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domenica 23 luglio 2017

Viandanti del cuore





Siamo indifferenti o disattenti alle condizioni di mente e di cuore in cui viviamo abitualmente? Siamo divenuti insensibili all’orientamento dei nostri pensieri, alla loro pesantezza o tossicità? Diamo per scontati i nostri stati d’animo, ancorchè scoraggianti e deprimenti? Oppure la nostra ricerca “spirituale” si disinteressa e ha smesso da tempo di vedere il nostro aspetto fisico, il nostro portamento? E’ il momento di realizzare che le nostre intenzioni e motivazioni, le nostre riflessioni, sono connesse con l’ambiente interiore in cui viviamo, e anche quando non ne siamo consapevoli ne sono profondamente influenzate, in particolare se esso è segnato da negatività, abbandono, rassegnazione, sfiducia.
Molti sono i versi del Dhammapada, il classico libro della scuola del buddhismo antico, che ci richiamano alla realtà delle emozioni e dei modelli mentali in cui nel nostro viaggio nell’esistenza terrena possiamo restare impigliati e anche perderci, e di quel che ci offre sostegno e gioia. Leggendo il Dhammapada ci viene naturale vederci come viandanti del cuore, visualizzare le strade che percorriamo nel mondo come sono predisposte dalla nostra realtà mentale, dai suoi meccanismi, spesso inconsci, dalle abitudini, dalle distrazioni. E possiamo, grazie alla pratica di consapevolezza, realisticamente impegnarci a prenderci cura della mente-cuore, sostituire la trascuratezza con la sollecitudine, la paura e la negatività con l’intenzione positiva, l’ostilità con la gentilezza amorevole, e capiamo che da qui si diramano le strade che prendiamo.
Un noto insegnante di pratica della consapevolezza, Jack Kornfield, ha scritto un libro intitolato The Wise Heart in cui invita a praticare con fiducia la sostituzione di pensieri negativi con pensieri positivi. Raccomanda l’attenzione alle occasioni in cui i pensieri distruttivi emergono, qual è il bersaglio del loro criticismo, quali frasi utilizzano, da dove vengono queste frasi e che tipo di reazione generano nell’organismo, la vergogna, il giudizio devastante, la denigrazione sistematica. Una volta che la consapevolezza degli attacchi di negatività è sentita, Kornfield sollecita a crearsi un antidoto, due o tre semplici frasi che rovescino la falsità insita nei pensieri non salutari, “La vita è preziosa”, “Userò bene questo giorno”, o esprimano l’opposto della vergogna e dell’autosvalutazione, “Vivrò nobilmente e dignitosamente”, o l’opposto dell’ansia, “Vivrò con fiducia”. O potranno essere basate su espressioni desunte dalla pratica dell’amorevole gentilezza:
Che io possa amare me stesso proprio come sono.
Che io possa sentire in me il merito e il benessere.
Che io possa aver fiducia in questo mondo.
Che io possa aver compassione per me stesso.
Che io possa accogliere con compassione la sofferenza e l’ignoranza di altri.

A questo punto ogniqualvolta notiamo la presenza di pensieri distruttivi, inquinanti, ci fermiamo e intenzionalmente sentiamo la sofferenza che portano, tiriamo un respiro, tratteniamo il senso di sofferenza con gentilezza e poi mentalmente recitiamo le frasi che abbiamo scelto. Le ripetiamo comunque, che ne siamo o no convinti, come un antidoto alla sofferenza. Passerà del tempo prima che ci rendiamo conto che funzionano ma succederà. Forse sarà prima necessario passare attraverso più acute difficoltà e sofferenze ma succederà. Come semi che vengono piantati, insegna Kornfield, percepiamo con tenerezza ogni frase - come lasciando cadere semi di compassione e di cura nella nostra mente e corpo. Piantiamo queste frasi di gentilezza e piano piano, mentalmente, notiamo come la mente e il cuore diventino una fonte di nutrimento e di forza nel cammino.






sabato 17 gennaio 2015

Quando rimaniamo bloccati in modelli abituali







Spesso nonostante le nostre migliori intenzioni -si potrebbe dire: benché le nostre intenzioni siano sincere e nascano dal cuore- non riusciamo a vedere con chiarezza che siamo prigionieri dentro modelli di comportamento abituali che creano sofferenza, sempre a noi stessi, spesso ad altri.

Sentiamo il disagio ma non sappiamo come uscirne.

Continuiamo ad andare avanti e indietro.

E continuiamo magari a dirci e a dire che tutto si sistemerebbe se solo il tale o il talaltro si comportassero in un altro modo.

Allora può essere preziosa la presenza di un amico spirituale che “ci vede” così come siamo, e che senza supponenza e senza complimenti ci “fa vedere” che occorre qualche passo “fuori”, ci indica la direzione per uscire dalla situazione bloccata -e quasi immancabilmente il dito è puntato in direzione del non attaccamento.
 
La pratica meditativa, perseguita con sincerità e con perseveranza ci porta al momento in cui le nostre resistenze al cambiamento si manifestano in tutta la loro portata, e in cui inevitabilmente sentiamo l’assenza di terreno sotto i piedi.

E’ il “momento potente”, il “momento della verità”, in cui tocchiamo quella “identità che  -come dice John Garrie- invariabilmente si ritrova in ciascuno, al centro dell’essere, una identità potentemente condizionata e protetta da abitudini, precedenti e familiarità”.

Da questo momento può prendere vigore un dinamismo che porta a non temere la mancanza di sicurezza e di terreno sotto i piedi, perché è sostenuto dalla energia della fiducia e dal desiderio di liberazione.