Il momento
presente è la porta verso la vera calma. Non potete conoscere il futuro. Ma qui
e ora potete creare una vita di dignità e compassione, un giorno alla volta.
di Jack Kornfield
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martedì 2 aprile 2019
domenica 11 novembre 2018
"La mente crea l’abisso, il cuore lo attraversa" Sri Nisargadatta
Talvolta ci scopriamo cocciutamente attaccati ai nostri
pensieri. Pensiamo che senza di essi la nostra vita
sarebbe vuota, e poi spesso questi pensieri si accompagnano a - o fanno
tutt’uno con- ricordi da cui non vogliamo e da cui non ci sembra possibile distaccarci. Quei nostri irrinunciabili pensieri, punti di vista,
opinioni ci sono costati tanto impegno e tanto sforzo: lasciarli andare non sarà autolesionistico? in fondo che cosa otterremo in cambio di
un così grande sacrificio? E’ tanto forte il nostro attaccamento che appena assaporata la vita senza il peso di qualche pensiero ecco
che ci affrettiamo a ritornare sui nostri passi per riprenderci ciò che diciamo
“mio”. Così un pensiero che è frutto di circostanze casuali e di occasionali combinazioni lo trasformiamo in un fondamento della nostra filosofia.
Ci leghiamo mani e piedi e più il legame è stretto e doloroso più lo
giudichiamo imperdibile per la nostra vita.
“Tu non sei i tuoi pensieri” dice
Jack Kornfield in “The Wise Heart”. E aggiunge: “Gran parte della nostra
sofferenza mentale viene da quanto strettamente ci stringiamo alle nostre
credenze, pensieri e prospettive.”
“Ma –continua- se i pensieri sono vuoti, su cosa possiamo fare
affidamento? Dov’è il nostro rifugio? Ecco come il saggio indiano Nisargadatta
risponde a questa domanda: “La mente crea l’abisso, il cuore lo attraversa.” La
mente che pensa costruisce visioni di ciò che è giusto e di ciò che è
sbagliato, buono e cattivo, di sé e dell’altro. Queste sono l’abisso. Quando
lasciamo che i pensieri vengano e vadano senza aggrapparci, possiamo usare il
pensiero, ma riposare nel cuore. Diventiamo più fiduciosi e coraggiosi. C’è una
qualità di innocenza propria del cuore. (...) Riposando nel cuore viviamo in
armonia con il nostro respiro, con il nostro corpo. Riposando nel cuore la
nostra pazienza cresce. Non dobbiamo pensare tutto. La vita si sta svolgendo
intorno a noi.”
sabato 4 novembre 2017
E' tua la scelta del sentiero
Spesso la gente lotta per capire il
karma. Karma è semplicemente la legge di
causa ed effetto, e nelle nostre vite questa legge di causa ed effetto
dipende dalle nostre intenzioni. Per capire, nota come la motivazione o
l’intenzione che precede l’azione determini il futuro risultato karmico di quella
azione. Se l’atto è motivato da sincera gentilezza, produrrà necessariamente un
risultato positivo, e se un atto è motivato da aggressione o avidità, porterà
in ultima istanza a un risultato spiacevole. Poiché i risultati karmici non
sempre portano frutto nell’immediato, è talvolta difficile osservare questo processo.
La parola è un ambito nel quale il
karma può essere visto in una maniera facile e diretta. Per questo esercizio,
decidi di prendere due o tre giorni per notare con cura le intenzioni che
motivano il tuo parlare. Dirigi la tua attenzione allo stato mentale che
precede il parlare, la motivazione per i tuoi commenti, risposte e
osservazioni.
Cerca di essere particolarmente
attento a se la tua parola è anche sottilmente motivata da noia,
preoccupazione, irritazione, solitudine, compassione, paura, amore,
competitività, avidità, o qualunque stato osservi. Sii consapevole, inoltre,
dell’umore generale o stato del tuo cuore o della tua mente, e di come potrebbe
stare influenzando la tua parola.
Cerca di osservare senza alcun
giudizio o anticipazione di quello che dovresti vedere. Semplicemente nota le
diverse motivazioni nella mente e il discorso che ne deriva. Poi, dopo aver
scoperto quale motivazione è presente mentre parli, nota l’effetto del
discorso. Se c’è competitività o attaccamento o orgoglio o irritazione dietro
le parole, che risposta sollecitano dal mondo che ti sta intorno? Se c’è
compassione o amore, qual’è la risposta? Se il tuo parlare è sconsiderato, come
se fossi in modalità pilota automatico, quale è la risposta? Se c’è chiarezza e
cura, come è ricevuto e con quale risposta?
