Spesso nonostante le nostre migliori intenzioni -si potrebbe
dire: benché le nostre intenzioni siano sincere e nascano dal cuore- non
riusciamo a vedere con chiarezza che siamo prigionieri dentro modelli di comportamento
abituali che creano sofferenza, sempre a noi stessi, spesso ad altri.
Sentiamo il disagio ma non sappiamo come uscirne.
Continuiamo ad andare avanti e indietro.
E continuiamo magari a dirci e a dire che tutto si
sistemerebbe se solo il tale o il talaltro si comportassero in un altro modo.
Allora può essere preziosa la presenza di un amico spirituale
che “ci vede” così come siamo, e che senza supponenza e senza complimenti ci
“fa vedere” che occorre qualche passo “fuori”, ci indica la direzione
per uscire dalla situazione bloccata -e quasi immancabilmente il dito è puntato
in direzione del non attaccamento.
La pratica meditativa, perseguita con sincerità e con
perseveranza ci porta al momento in cui le nostre resistenze al cambiamento si
manifestano in tutta la loro portata, e in cui inevitabilmente sentiamo
l’assenza di terreno sotto i piedi.
E’ il “momento potente”, il
“momento della verità”, in cui tocchiamo quella “identità
che -come dice John Garrie- invariabilmente si ritrova in ciascuno, al centro
dell’essere, una identità potentemente condizionata e protetta da abitudini,
precedenti e familiarità”.
Da questo momento può prendere vigore un dinamismo che porta
a non temere la mancanza di sicurezza e di terreno sotto i piedi, perché è
sostenuto dalla energia della fiducia e dal desiderio di liberazione.
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