sabato 26 marzo 2016

La campana






I
Nessuno sa più fondere le campane, gli ultimi capaci se li è portati via la peste. E Boriska, un orfano, agli inviati del principe lancia una sfida: “Io conosco il segreto per fondere le campane. Mio padre me lo ha rivelato. Sono solo io a conoscerlo! Mio padre è morto e mi ha rivelato tutto.”

II
Boriska, accompagnato da alcuni maestri, cammina sulla riva della Moscova, seguiti dagli zappatori. Poco più in alto biancheggiano le mura del Cremlino. Boriska zappa furiosamente, gli zappatori lavorano con piacere. Il più vecchio dei fonditori si rifiuta di unirsi al lavoro comune: “Siamo fonditori! Perché dovremmo sporcarci le mani con la terra?” Boriska gli sussurra: “Sapete cosa mi ha raccontato mio padre prima di morire? Tutti i fonditori, mi ha detto, devono scavare con le loro mani la fossa per la fusione! Questo, ha detto, io l’ho capito soltanto da vecchio! Ha detto così e poi è morto... Hai capito?”

III
Boriska corre verso una cava d’argilla. Il ragazzo prende un pezzo d’argilla e la esamina accuratamente, la fruga con le dita, la porta vicino agli occhi, e poi a occhi chiusi la tasta. Poi la getta via con aria di disgusto: “Non va bene! Non è l’argilla giusta!”
“L’abbiamo sempre presa qui!” obietta il maestro fonditore più vecchio.
“E avete fatto male a prenderla!”

IV
E’ mattino presto. Fa freddo. Boriska, solo, raggiunge la riva di un piccolo fiume tranquillo e rimane fermo sulla sponda a fissare l’acqua. Poi inciampa, cade sul sedere e scivola giù attaccandosi alla sponda argillosa.
E’ argilla! E che argilla! Il ragazzo vi affonda le mani, ne prende una manciata, la tasta, la sminuzza, la palpa, l’accarezza. L’argilla è grassa, senza alcuna impurità, grigia chiara, malleabile, spessa. Eccola, quella giusta! Non sapeva che sarebbe stata proprio così, non l’avrebbe saputa descrivere a nessuno, perché non l’aveva mai vista, ma adesso lo sa con certezza: è proprio quella l’argilla che gli serve.

V
Giunge il giorno tanto atteso... Fin dall’alba tutta la zona che circonda la fossa è andata riempiendosi di moscoviti e di abitanti di paesi vicini. Boriska è nella fossa, accanto alla campana, tra i maestri artigiani. Inchinandosi fino a terra, la folla si divide per lasciar passare il principe che cavalca fino alla fossa e si ferma, il suo cavallo accanto a quello dell’ospite straniero.
Il pesante battaglio comincia a oscillare, lento e inesorabile. Il Gran Principe sulla sua sella sembra una statua. I maestri stanno immobili. Il battaglio arriva a lambire il fianco della campana. Ancora una...e un’altra...e un’altra ancora...sempre più vicino...
Un suono enorme, denso e basso si stacca lentamente dalla campana fremente e fluisce sulla folla stupefatta. Il colpo successivo risveglia le voci dei campanili intorno che rispondono con uno scampanìo confuso e allegro. La gente felice batte le mani, grida, straccia i berretti, si fa il segno della croce.
La campana continua a suonare, mentre la sua voce si addolcisce e sembra gridare una notizia solenne.

VI
Lacrime liberatorie e felici scorrono sul viso di bambino di Boriska deformato dai singhiozzi.
“Perché piangi?” gli domanda Andrei Rublëv accarezzando con mani tremanti il ragazzo sui capelli, sul collo e sulla schiena magra di adolescente.
“Perché mio padre non mi ha detto il suo segreto della fusione. E’ morto e non mi ha detto niente, se l’è portato nella tomba, maledetto spilorcio!”
“E cosa importa? E’ andato tutto bene adesso. Ce ne andremo insieme, tu potrai fondere campane e io dipingerò icone. Ce ne andremo alla Trinità. Pensa che festa per gli uomini, hai dato loro una festa così grande e piangi… Adesso basta, non piangere, non devi più piangere, non è giusto…”


da Andrei Rublëv, di Andrei Tarkovskij








sabato 19 marzo 2016

Insegnamenti semplici ma non dominanti








Vedere lo zazen come “la cosa più onorevole” determina il nostro atteggiamento verso tutta la vita. 
Quale dovrebbe essere la nostra prospettiva? 
Qui di seguito esprimerò al meglio delle mie possibilità ciò che il Maestro Kōdō Sawaki impresse nella mia mente:

·       Guadagnare è un’illusione, perdere è realizzazione.
·       Non cercare di ottenere alcun beneficio. Non essere avido; non dispiacerti di perdere.
·       Non istituire mai un’organizzazione. Le cose raggiunte da un’istituzione crolleranno a causa di tale istituzione. (...)
·       Insegna agli individui uno per uno. Invece di formare le persone secondo un modello generale, dobbiamo affrontare ognuno individualmente, dal momento che ognuno è unico.
·       Non chiedere donazioni. (...)
·       Non essere volubile. Non agire spinto dai tuoi pensieri egoistici.
·       Se non starai attento, diventerai famoso e raggiungerai una posizione elevata. Fa’ ogni sforzo per non distinguerti nel mondo. Soprattutto dopo i quarant’anni, la fama e il profitto saranno allettanti.

    Ognuno di questi detti, a prima vista, sembra semplice. 
    Eppure se si osserva da vicino, ci si rende conto che non sono gli insegnamenti dominanti in questo mondo. 
    Sawaki rōshi non solo insegnava queste parole, ne era un esempio vivente.
      
      di Kōshō Uchiyama, da Kōdō il Senza Dimora, Ubaldini











domenica 6 marzo 2016

Risvegliarsi...





Risvegliarsi alla realtà dell’attaccamento, ed esplorarne la profondità, caparbietà, vischiosità -così evidente nelle vicende familiari e in quelle professionali, dove l’aprirsi al cambiamento e lasciar andare dipende da te, e ti puoi sempre aspettare da te stesso una giravolta che ti riporta al punto di prima. Così che preferiresti talvolta essere obbligato, non avere scelta, e che sia qualcuno o qualcosa che ti metta di fronte al “non ce n’è più”, “è così”, “è finita”... 
Eppure il risvegliarsi è nel segno della positività, puoi vedere le cose come sono, puoi vivere e testimoniare i testacoda dei pensieri, gli alti e bassi, gli attacchi di ansia, l’avanti e indietro, scoprirti attaccato al consueto e nello stesso tempo desideroso di libertà, di fuoriuscita dall’abitudinario, curioso di saggiare più a fondo te stesso...

Risvegliarsi alla spinta del voler conoscere in anticipo il futuro e di programmarlo, del sentire l’incertezza come stress, del rifiuto di onde e di scossoni...
E, anche, lo scoprire pur tra la fatica e i dubbi che la via dell’esplorazione è una via di attenzione e di presenza alla vita -“io ci sono”, non sono uniformato e silenziato, posso provare a vedere e a conoscere direttamente...


Vivere il tempo del cambiamento non come deriva, nel segno della paura del peggio, ma come tempo di apertura, di esplorazione, di osservazione, di approfondimento e di maturazione grazie alla stabilità offerta dalla pratica dell’attenzione, della consapevolezza e della fiducia.