Con la legge del karma in ogni nuovo
momento abbiamo una scelta di quale risposta il nostro cuore e mente porteranno
nella situazione intorno a noi. Scoprendo il potere dei nostri stati interiori
di determinare le condizioni esterne, possiamo seguire un sentiero che può
condurre a genuina felicità e libertà.
domenica 23 luglio 2017
Viandanti del cuore
Siamo indifferenti o disattenti
alle condizioni di mente e di cuore in cui viviamo abitualmente? Siamo divenuti
insensibili all’orientamento dei nostri pensieri, alla loro pesantezza o
tossicità? Diamo per scontati i nostri stati d’animo, ancorchè scoraggianti e
deprimenti? Oppure la nostra ricerca “spirituale” si disinteressa e ha smesso
da tempo di vedere il nostro aspetto fisico, il nostro portamento? E’ il
momento di realizzare che le nostre intenzioni e motivazioni, le nostre
riflessioni, sono connesse con l’ambiente interiore in cui viviamo, e anche quando non ne siamo consapevoli ne sono profondamente
influenzate, in particolare se esso è segnato da negatività, abbandono,
rassegnazione, sfiducia.
Molti sono i versi del Dhammapada, il classico libro della
scuola del buddhismo antico, che ci richiamano alla realtà delle emozioni e dei
modelli mentali in cui nel nostro viaggio nell’esistenza terrena possiamo
restare impigliati e anche perderci, e di quel che ci offre sostegno e gioia. Leggendo
il Dhammapada ci viene naturale
vederci come viandanti del cuore, visualizzare le strade che percorriamo nel
mondo come sono predisposte dalla nostra realtà mentale, dai suoi meccanismi,
spesso inconsci, dalle abitudini, dalle distrazioni. E possiamo, grazie alla pratica
di consapevolezza, realisticamente impegnarci a prenderci cura della
mente-cuore, sostituire la trascuratezza con la sollecitudine, la paura e la
negatività con l’intenzione positiva, l’ostilità con la gentilezza amorevole, e
capiamo che da qui si diramano le strade che prendiamo.
Un noto insegnante di pratica
della consapevolezza, Jack Kornfield, ha scritto un libro intitolato The Wise Heart in cui invita a praticare
con fiducia la sostituzione di pensieri negativi con pensieri positivi. Raccomanda
l’attenzione alle occasioni in cui i pensieri distruttivi emergono, qual è il
bersaglio del loro criticismo, quali frasi utilizzano, da dove vengono queste
frasi e che tipo di reazione generano nell’organismo, la vergogna, il giudizio
devastante, la denigrazione sistematica. Una volta che la consapevolezza degli
attacchi di negatività è sentita, Kornfield sollecita a crearsi un antidoto,
due o tre semplici frasi che rovescino la falsità insita nei pensieri non salutari,
“La vita è preziosa”, “Userò bene questo giorno”, o esprimano l’opposto della
vergogna e dell’autosvalutazione, “Vivrò nobilmente e dignitosamente”, o
l’opposto dell’ansia, “Vivrò con fiducia”. O potranno essere basate su
espressioni desunte dalla pratica dell’amorevole gentilezza:
Che io possa amare me stesso
proprio come sono.
Che io possa sentire in me il
merito e il benessere.
Che io possa aver fiducia in
questo mondo.
Che io possa aver compassione per
me stesso.
Che io possa accogliere con
compassione la sofferenza e l’ignoranza di altri.
A questo punto ogniqualvolta
notiamo la presenza di pensieri distruttivi, inquinanti, ci fermiamo e
intenzionalmente sentiamo la sofferenza che portano, tiriamo un respiro,
tratteniamo il senso di sofferenza con gentilezza e poi mentalmente recitiamo
le frasi che abbiamo scelto. Le ripetiamo comunque, che ne siamo o no convinti,
come un antidoto alla sofferenza. Passerà del tempo prima che ci rendiamo conto
che funzionano ma succederà. Forse sarà prima necessario passare attraverso più
acute difficoltà e sofferenze ma succederà. Come semi che vengono piantati,
insegna Kornfield, percepiamo con tenerezza ogni frase - come lasciando cadere
semi di compassione e di cura nella nostra mente e corpo. Piantiamo queste
frasi di gentilezza e piano piano, mentalmente, notiamo come la mente e il
cuore diventino una fonte di nutrimento e di forza nel cammino.
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domenica 10 luglio 2016
Vivere il presente. A colloquio con mio figlio
Quando
mio figlio, adolescente e desideroso di fare le sue esperienze in prima persona
e mettersi alla prova, me ne racconta qualcuna, mi rendo conto che il primo
ostacolo alla comunicazione è per me il non essere presente, qui e ora,
nell’ascolto e nella partecipazione ma essere d’istinto trasportato nel futuro.
