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domenica 11 marzo 2018

11 marzo 2011-11 marzo 2018




La luna, le nuvole, la neve, la fioritura

  
Con il discorso di accettazione del Nobel per la letteratura nel 1968 Yasunari Kawabata apre il suo cuore al mondo spiegando quale significato abbia per la cultura giapponese la compagnia e la voce di alcuni monaci-poeti.  
Tra questi c'è Myōe di cui riporta tre poemi sulla luna d’inverno e il resoconto dettagliato della loro origine: «Nella notte del dodicesimo giorno del dodicesimo mese dell’anno 1224, la luna era dietro le nubi. Io sedevo in meditazione Zen nella sala Kakyū. Quando scoccò la mezzanotte terminai la meditazione e discesi dalla sala ai quartieri inferiori, nel mentre la luna uscì dalle nuvole e fece brillare la neve. La luna mi era compagna, e neppure il lupo che ululava nella valle faceva paura. Nel momento in cui venni via dai quartieri bassi, di nuovo la luna era dietro le nubi. Non appena la campana segnalò la vigilia di tarda notte, salii ancora una volta ai quartieri alti, e la luna mi vide per strada. Entrai nella sala di meditazione, e la luna, scacciando via le nuvole, era sul punto di tramontare dietro la vetta lontana, e mi sembrava che mi tenesse segreta compagnia.»
Ecco ora la prima delle tre poesie:

Luna d’inverno, che vieni
Dalle nuvole a tenermi compagnia,
E’ tagliente il vento, fredda la neve?

Kawabata dice di averla scelta “per la sua straordinaria gentilezza e compassione. Luna invernale, che vai dietro le nuvole e poi ne esci, facendo brillare le mie orme mentre raggiungo la sala di meditazione e ne scendo di nuovo, così che non ho paura dei lupi: il vento non affonda dentro di te, e la neve, non hai freddo? La considera una poesia che ha in sé la profonda quiete dello spirito giapponese” e  aggiunge: “la neve, la luna, la fioritura, parole che esprimono le stagioni nel mentre che muovono l’una nell’altra, includono nella tradizione giapponese la bellezza di montagne e fiumi ed erba e alberi, della miriade di manifestazioni della natura, e anche dei sentimenti umani.” 

La seconda poesia “fu composta da Myōe entrato nella sala di meditazione dopo aver guardato la luna discendere verso la montagna”:

Andrò dietro la montagna.
Ci andrò anch’io, luna.
Notte dopo notte ci faremo l’un
l’altro compagnia.

E la terza, preceduta da queste parole dello stesso Myōe: «Aprendo gli occhi dalla meditazione vidi la luna nell’alba, che illuminava la finestra. Nell’oscurità, sentii come se proprio il mio cuore risplendesse di luce che sembrava fosse la luce della luna»:

Il mio cuore risplende, pura espansione
di luce;
e senza dubbio la luna penserà
che questa luce sia la sua.


L'anniversario del disastro di Fukushima mi riporta alla mente i poeti scelti da Kawabata: MyōeDōgen, Ikkyū. 
Mi ricorda Ryōkan (vedi il post del 21/06/2014) che "praticava la letteratura e la fiducia nello spirito benigno riassunto nella frase buddista “un viso sorridente e parole gentili” e sperava che dopo la sua morte la natura restasse bella.”  

Che la natura resti bella è stata, dopo Fukushima, e rimane oggi, una speranza grande e difficile. Una speranza che trae la sua forza dall'essere condivisa e ispirata da una compassione con mille facce e braccia come Kannon nel Sanjusangendo a Kyoto: i tanti ragazzi accorsi da lontano per prestare soccorso, i residenti rimasti sempre accanto ai loro amici non umani o ritornati per contribuire alla rinascita di luoghi e istanze di comunità, i volontari organizzati in squadre devote al salvataggio di persone anziane o disabili, i molti che hanno fatto tutto il possibile per recuperare le vittime da sotto le macerie o per svolgere con pazienza straordinaria la selezione e la raccolta di materiale contaminato e mille altre attività di ricucitura e di cura della grande ferita dell'11 marzo 2011.  












sabato 16 gennaio 2016

A che cosa io servo?





I versi di Ryōkan, che seguono, sono tanto onesti quanto risoluti, tanto dimessi, ma senza affettazione di modestia, quanto naturalmente energici, nella persuasione al rispetto per l’essere umano e alla consapevolezza per l’esperienza umana, anche la meno appariscente e all’apparenza poco rilevante.  Risuonano esemplari eppure (come il monte Kugami nella poesia del post del 3/01/2016) aperti a tante viste e visibili da varie posizioni.

A che cosa io servo
la gente mi domanda
a che cosa io servo
in mezzo alle canne
il mattino mi apro un cammino
andando dove ho voglia di andare

(da L’eremo dal tetto di paglia, ed.Acquaviva)






domenica 3 gennaio 2016

I tornanti del monte Kugami









Mentre la capanna
si nasconde
alla mia vista
e il bosco
non si vede più,
scendendo il sentiero
a serpentina,
ad ogni giro
rivolgo lo sguardo
verso la montagna

dalle Poesie di Ryōkan a cura di Luigi Soletta, edizioni La Vita Felice








martedì 16 giugno 2015

Amicizia





In una newsletter leggo i versi di Ryōkan che mi ricordano Drew, amico di pratica, artista, costruttore di case e fotografo (autore del bellissimo "Man with Fire in the Belly"):


Buoni amici e maestri eccellenti..

restagli vicino!

Ricchezze e potere sono sogni fuggevoli

ma le parole sagge profumano il mondo

per anni

da Ryōkan, Gocce di rugiada su una foglia di loto


A causa di preoccupazioni e difficoltà possiamo finire "imprigionati" dentro un'ansa cieca  dove tutto rimbomba si contorce e sembra senza scampo. Allora è d’aiuto essere nelle vicinanze di qualcuno che ci aiuti a dubitare della oggettività e assolutezza delle sensazioni e percezioni mentali che in tali condizioni, anche a causa di precedenti condizionamenti, ci stringono e ci tolgono spazio e respiro.

Che cosa e chi meglio di un amico?! Che potremmo mai desiderare di meglio?




sabato 21 giugno 2014

Il mio lascito






Quale sarà il mio legato?

Le fioriture di primavera,

il cuculo nelle colline,

le foglie d’autunno.

Ryōkan (1758-1831)


“In questo poema di Ryōkan-osserva Yasunari Kawabata nel suo discorso di accettazione del Premio Nobel- le più comuni figure e le più comuni parole sono legate insieme senza esitazione, senza ricercare effetti particolari, e così trasmettono la vera essenza del Giappone”.

La rinuncia agli effetti speciali e alla ricercatezza nella scelta delle parole e delle figure e nella legatura e la semplicità senza esitazione sono indicate come “vera essenza del Giappone”.

Ryōkan, dice Kawabata, “ha vissuto nello spirito” dei suoi poemi, “viandante su sentieri di campagna, una capanna di paglia come rifugio, stracci come indumenti, contadini con cui parlare. La profondità della letteratura e della religione non era, per lui, nelle astrusità. Piuttosto praticava la letteratura e la fiducia nello spirito benigno riassunto nella frase buddista: “un viso sorridente e parole gentili”.  “Nel suo ultimo poema non offrì alcun legato. Si limitò a sperare che dopo la sua morte la natura restasse bella. Questo potrebbe essere il suo lascito. Si sentono nel poema le emozioni del vecchio Giappone e anche il cuore di una fede religiosa.”