venerdì 3 ottobre 2014

Una lettera di Jack Kornfield dalla Birmania




Nessuno dovrebbe nella rabbia o nell’odio
desiderare di far male ad altri
Il Buddha, nel Metta Sutta

 

In superficie, la Birmania dell’entroterra non è molto cambiata dal 1971, quando vi ricevevo la mia formazione da monaco nei monasteri di Mahasi e Sunlun Sayadaw. Il paesaggio verde e polveroso è punteggiato da templi e pagode dorate. Ci sono poveri contadini e piccole cittadine dai mercati colorati. Il popolo birmano resta straordinariamente gentile e di buon cuore, la nazione un centro venerato di insegnamenti buddhisti.

Ma adesso c’è anche paura, una corrente sottostante di tensione che si diffonde attraverso il paese. Ho fatto di recente ritorno dalla Birmania dove ho lavorato con attivisti per la pace e per Partners Asia, a sostegno di scuole, rifugi per orfani e donne maltrattate, programmi per HIV, ambulatori di campagna, e altri meravigliosi progetti. Ho trovato tra cambiamenti positivi e lenti movimenti verso la democrazia, crescente intolleranza e conflitto religioso ed etnico.

Le notizie dicono di monaci che attraversano la Birmania e usano gli insegnamenti buddhisti per incoraggiare la violenza e l’approvazione di leggi inumane. Qui in Occidente molte persone sono scioccate. Non è il buddhismo la religione che predica contro la violenza e le uccisioni? Sono vere queste storie? Come dobbiamo comprenderle?

Le storie sono vere. Viaggiando attraverso la Birmania di recente, ho incontrato alcuni di questi monaci che fomentano odio e fervore sciovinista. Non vogliono sentir parlar di pace e hanno avuto successo nel seminare diffidenza in lungo e in largo in buona parte del paese. Sotto la loro influenza, tassisti e negozianti da Rangoon a centri urbani remoti parlano della loro paura di una presa del potere dei musulmani e dell’ “insegnamento di Buddha” per cui talvolta la violenza è necessaria per proteggere la nazione. Tale pericolosa situazione richiede qualche spiegazione.

La più grande fonte di conflitto è la situazione incerta dei musulmani Rohingya nell’estremo occidente della Birmania. Rakhine è una bella terra al confine con il Bangladesh che è stata per secoli un regno marinaro. Ma da quando i re della Birmania centrale conquistarono Rakhine, il popolo è stato maltrattato. E nel corso dell’ultimo secolo, un milione di musulmani Rohingya, alla ricerca di nuove  opportunità o in fuga dalla povertà e dai maltrattamenti nell’odierno Bangladesh, si sono stabiliti in Rakhine. Oggi, il sovrappopolato Bangladesh non vuole riaccoglierli lasciandoli ritornare indietro e i nativi Rakhine, già poveri e angariati dal governo centrale, temono di perdere terra e mezzi di sostentamento in favore degli immigrati musulmani, anche se molti Rohingya  hanno vissuto in quella terra pacificamente per decenni.

L’attuale pressione economica ha reso la situazione pronta per la paura, la violenza, e la strumentalizzazione politica. Case e attività di musulmani sono state date alle fiamme e 100 mila musulmani Rohingya, molti bambini e donne tra di loro, sono stati forzatamente rinchiusi dentro campi per rifugiati. Quando ho parlato con Rohingya  provenienti da Rakhine, i loro occhi si ingrandivano per lo sgomento, ed era palpabile l’impotenza e la paura di aggressioni da parte della maggioranza buddista. Recentemente, il rullante richiamo di tamburi alla violenza contro i musulmani e altre minoranze si è diffuso in altre parti del paese, spesso con la tacita approvazione della polizia locale e dell’esercito.

Sono testimone in prima persona del propagarsi della violenza nella città di Lashio nello stato settentrionale di Shan, dove nell’anno passato una moschea, attività economiche, e un orfanotrofio musulmano sono stati dati al fuoco, non lontano dalla più venerata pagoda della città. I buddisti del luogo con cui ho parlato erano amichevoli ma anche preoccupati, e dalle loro file provenivano le folle  che appiccavano il fuoco ai vicini musulmani.

Dei circa mezzo milione di monaci e monache in Birmania, coloro che sposano l’odio e sostengono la violenza sono un pugno, meno dell’un per cento. Tuttavia il loro messaggio di paura e di pregiudizio ha una risonanza a causa di svariati fattori.

Innanzitutto, i monaci radicali hanno collegato con successo l’insegnamento buddista con il nazionalismo. Il buddhismo insegna la nobiltà  di tutti gli esseri umani, senza distinzione di casta, di razza, o credo. Ma gli umani riescono a far cattivo uso di tutto, dharma compreso, e questi monaci sono diventati fondamentalisti che sposano il pregiudizio nel nome del dharma. Con il 40 per cento della popolazione birmana diviso in 135 gruppi etnici, tre milioni di musulmani, e una dozzina di guerre civili in lenta ebollizione, i malaccorti monaci dicono ai buddisti birmani che devono combattere contro i diversi per conservare la nazione.

