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domenica 11 novembre 2018

"La mente crea l’abisso, il cuore lo attraversa" Sri Nisargadatta







Talvolta ci scopriamo cocciutamente attaccati ai nostri pensieri. Pensiamo che senza di essi la nostra vita sarebbe vuota, e poi spesso questi pensieri si accompagnano a - o fanno tutt’uno con- ricordi da cui non vogliamo e da cui non ci sembra possibile distaccarci. Quei nostri irrinunciabili pensieri, punti di vista, opinioni ci sono costati tanto impegno e tanto sforzo: lasciarli andare non sarà autolesionistico? in fondo che cosa otterremo in cambio di un così grande sacrificio? E’ tanto forte il nostro attaccamento che appena assaporata la vita senza il peso di qualche pensiero ecco che ci affrettiamo a ritornare sui nostri passi per riprenderci ciò che diciamo “mio”. Così un pensiero che è frutto di circostanze casuali e di occasionali combinazioni lo trasformiamo in un fondamento della nostra filosofia. Ci leghiamo mani e piedi e più il legame è stretto e doloroso più lo giudichiamo imperdibile per la nostra vita.
“Tu non sei i tuoi pensieri” dice Jack Kornfield in “The Wise Heart”. E aggiunge: “Gran parte della nostra sofferenza mentale viene da quanto strettamente ci stringiamo alle nostre credenze, pensieri e prospettive.”
“Ma –continua- se i pensieri sono vuoti, su cosa possiamo fare affidamento? Dov’è il nostro rifugio? Ecco come il saggio indiano Nisargadatta risponde a questa domanda: “La mente crea l’abisso, il cuore lo attraversa.” La mente che pensa costruisce visioni di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato, buono e cattivo, di sé e dell’altro. Queste sono l’abisso. Quando lasciamo che i pensieri vengano e vadano senza aggrapparci, possiamo usare il pensiero, ma riposare nel cuore. Diventiamo più fiduciosi e coraggiosi. C’è una qualità di innocenza propria del cuore. (...) Riposando nel cuore viviamo in armonia con il nostro respiro, con il nostro corpo. Riposando nel cuore la nostra pazienza cresce. Non dobbiamo pensare tutto. La vita si sta svolgendo intorno a noi.”













lunedì 19 febbraio 2018

Vita di famiglia







La vita di famiglia offre mille occasioni di pratica. Qualcuno è triste, qualcuno è scontento perché ritiene di aver subìto un torto a scuola, qualcuno si sente ingiustamente preso di mira dalla cattiva volontà degli altri o dalla cattiva sorte e spesso tutti ritengono che dipenda naturalmente da loro (gli altri, il mondo) cambiare atteggiamento e comportamento. Controproducente sdrammatizzare con chi si sente perseguitato. Inutile far presente che sarà oltremodo difficile trovare giustizia se si è arrabbiati. Talvolta offrire il proprio ascolto alle lagnanze e rimostranze di figli, fratelli, coniugi, parenti è oltremodo rischioso perché se non si è fino in fondo animati da pazienza e compassione possiamo finire risucchiati nel malumore diffuso e gettare sul piatto della bilancia anche il nostro carico di scontentezza.

Ascoltare è un bel dono ma –diceva Suzuki roshi- succede che senza neppure accorgercene smetto di ascoltare non appena chi parla cessa di essere d’accordo con me. E rieccomi allora, ancora una volta, alle prese con l’io, che con uno scatto veloce o una manovra avvolgente ha riconquistato il centro della scena, con tutto il suo carico di isolamento e di frammentazione che porta confusione.










sabato 7 gennaio 2017

Ricominciare








A causa di modi di pensare condizionati e abitudinari ti aspetti sulle strade che percorri progressi lineari e misurabili, e a causa di modi ristretti di vedere la realtà dimentichi da dove sei partito e la strada che hai già fatto.
Così quando avresti bisogno di tenacia molli la presa, e dove ti si chiede pazienza ripieghi sulla improvvisazione.

Ti è stato detto e tu stesso hai ripetuto che spesso occorre ricominciare.
Ti ricordi? 
Si può continuare solo ricominciando. 
Si ricomincia per poter continuare.  

Lo hai ripetuto ma non l’hai veramente capito.   
Eppure lo sai che la cosa da fare è semplice: ogni volta che passi la soglia lasci andare il respiro e lo ascolti.