Lo
ascolto e debbo stare attento a non precorrere il racconto e l’esperienza,
trascinato come sono in avanti e indietro dall’ansia che essa possa
rappresentare un pericolo per la sua vita e la sua sicurezza.
Quando
ascolto mio figlio devo innanzitutto vivere il presente, con calma e con
pazienza.
Migliaia
di cose che permettono di infervorarsi non sono scontate o garantite e non lo
saranno mai per quanta enfasi e pathos io possa mettere nelle mie spiegazioni e
perorazioni. Non saranno esse a darmi il controllo del futuro e la sicurezza
che tutto andrà nella maniera più soddisfacente e priva di sofferenza.
Devo
fare spazio nel momento così com’è usando tranquillità e tenerezza, ed essere
incoraggiante, invece di minaccioso e terrorizzato.
Avendo
visto che nella mia mente c’è paura e ansia, imparo a lasciarle andare e a non identificarmi
con modelli non salutari e così scopro, come insegna Jack Kornfield, un livello
più profondo di liberazione.
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venerdì 25 settembre 2015
Se l'ami abbastanza
Miti di tutto il mondo dicono di uomini e donne
in cerca dell’elisir che protegga dalla sofferenza. La risposta del buddhismo è
la consapevolezza. Come funziona la consapevolezza? Lasciatemi illustrare con
una storia che divenne la base per il film del 1988 “Gorilla nella nebbia”. Il
film racconta di Dian Fossey, una coraggiosa biologa ricercatrice sul campo che
riuscì a farsi amica una tribù di gorilla. Fossey era andata in Africa sulle
orme del suo mentore George Shaller, un famoso biologo dei primati che era
ritornato dalla foresta con informazioni sulla vita dei gorilla più profonde e
cogenti di qualsiasi altro scienziato prima di lui. Quando i suoi colleghi gli domandarono
come era riuscito ad apprendere dettagli così rimarchevoli circa la struttura
tribale, la vita familiare e le abitudini dei gorilla, egli l’attribuì a una
semplice cosa: non portava con sé un fucile.
Precedenti generazioni di biologi erano entrati
nel territorio di questi grandi animali presupponendo che fossero pericolosi. Così
gli scienziati venivano con uno spirito aggressivo, con grandi fucili in mano. I
gorilla potevano sentire il pericolo intorno a questi uomini con i fucili spianati e se ne tenevano a lunga distanza. Al contrario, Shaller -e più tardi la
sua studentessa Dian Fossey- entrarono nel loro territorio senza armi. Dovevano
muoversi lentamente, con gentilezza, e soprattutto con rispetto nei confronti
di queste creature. E, col tempo, sentendo la benevolenza di questi umani, i
gorilla gli permisero di venire proprio in mezzo a loro e imparare i loro modi.
Sedendo immobile, ora dopo ora, con sollecita,
paziente attenzione, Fossey finalmente capì quello che vedeva. Come spiegò il
saggio afro-americano George Washington Carver: “Qualunque cosa rilascerà i
suoi segreti se l’ami abbastanza.”
Jack Kornfield
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venerdì 3 ottobre 2014
Una lettera di Jack Kornfield dalla Birmania
Nessuno dovrebbe nella rabbia o nell’odio
desiderare di far male ad altri
Il Buddha, nel Metta Sutta
In superficie, la Birmania dell’entroterra
non è molto cambiata dal 1971, quando vi ricevevo la mia formazione da monaco
nei monasteri di Mahasi e Sunlun Sayadaw. Il paesaggio verde e polveroso è
punteggiato da templi e pagode dorate. Ci sono poveri contadini e piccole
cittadine dai mercati colorati. Il popolo birmano resta straordinariamente gentile
e di buon cuore, la nazione un centro venerato di insegnamenti buddhisti.
Ma adesso c’è anche paura, una corrente
sottostante di tensione che si diffonde attraverso il paese. Ho fatto di
recente ritorno dalla Birmania dove ho lavorato con attivisti per la pace e per
Partners Asia, a sostegno di scuole,
rifugi per orfani e donne maltrattate, programmi per HIV, ambulatori di
campagna, e altri meravigliosi progetti. Ho trovato tra cambiamenti positivi e
lenti movimenti verso la democrazia, crescente intolleranza e conflitto
religioso ed etnico.
