Una volta un amico
americano di San Francisco, Kevin, un ragazzo che si manteneva agli studi di
linguistica e di lingue facendo il carpentiere e che tra le sue molte abilità e
risorse poteva contare uno spiccato entusiasmo per le culture native, mi invitò a un
viaggio sul suo pickup, un camioncino con il retro scoperto che gli serviva
anche per il lavoro, lungo la California del Nord, l’Oregon e lo stato di
Washington.
Di questo viaggio
memorabile per la bellezza della costa e della natura, la varietà del paesaggio
e il carattere aperto verso tutte le direzioni di luoghi oceanici come Seattle
mi colpì e mi resta in particolare il suono di una frase. Ci stavamo accommiatando da sua madre che ci
aveva offerto la cena e il letto e Kevin la salutò con questa per me fino ad
allora sconosciuta espressione: “It has been real” - il nostro incontro è avvenuto
davvero, è stato reale.
Mi sembra un bel
saluto e un augurio che dovrebbe accompagnare i nostri passi nella vita.
Augurio
di vivere in contatto con la vita che scorre, essere più reali, sentirsi
presenti momento per momento per quanti più momenti possiamo.
Talvolta sembra che
abbiamo paura di “essere reali” e ci riduciamo a ripetere schemi di incontro e
clichè di presenza che nella loro fugace e distratta ripetitività sono
rassicuranti.
Eppure
la mente separata dal reale è spesso una mente isolata e impaurita, che
giudica, critica, soffre. Può anche collezionare pensieri, esperienze e novità
ma resta chiusa in se stessa, e nel proprio collezionismo.
Aprirsi
con attenzione a quello che è così com’è rappresenta un momento di
significativa trasformazione. L’attenzione crea una spaziosità interiore che non
coincide con il conoscere intellettuale o il sapere questo e quello ma origina dall’esserci,
dall’avere “abitato” quel luogo, da un contatto reale.