di sperare. E’ un abbraccio che indica il sentiero della gentilezza e della compassione, e invita a coltivare il coraggio e la fiducia. Non possiamo esimerci, non possiamo farne a meno.