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sabato 13 maggio 2017

“Scegli il sentiero che ha un cuore”







«In uno dei suoi libri su Don Juan Castaneda chiede: “Come fai a sapere quale deve essere il tuo sentiero?”, e Don Juan risponde: “Scegli il sentiero che ha un cuore”, Castaneda replica: “Ma questo non è un sentiero particolarmente difficile?” E don Juan dice: “No, è negli altri [sentieri] che sta il difficile”. Ho scoperto che ciò è assolutamente vero.
(…)
Alla fine, nessun sentiero andrà bene al cento per cento. Farsi strada attraverso sentieri differenti, fare uso della propria innata saggezza e della propria consapevolezza, è parte della pratica. Il criterio che mi ha aiutato a decidere è l’originario criterio del Buddha: “Insegno soltanto la sofferenza e la fine della sofferenza”. Perciò chiedetevi: “Questo modo di vivere, questo metodo, questo insegnante, mi sta aiutando a liberarmi della mia sofferenza? La mia vita sta diventando meno pesante? Sto diventando meno egocentrico?”

Se non conoscete voi stessi, e intendo ciò al livello più ordinario, semplicemente ciò che vi piace e ciò che non vi piace, siete destinati a inciampare. I lunghi ritiri e le tecniche meditative sono cose belle e utili; ma se le usate a prezzo dell’onestà, dell’imparare a fronteggiare voi stessi e a vedere come vivete e come create sofferenza per voi stessi e per gli altri, allora non ho molta fiducia in esse. Potete essere intensamente concentrati a conseguire la calma, ma se non riuscite a conoscere voi stessi, qualcosa si insinuerà in voi e causerà sofferenza.

Non sono contro la relazione guru-discepolo, se aiuta la gente a liberarsi. Ma non è quello il modello per cui ho lavorato. Nella mia tradizione i Buddha semplicemente indicano la via e tu devi percorrere il sentiero. Ecco ciò che tanto mi piacque nel Buddhismo fin dall’inizio: è un sentiero di responsabilità. Mi considero un guardiano, un portiere. Una persona dice: “Mi trovo intrappolato in questa stanza; sono molto infelice”. Io indico la porta. La porta è nella mente. Dico alla gente che l’uscita dalla loro sofferenza non è più distante del loro respiro. Sta nello stesso luogo della sofferenza.

Ci sono alcune persone straordinarie nel mondo, persone che hanno saputo svilupparsi in misura notevole. Ma sono arrivate? La vita continua e ci sono sempre nuove sfide. Quindi ho rispetto per l’abito e per il lignaggio ma non ne sono eccessivamente impressionato. Tutto si riduce alla stessa cosa: eccoti qua, un essere umano, sulle due tue gambe. Sai prenderti cura di te stesso?

Ciò che dà soddisfazione è aiutare le persone a capire finalmente che, in ultima istanza, non c’è nessuno a cui far riferimento, che tutto ciò di cui hanno bisogno sta dentro di loro: vale a dire la loro capacità di essere autoconsapevoli e di imparare. In certi casi so di aver fatto bene il mio lavoro proprio quando una persona non si fa più vedere.

Una volta una donna si alzò e disse a Krishnamurti: “Sa, sono quindici anni che vengo a sentire i suoi discorsi e finalmente capisco quello che lei mi è venuto dicendo”. Egli chiese: “Che cosa, signora?” Ed ella rispose: “Ciò che è venuto dicendo negli ultimi quindici anni è che lei non può aiutarmi in nessun modo”. Ed egli disse: “Esattamente”.»


da una intervista a Larry Rosenberg, fondatore e insegnante guida del Cambridge Insight Meditation Center a Cambridge, Massachusetts. Tradotta e pubblicata su SATI, Rivista dell’Associazione per la Meditazione di Consapevolezza, A.Me.Co, 1-2017





mercoledì 12 agosto 2015

Un vecchio trave





Lavoravamo sulla facciata della casa e notammo che il pergolato di sostegno al glicine era storto, si era abbassato da un lato e rischiava di cedere. Bisognava estrarre i pali di sostegno e i vecchi travi dal muro e sostituirli.

Tirando via da parte uno di questi travi di castagno, consunto e fradicio, ebbi a dire: "Com'è brutto!"

Il maestro replicò con calma: "E' stato bello pure lui..."

Restai a bocca aperta.

Quanta compassione e quanta saggezza in questa espressione!

E quanta ispirazione in una frase semplice e non pretenziosa...

Tirai un respiro di sollievo. Anche se il lavoro era duro quelle parole lo avevano reso leggero, la fatica restava ma come un dato di integrità dell’esperienza.