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sabato 22 dicembre 2018

Ehi, vieni fuori dal bozzolo!







In tanti siamo portati dall'egocentrismo e dall’autoreferenzialità a trascurare l’attenzione alla qualità della presenza consapevole nelle relazioni con familiari, amici, compagni di pratica, colleghi e a concentrarci con maggiore o minore devozione sul nostro bozzolo. E qualcuno di noi ha la capacità di imbozzolarsi così impermeabilmente da non percepire più la presenza altrui se non quando la propria è ormai per gli altri diventata una assenza. E’ proprio il caso di ripetersi più frequentemente l’invito della maestra Pema Chōdrōn: “Datti una chance di venir fuori dal tuo bozzolo.”
La pratica della meditazione se non è una fuga dal mondo o un desiderio di rinascita fondato su respingimenti e rifiuti di qualcosa di noi stessi che non ci piace, potrebbe rappresentare un mezzo abile nelle nostre mani e una buona occasione per aprirsi alla vita.

«Siamo creature di sensazioni e possiamo diventare habitués di particolari sensazioni preferite (di qualunque tipo) e pronti a smuovere cielo e terra per procurarcene l’esperienza» ha detto John Garrie, maestro zen.
Con la coltivazione della consapevolezza possiamo capire come, portati dalla lunga familiarità con le sensazioni preferite, siamo condizionati a incrementarne la frequenza e l’intensità. E così trascuriamo l'attenzione alle facce più creative e innovative della nostra esperienza, l’esplorazione delle nostre potenzialità, e il coraggio di uscire dal chiuso di abitudini e di paure. 
“Vieni fuori dal bozzolo!”, "Che io possa uscire dal mio bozzolo", ecco  l'augurio che faremmo bene a rivolgere a noi stessi per il Natale e il Nuovo Anno!







mercoledì 15 luglio 2015

Il falco, la quaglia e il territorio ancestrale







Una di queste mattine, dopo un primo passo in internet tra le suggestioni, i divertimenti, le varie offerte dal mondo dei sensi e gli spot dell’infinito intrattenimento, mi sono fermato, e ho scelto di occuparmi di quelle cose che comportano impegno e presenza mentale, le cose che rappresentano la mia occupazione, la mia realtà e gli “affari miei”: riprendere il filo di un discorso, organizzare un lavoro, entrare senza frapporre indugi nella mia pratica.

Questo ha riportato alla memoria l’insegnamento del Buddha nel Sutta del falco: finchè la quaglia vaga fuori dal proprio «territorio ancestrale» non può non essere preda del falco; fin quando resta nel proprio territorio, identificato in un “campo arato di recente”, potrà rifugiarsi dietro la zolla contro la quale si infrange l’attacco dello sparviero, pur con tutta la sua forza, velocità e sicurezza di sé.

Fuori dal «territorio ancestrale», ci attendono, sempre accessibili, le consuete novità mondane, dall’apparenza vaga, seduttrice, incantevole, e la canzone che cantano è la stessa: divertiti, divertiti, dormi, dormi...

Il «territorio ancestrale» lo vedo proprio come il mio laboratorio, in cui presto attenzione e fiduciosa sollecitudine, adopero l’ingegno e i mezzi abili adatti all’attività specifica, lasciando andare le divagazioni e quel che non mi riguarda.