In secondo luogo, dal momento della recente transizione a un governo quasi-civile, c’è crescente insicurezza, sviluppo economico predatorio e inganno politico. Durante precedenti viaggi nel periodo del regime militare, amici avrebbero potuto essere imprigionati o torturati se fossi stato per caso udito parlar loro di Aung San Suu Kyi. Al giorno d’oggi la conversazione  pubblica è permessa ma restano ancora dei pericoli per giornalisti e attivisti.

Con l’abolizione della dittatura militare, le tensioni etniche e religiose in ebollizione sono sfruttate da monaci malaccorti, gruppi politici, e quel che resta della dittatura, a scopo di potere. Si dice che alcuni dei monaci peggiori siano uomini del Servizio Segreto che hanno preso l’abito monacale e stanno deliberatamente attizzando le paure per riportare la gente dalla parte dei militari e contro Aung San Suu Kyi. I monaci radicali giocano sulla memoria storica dell’espansione musulmana nell’Asia delle preesistenti culture buddiste. Racconti paurosi di musulmani violentatori di donne buddiste, aventi enormi famiglie e che sovrappopolano la terra sono largamente disseminate.

Sorprendentemente, esiste una diffusa ignoranza in Birmania di molti insegnamenti centrali per il buddismo. Gran parte della pratica buddhista in Birmania ha carattere devozionale. Le preghiere e le offerte esprimono un bello spirito di generosità e la credenza nell’ottenimento di meriti, nel karma e nella rinascita. I templi accuratamente decorati sono regolarmente inondati con una gioiosa compartecipazione  comunitaria, con canti e manifestazioni di sostegno per i monaci.

In questa cultura devozionale,  gli insegnamenti delle nobili verità e dell’ottuplice sentiero, della nonviolenza,  consapevolezza, e della virtù non sono enfatizzati. E il monito del Buddha a guardare e a occuparsi di se stessi è completamente perduto.  Il sistema educativo birmano non insegna al popolo a mettere in discussione l’autorità. Gli studenti di una scuola media, appassionati e dai visi radiosi mi hanno detto di aver sempre imparato a memoria e di non aver mai fatto una domanda in tutta la loro carriera scolastica. In aggiunta a questo, cinquant’anni di polizia segreta e di oppressione militare hanno lasciato molti birmani impauriti e facilmente tratti in inganno.

Per fortuna  ci sono anche abati, attivisti, e leaders musulmami che incarnano l’insegnamento del Buddha a “accordarsi con tutti gli esseri con illimitata amorevole gentilezza”. Sono stato ispirato dal coraggio di coloro che stanno cercando di disinnescare questa deplorevole situazione. Alcuni lavorano in pubblico, altri si impegnano dietro la scena, per educare i monaci e le comunità negli insegnamenti buddisti riguardanti rispetto, nonviolenza, e risoluzione  dei conflitti. Ma il linguaggio dell’odio ha creato una situazione pericolosa, e coloro che parlano apertamente in pubblico contro il pregiudizio sono presi di mira e molestati dagli squadristi anti-musulmani. Nonostante questo, leader come Zin Mar Aung che ha ottenuto l’International Woman Courage Award, e il Venerabile U Nayaka Sayadaw, abate di un monastero di Mandalay con settemila monaci, hanno tenuto alta la bandiera del dharma di rispetto per tutti.

Anche se la soluzione è nelle mani degli stessi birmani, ci sono molti gruppi all’esterno che cercano di incoraggiare la miglior tradizione buddista birmana di tolleranza, come Partners Asia, il Catholic Peacebuilding Network, Hope International, United to End Genocide, e il International Network of Engaged Buddhists. Sfortunatamente, Médecins Sans Frontières e le UN sono stati banditi da Rakhine perché il governo non vuole che resoconti onesti sulla situazione raggiungano il mondo esterno. Aung San Suu Kyi, che mantiene una visione di lungo termine dello sviluppo della Birmania, con immensa dignità, grazia, e coraggio, ha incoraggiato quanti di noi l’hanno incontrata ad ascoltare tutte le parti in conflitto. Sfortunatamente la costituzione imposta dai militari non è stata ancora cambiata sì da riconoscerle pieni diritti politici e lei è limitata nella sua abilità a misurarsi con la situazione.

Nei mesi passati ho organizzato un gruppo di interessati anziani buddisti, inclusi il Dalai Lama e Thich Nhat Hanh, per pubblicare una lettera occupante l’intera pagina di giornali birmani per incoraggiare i birmani ad alzarsi in piedi per la loro nobile tradizione di rispetto e nonviolenza.

-Jack Kornfield, da Shambala Sun


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