sabato 30 gennaio 2016

Il viaggio





E quando sarai arrivato
alla fine del viaggio
incontrerai te stesso
non un tuo sogno o un ideale
e avrai ripreso confidenza
con  le tue dita e vorrai continuare
a camminare in tua compagnia
per molti altri anni
come fossero un giorno                                      

Quando siamo in uno stato mentale piacevole, in una buona disposizione, possiamo essere portati d’impulso ad arricchire e abbellire il momento presente, e magari troviamo lo slancio poetico, come nei versi che precedono.
Quando invece siamo in uno stato d’animo depresso, abbattuto, ci capita di percepire il momento presente spoglio e disadorno come una condanna e un destino e lo subiamo chiudendoci nel mutismo o costruendo un muro di negatività.
Il viaggio nel reale è fatto di tanti momenti che si susseguono, piacevoli, spiacevoli, neutri. 
“Quello che gradualmente impariamo -dice la Maestra Pema Chӧdrӧn- è di non allontanarci dall’essere completamente presenti. Abbiamo bisogno di addestrarci a questo livello di base perché la sofferenza è molto diffusa nel mondo. Se non ci addestriamo centimetro per centimetro, un momento alla volta, a superare la nostra paura della sofferenza, saremo molto limitati nella nostra capacità di aiuto. Saremo limitati riguardo all’aiutare noi stessi e limitati riguardo agli altri. Perciò cominciamo con noi stessi, così come siamo, qui e ora.”






sabato 23 gennaio 2016

Qualche suggerimento pratico per essere più felici




1° Lavorare a una correzione della nostra vista. Ciò significa in primo luogo domandarci se per caso non sia unilaterale soffermarci tanto sul negativo che vediamo in noi stessi, negli altri e nelle situazioni. Oggi in Occidente questa è una tendenza piuttosto diffusa e condivisa. (...) Continuando a evocare la consapevolezza il più spesso possibile...cominceremo a essere meno incantati da questa attrazione per il negativo, che poi a volte è una vera e propria costruzione del negativo. (...)
2° Fin a quando non lavoreremo seriamente alla nostra felicità non comprenderemo l’importanza della felicità, per noi stessi e per chi si trova intorno a noi. Attenzione: essere più felici rende possibile dare felicità. (...) Il che potenzia ulteriormente la felicità. E’ difficile, se non si intraprende questa via, toccare con mano come il diventare più felici sia l’esito di un processo di maturazione e di crescita.
3° Addestrarsi ad apprezzare il positivo, anche se piccolo.
4° Imparare ad accettare gli eventi della vita, positivi e negativi, ricordandosi che accettazione non è passività. Per esempio accettare che Tizio è aggressivo nei nostri confronti è, anzitutto, un passo verso la chiarezza: non cerchiamo di ignorare o rimuovere la cosa. Sarà più facile, poi, esercitare la fermezza e il dissenso, lasciando cadere l’impulso a essere reattivi. Infatti la nostra reattività accrescerebbe soltanto l’elemento aggressivo nell’altro. E’ utile inoltre, tenere a mente che aggressività e rabbia nascono dalla sofferenza e producono sofferenza.
5° Imparare a cogliere l’ingenuità di certe prese di posizione. Per esempio ‘non mi interessa la felicità’; piuttosto ‘mi interessa la saggezza’ oppure: ‘mi interessa lo studio’; oppure ‘mi interessa lavorare’. (...) Tuttavia è molto probabile che Tizio, Caio e Sempronio diano un significato superficiale alla parola felicità, superficialità certamente inadatta a definire la soddisfazione che viene dalla saggezza, dallo studio o dal lavoro.
6° Vedere quanto siamo esperti e abili nel coltivare l’infelicità. Abbiamo già considerato l’incantesimo che il negativo esercita su di noi. A tale proposito conviene anche allenarsi a vedere come il rimpianto del passato -che non tornerà- sia un altro modo di coltivare l’infelicità, e così anche riguardo al timore del futuro, futuro che spesso si rivela diverso da quello che ci aspettiamo. (...)
7° In generale si può dire questo: coltivare il Bene va verso la felicità e ci andrà tanto più, quanto più impariamo a coniugare serietà e tocco leggero.

di Corrado Pensa, SATI, Anno XXIV n.3, settembre/dicembre 2015



sabato 16 gennaio 2016

A che cosa io servo?





I versi di Ryōkan, che seguono, sono tanto onesti quanto risoluti, tanto dimessi, ma senza affettazione di modestia, quanto naturalmente energici, nella persuasione al rispetto per l’essere umano e alla consapevolezza per l’esperienza umana, anche la meno appariscente e all’apparenza poco rilevante.  Risuonano esemplari eppure (come il monte Kugami nella poesia del post del 3/01/2016) aperti a tante viste e visibili da varie posizioni.

A che cosa io servo
la gente mi domanda
a che cosa io servo
in mezzo alle canne
il mattino mi apro un cammino
andando dove ho voglia di andare

(da L’eremo dal tetto di paglia, ed.Acquaviva)






domenica 10 gennaio 2016

Si può meditare sull'amore?




Un’amica mi rivolge la domanda: “Si può meditare sull’amore”.

Quando mi avvicino al momento presente con dedizione e con calma non esprimo forse una intenzione, un pensiero, un atto d'amore?
E a cos’altro posso assomigliare il restare qui e ora, in uno stato di tranquillità, di apertura, di attenzione ricettiva, che non divaga da un oggetto all’altro?
E quando, sentendomi distratto, faccio ritorno al momento presente e alla consapevolezza, non gioisco forse di gratitudine e di fiducia?


Forse l’essere umano che vive nell'attenzione e si prende cura della propria condizione mentale, non sente il bisogno di meditare sull’amore tematizzandolo come un oggetto esterno, perché ne è infuso...  






domenica 3 gennaio 2016

I tornanti del monte Kugami









Mentre la capanna
si nasconde
alla mia vista
e il bosco
non si vede più,
scendendo il sentiero
a serpentina,
ad ogni giro
rivolgo lo sguardo
verso la montagna

dalle Poesie di Ryōkan a cura di Luigi Soletta, edizioni La Vita Felice