Le notizie dicono di monaci che
attraversano la Birmania e usano gli insegnamenti buddhisti per incoraggiare la
violenza e l’approvazione di leggi inumane. Qui in Occidente molte persone sono
scioccate. Non è il buddhismo la religione che predica contro la violenza e le
uccisioni? Sono vere queste storie? Come dobbiamo comprenderle?
Le storie sono vere. Viaggiando attraverso
la Birmania di recente, ho incontrato alcuni di questi monaci che fomentano
odio e fervore sciovinista. Non vogliono sentir parlar di pace e hanno avuto
successo nel seminare diffidenza in lungo e in largo in buona parte del paese. Sotto
la loro influenza, tassisti e negozianti da Rangoon a centri urbani remoti
parlano della loro paura di una presa del potere dei musulmani e dell’ “insegnamento
di Buddha” per cui talvolta la violenza è necessaria per proteggere la nazione.
Tale pericolosa situazione richiede qualche spiegazione.
La più grande fonte di conflitto è la
situazione incerta dei musulmani Rohingya nell’estremo occidente della Birmania.
Rakhine è una bella terra al confine con il Bangladesh che è stata per secoli
un regno marinaro. Ma da quando i re della Birmania centrale conquistarono Rakhine,
il popolo è stato maltrattato. E nel corso dell’ultimo secolo, un milione di
musulmani Rohingya, alla ricerca di nuove opportunità o in fuga dalla povertà e dai
maltrattamenti nell’odierno Bangladesh, si sono stabiliti in Rakhine. Oggi, il
sovrappopolato Bangladesh non vuole riaccoglierli lasciandoli ritornare
indietro e i nativi Rakhine, già poveri e angariati dal governo centrale,
temono di perdere terra e mezzi di sostentamento in favore degli immigrati
musulmani, anche se molti Rohingya hanno
vissuto in quella terra pacificamente per decenni.
L’attuale pressione economica ha reso
la situazione pronta per la paura, la violenza, e la strumentalizzazione
politica. Case e attività di musulmani sono state date alle fiamme e 100 mila
musulmani Rohingya, molti bambini e donne tra di loro, sono stati forzatamente rinchiusi
dentro campi per rifugiati. Quando ho parlato con Rohingya provenienti da Rakhine, i loro occhi si
ingrandivano per lo sgomento, ed era palpabile l’impotenza e la paura di
aggressioni da parte della maggioranza buddista. Recentemente, il rullante
richiamo di tamburi alla violenza contro i musulmani e altre minoranze si è
diffuso in altre parti del paese, spesso con la tacita approvazione della polizia
locale e dell’esercito.
Sono testimone in prima persona del propagarsi
della violenza nella città di Lashio nello stato settentrionale di Shan, dove
nell’anno passato una moschea, attività economiche, e un orfanotrofio musulmano
sono stati dati al fuoco, non lontano dalla più venerata pagoda della città. I
buddisti del luogo con cui ho parlato erano amichevoli ma anche preoccupati, e
dalle loro file provenivano le folle che
appiccavano il fuoco ai vicini musulmani.
Dei circa mezzo milione di monaci e
monache in Birmania, coloro che sposano l’odio e sostengono la violenza sono un
pugno, meno dell’un per cento. Tuttavia il loro messaggio di paura e di
pregiudizio ha una risonanza a causa di svariati fattori.
Innanzitutto, i monaci radicali hanno
collegato con successo l’insegnamento buddista con il nazionalismo. Il
buddhismo insegna la nobiltà di tutti
gli esseri umani, senza distinzione di casta, di razza, o credo. Ma gli umani
riescono a far cattivo uso di tutto, dharma compreso, e questi monaci sono
diventati fondamentalisti che sposano il pregiudizio nel nome del dharma. Con il
40 per cento della popolazione birmana diviso in 135 gruppi etnici, tre milioni
di musulmani, e una dozzina di guerre civili in lenta ebollizione, i malaccorti
monaci dicono ai buddisti birmani che devono combattere contro i diversi per
conservare la nazione.
In secondo luogo, dal momento della recente
transizione a un governo quasi-civile, c’è crescente insicurezza, sviluppo
economico predatorio e inganno politico. Durante precedenti viaggi nel periodo
del regime militare, amici avrebbero potuto essere imprigionati o torturati se
fossi stato per caso udito parlar loro di Aung
San Suu Kyi. Al giorno d’oggi la conversazione
pubblica è permessa ma restano ancora dei pericoli per giornalisti e
attivisti.