Ricominciare non è fare la stessa cosa, ma fare di nuovo, sentire il calore, vedere più da vicino, mettere a fuoco un dettaglio, sperimentare senza attaccamento, sentire più in profondità... 
E ogni volta, che tu ne sia o meno consapevole, la pazienza si differenzia un po’ di più dalla mera sopportazione e l'esperienza diretta si arricchisce. 

Ricominciare è ritornare in un luogo dove si coltiva la fiducia, e se ne avverte il beneficio.








domenica 10 luglio 2016

Vivere il presente. A colloquio con mio figlio







Quando mio figlio, adolescente e desideroso di fare le sue esperienze in prima persona e mettersi alla prova, me ne racconta qualcuna, mi rendo conto che il primo ostacolo alla comunicazione è per me il non essere presente, qui e ora, nell’ascolto e nella partecipazione ma essere d’istinto trasportato nel futuro.
Lo ascolto e debbo stare attento a non precorrere il racconto e l’esperienza, trascinato come sono in avanti e indietro dall’ansia che essa possa rappresentare un pericolo per la sua vita e la sua sicurezza.
Quando ascolto mio figlio devo innanzitutto vivere il presente, con calma e con pazienza.
Migliaia di cose che permettono di infervorarsi non sono scontate o garantite e non lo saranno mai per quanta enfasi e pathos io possa mettere nelle mie spiegazioni e perorazioni. Non saranno esse a darmi il controllo del futuro e la sicurezza che tutto andrà nella maniera più soddisfacente e priva di sofferenza.
Devo fare spazio nel momento così com’è usando tranquillità e tenerezza, ed essere incoraggiante, invece di minaccioso e terrorizzato.

Avendo visto che nella mia mente c’è paura e ansia, imparo a lasciarle andare e a non identificarmi con modelli non salutari e così scopro, come insegna Jack Kornfield, un livello più profondo di liberazione.





domenica 21 febbraio 2016

Attenzione e vita





Senza attenzione la vita non sarebbe davvero vissuta ma scorrerebbe via tra abitudini e conformismi. Attraverso l'esercizio paziente dell'attenzione che, nonostante la corrente avversa delle distrazioni, mi riporta al presente posso cercare di dare uno sguardo dall'interno alla mia vita. Quando perdo il filo dell'attenzione occorre che ritorni ad essa. Tutto quello che mi viene incontro in ogni momento di attenzione è in quel momento la mia vita. Non posso arrivare ad apprezzarla se non offro la mia attenzione.
Se mi distraggo ho delle possibilità di ritornare al momento presente: la gratitudine per un giorno di sole o per una camminata, la parola data o ricevuta da un amico, la generosità nei confronti di chi mi chiede ascolto, la pazienza per una incombenza faticosa, il raccoglimento nel silenzio, la meditazione nella quale prescindo da ogni risultato utile e testimonio con il mio essere presente il momento presente...
Talvolta però dimentico che attenzione non è riservata a quel che mi piace, ai momenti gradevoli: ancora più importante per creare coraggio ed equanimità è l’attenzione quando illumina il momento che stride, che infastidisce, che non piace. E che non va cacciato via perchè la vera attenzione è a quello che c'è così com'è. Il resto è compiacenza.

E' un passo importante inciampare nella pietra del non mi piace, mantenere l'attenzione aperta a quello che non mi piace e sentirne il sapore, sentire com’è.

E’ importante perché  comporta l'esperienza diretta del fatto che le sensazioni nascono e muoiono e di essere noi stessi vulnerabili e di passaggio. Una esperienza che può aprire la porta non all’indifferenza e alla negatività bensì alla fiducia, alla compassione e a una iniziale consapevolezza di essere connessi con l’intero universo.




sabato 14 marzo 2015

Un insegnamento del Buddha





Quando proviamo disagio vogliamo che questo disagio scompaia subito, e pensiamo di aver capito la lezione. Potremmo aver sì capito ma soltanto intellettualmente.

La fretta di trasformare un’esperienza disagevole nel suo superamento può essere molto forte e fuorviante.

