Talvolta ci scopriamo cocciutamente attaccati ai nostri
pensieri. Pensiamo che senza di essi la nostra vita
sarebbe vuota, e poi spesso questi pensieri si accompagnano a - o fanno
tutt’uno con- ricordi da cui non vogliamo e da cui non ci sembra possibile distaccarci. Quei nostri irrinunciabili pensieri, punti di vista,
opinioni ci sono costati tanto impegno e tanto sforzo: lasciarli andare non sarà autolesionistico? in fondo che cosa otterremo in cambio di
un così grande sacrificio? E’ tanto forte il nostro attaccamento che appena assaporata la vita senza il peso di qualche pensiero ecco
che ci affrettiamo a ritornare sui nostri passi per riprenderci ciò che diciamo
“mio”. Così un pensiero che è frutto di circostanze casuali e di occasionali combinazioni lo trasformiamo in un fondamento della nostra filosofia.
Ci leghiamo mani e piedi e più il legame è stretto e doloroso più lo
giudichiamo imperdibile per la nostra vita.
“Tu non sei i tuoi pensieri” dice
Jack Kornfield in “The Wise Heart”. E aggiunge: “Gran parte della nostra
sofferenza mentale viene da quanto strettamente ci stringiamo alle nostre
credenze, pensieri e prospettive.”
“Ma –continua- se i pensieri sono vuoti, su cosa possiamo fare
affidamento? Dov’è il nostro rifugio? Ecco come il saggio indiano Nisargadatta
risponde a questa domanda: “La mente crea l’abisso, il cuore lo attraversa.” La
mente che pensa costruisce visioni di ciò che è giusto e di ciò che è
sbagliato, buono e cattivo, di sé e dell’altro. Queste sono l’abisso. Quando
lasciamo che i pensieri vengano e vadano senza aggrapparci, possiamo usare il
pensiero, ma riposare nel cuore. Diventiamo più fiduciosi e coraggiosi. C’è una
qualità di innocenza propria del cuore. (...) Riposando nel cuore viviamo in
armonia con il nostro respiro, con il nostro corpo. Riposando nel cuore la
nostra pazienza cresce. Non dobbiamo pensare tutto. La vita si sta svolgendo
intorno a noi.”