Con l’abolizione della dittatura militare, le tensioni
etniche e religiose in ebollizione sono sfruttate da monaci malaccorti, gruppi
politici, e quel che resta della dittatura, a scopo di potere. Si dice che
alcuni dei monaci peggiori siano uomini del Servizio Segreto che hanno preso l’abito
monacale e stanno deliberatamente attizzando le paure per riportare la gente
dalla parte dei militari e contro Aung San Suu Kyi. I monaci radicali giocano
sulla memoria storica dell’espansione musulmana nell’Asia delle preesistenti
culture buddiste. Racconti paurosi di musulmani violentatori di donne buddiste,
aventi enormi famiglie e che sovrappopolano la terra sono largamente
disseminate.
Sorprendentemente, esiste una diffusa ignoranza in
Birmania di molti insegnamenti centrali per il buddismo. Gran parte della
pratica buddhista in Birmania ha carattere devozionale. Le preghiere e le
offerte esprimono un bello spirito di generosità e la credenza nell’ottenimento
di meriti, nel karma e nella rinascita. I templi accuratamente decorati sono
regolarmente inondati con una gioiosa compartecipazione comunitaria, con canti e manifestazioni di sostegno
per i monaci.
In questa cultura devozionale, gli insegnamenti delle nobili verità e dell’ottuplice
sentiero, della nonviolenza,
consapevolezza, e della virtù non sono enfatizzati. E il monito del
Buddha a guardare e a occuparsi di se stessi è completamente perduto. Il sistema educativo birmano non insegna al
popolo a mettere in discussione l’autorità. Gli studenti di una scuola media,
appassionati e dai visi radiosi mi hanno detto di aver sempre imparato a
memoria e di non aver mai fatto una domanda in tutta la loro carriera
scolastica. In aggiunta a questo, cinquant’anni di polizia segreta e di oppressione
militare hanno lasciato molti birmani impauriti e facilmente tratti in inganno.
Per fortuna ci sono
anche abati, attivisti, e leaders musulmami che incarnano l’insegnamento del
Buddha a “accordarsi con tutti gli esseri con illimitata amorevole gentilezza”.
Sono stato ispirato dal coraggio di coloro che stanno cercando di disinnescare
questa deplorevole situazione. Alcuni lavorano in pubblico, altri si impegnano
dietro la scena, per educare i monaci e le comunità negli insegnamenti buddisti
riguardanti rispetto, nonviolenza, e risoluzione dei conflitti. Ma il linguaggio dell’odio ha
creato una situazione pericolosa, e coloro che parlano apertamente in pubblico
contro il pregiudizio sono presi di mira e molestati dagli squadristi
anti-musulmani. Nonostante questo, leader come Zin Mar Aung che ha ottenuto l’International
Woman Courage Award, e il Venerabile U Nayaka Sayadaw, abate di un monastero di
Mandalay con settemila monaci, hanno tenuto alta la bandiera del dharma di
rispetto per tutti.
Anche se la soluzione è nelle mani degli stessi birmani,
ci sono molti gruppi all’esterno che cercano di incoraggiare la miglior
tradizione buddista birmana di tolleranza, come Partners Asia, il Catholic
Peacebuilding Network, Hope
International, United to End
Genocide, e il International Network
of Engaged Buddhists. Sfortunatamente, Médecins
Sans Frontières e le UN sono stati banditi da Rakhine perché il governo non
vuole che resoconti onesti sulla situazione raggiungano il mondo esterno. Aung
San Suu Kyi, che mantiene una visione di lungo termine dello sviluppo della
Birmania, con immensa dignità, grazia, e coraggio, ha incoraggiato quanti di
noi l’hanno incontrata ad ascoltare tutte le parti in conflitto. Sfortunatamente
la costituzione imposta dai militari non è stata ancora cambiata sì da
riconoscerle pieni diritti politici e lei è limitata nella sua abilità a
misurarsi con la situazione.
Nei mesi passati ho organizzato un gruppo di interessati
anziani buddisti, inclusi il Dalai Lama e Thich Nhat Hanh, per pubblicare una
lettera occupante l’intera pagina di giornali birmani per incoraggiare i
birmani ad alzarsi in piedi per la loro nobile tradizione di rispetto e
nonviolenza.
-Jack
Kornfield, da Shambala Sun
domenica 31 marzo 2013
Lettera di Auguri per Pasqua
“ La vita spirituale non consiste nel diventare una persona speciale,
ma nello scoprire una grandezza di cuore dentro di noi e in ogni essere. E’ un
invito a lasciar cadere le opinioni, i nostri punti di vista, le nostre idee, i
nostri pensieri, il nostro intero senso del tempo e di noi stessi, senza mai
soffermarsi in nessuna posizione fissa.”
Jack Kornfield, prefazione a Achaan Sumedho, Lasciar andare il fuoco, Ubaldini 1992
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