Per prima cosa occorre accogliere e accettare il disagio fino in fondo, stare con il malessere finchè dura, con pazienza. L’esperienza deve essere completa e completamente consapevole. E' bene rilassarsi nell’esperienza così com’è. La fretta di andare oltre è perniciosa perché può portare a perdere l’occasione di approfondire la comprensione e la guarigione.

Ricordiamo che la pazienza va controcorrente perché l’impulso è quello di farla finita con il disagio, di sbarazzarsi dell’ansia, di correre altrove, di cercare un calmante, un palliativo..

Pema Chödrön insegna che ogni momento ci riporta lo stesso quesito: che cosa ci rende la vita più comoda? E la risposta abituale è: avere quello che vogliamo, che i nostri desideri siano soddisfatti... La scelta che ci piace di più non è però la più saggia.
 
 
 

sabato 14 giugno 2014

Spaziosità







La spaziosità della nostra vita, nella nostra vita, dipende quasi esclusivamente dall’accettazione consapevole di tutte quelle cose che respingiamo e buttiamo fuori perché non ci piacciono, come il disordine, lo squilibrio, la sofferenza, l’imperfezione, la pazienza: e proprio così facendo, più scacciamo via e più lo spazio ci si restringe addosso. Quando quel che non ci piace viene a farci visita lo rifiutiamo, cacciandolo o ignorandone l’esistenza, così lo spazio si riduce e ci troviamo a corto di respiro.

La meditazione di consapevolezza allarga immensamente lo spazio intorno a noi e consente alle cose spiacevoli di essere viste, riconosciute e testimoniate finchè non cessano.

Nel profondo la vita va in senso contrario alla ricerca del piacere.

Shunryu Suzuki dice: “Se comprendete lo sfondo dell’esistenza, realizzate che la sofferenza stessa è il modo in cui viviamo e in cui ampliamo la nostra vita.”




sabato 8 febbraio 2014

Nel nostro tempo





Nel nostro tempo afflitto dall’ansia e povero di slanci, è forte la spinta a rifugiarsi dentro l'algido rigore del calcolo costi-ricavi (se faccio tanto, mi dà quanto? se investo in questo o in quello, a quando i frutti dell’investimento?) e in rapporti di dominio indiscutibili, in cui il dominato deve dare sicurezza contro la paura del fallimento, dell'incertezza e della morte.
 
Si sente qui e ora con più forza il valore di essere svegli e interiormente aperti a semplicità, pazienza e compassione.





sabato 23 marzo 2013

Dialogo tra prepotenza e pazienza


 


Mi sembra sempre di essere altrove, sono concentrato su me stesso e non mi accorgo degli altri. Vorrei essere più vicino, più partecipe, ma non sono capace di rinunciare al mio programma. Si dice "ama il prossimo tuo come te stesso" ma come si fa ad amare sul serio se l'Io prepotente prende il sopravvento? Vivere secondo principi spirituali è una fatica, richiede attenzione e rinunce, ma vivere senza è ancora peggio mi porta alle soglie dell'inferno. 

 

Non insistere sul “non sono capace” perché non c’è un’asticella da superare per arrivare dall’altra parte. Insistere sull’incapacità porterà alla costruzione di un complesso di colpa e di impotenza.
Accogli la sensazione di incapacità, sii capace di essere incapace.  
Se la sensazione di incapacità permane non respingerla fuori dalla porta, non maledirla, così facendo la rafforzi e la costringi a ritornare.

Tu dirai: ma ritorna, comunque. E allora è così, le cose stanno così, è ritornata. E’ ritornata e sto attento alla sua presenza. Questa attenzione, non impaziente, fiduciosa quanto possibile, che è tutta nel presente e non ipoteca il futuro è l’atteggiamento retto quando siamo alle prese con una sensazione di potente incapacità. Un atteggiamento contemplativo, non giudicante, affettuoso.

Rendersi conto che in una specifica situazione avremmo potuto agire, parlare, pensare in maniera meno ego-centrata è già un principio attivo di vita spirituale. E’ un ritornare a casa dall’altrove. Occorre lasciare da parte, per il momento, i comandamenti e i precetti e stare con la massima continuità di cui siamo capaci con la sensazione che è venuta a farci visita. La consapevolezza di questa sensazione rappresenta una interruzione della prepotenza e dell’ignoranza dell’io. In sua presenza non siamo prepotenti né ignoranti. E siamo lontani dall’inferno.