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lunedì 14 gennaio 2019

Il seme dell'amarezza











Quanto male fanno le parole non buone, che non nascono dall’attenzione e dalla benevolenza nè dalla fiducia e creano molti equivoci e pregiudizi. Parole intrise di amarezza che lasciano l’amaro in bocca.
Eppure ricordandole spesso siamo presi da una torpida indulgenza nei nostri stessi confronti, come fossimo in diritto di dire certe frasi in nome del fatto che in fondo non ci crediamo veramente, che abbiamo parlato per inerzia, che ci siamo lasciati catturare dal discorso...
Quando poi la sensazione di gravità di quanto abbiamo detto ci colpisce, possiamo scoprire di essere già stati presi dall’urgenza del condono, del fare ammenda, e già inconsapevolmente spinti alla ricerca di meriti o distrazioni che cancellino il nostro disagio.
In questo modo tuttavia sciupiamo una occasione preziosa.
Il seme dell’amarezza può dare buoni frutti ma ha bisogno di essere pienamente accolto e compreso nel suo movimento che nega la realtà.

giovedì 29 marzo 2018

Sul tram delle illusioni perdute







Di ritorno dall’ufficio pensioni salgo sul tram, il numero 3: il consueto parlottìo di donne di servizio dall’est Europa, le letture di libri o di smartphone degli studenti de La Sapienza, gruppetti di giovani cinesi e latini, le facce di anziani e di vecchi italiani.
Resto impressionato da alcune facce affaticate, consunte, voci flebili, occhi infossati, viso tirato, corpi prosciugati da tante illusioni andate in frantumi.
Il bilancio della vita sembra un tutto a perdere, ci si è affidati a illusioni, le abbiamo create a nostra immagine e somiglianza per far fronte a rovesci e sconfitte e per risalire la china dopo altre precedenti illusioni che si erano infrante e che ci avevano lasciato delusi. Arriva così il giorno in cui ci si ritrova senza più la voglia o l’energia di riprovare nè di capire. Talvolta ci si porta dentro un senso di delusione irredemibile così carico di angoscia e di confusione. Scopriamo che i nostri sogni non sono eterni. Lo sapevamo sì, ma intellettualmente - non l’avevamo ancora compreso davvero. Credevamo che i pupazzi di neve che plasmavamo durassero per sempre…
Nel buio di tale condizione l’esserne consapevoli non pare dare sollievo.
A che serve? - può venir fatto di chiedersi, di interrogare. L’essere umano confuso dalla sofferenza e dalla delusione può trovare rifugio nella consapevolezza della sua misera sorte? Non sarebbe meglio cercare uno sfogo nei piaceri, nell’ebbrezza, nell’oblìo?
Queste domande possono suonare inutili o provocatorie, ma sono per certi versi necessarie e salutari.
Se non le ascoltiamo rischiamo di nascondere a noi stessi che illudendoci di scampare alla sorte comune a tutti gli esseri umani, grazie al supposto speciale valore di nostri progetti o pensieri, stiamo andando incontro all’ennesima delusione. L’illusione di una presunta salvifica distinzione deve essere svelata dalla realizzazione della nostra comune umanità, del nostro non essere superiori, o a parte, rispetto agli altri esseri umani -solo questa realizzazione può aprire la strada alla compassione verso tutti, me compreso, ogni essere vivente incluso. L'attenzione, che Malebranche definisce "la preghiera naturale dell'anima", non deve essere menomata e avvilita dal giudicare questo o quello, ma allargarsi in una disposizione di benevolenza e apertura. Allora la consapevolezza non sarà quella fredda e amara medicina che va presa per difendersi dalla realtà così com’è, ma accompagnandosi a una pratica che non mi isoli dagli altri, apra il mio cuore a vivere il momento presente con amorevole gentilezza e con fiducia.










domenica 11 febbraio 2018

Non dipendenza della mente








Da Moon in a Dewdrop (Luna in una goccia di rugiada) titolo di una raccolta di versi e di saggi di Dōgen (1200-1253) curata da Kazuaki Tanahashi ho scelto la poesia intitolata Non dipendenza della mente:


Uccelli acquatici
che vanno e vengono
le loro tracce scompaiono
ma non dimenticano mai
il loro sentiero.

Come gli uccelli d’acqua – della poesia di Dōgen- possiamo imparare a non dipendere da tracce che prima o poi scompaiono.

La fiducia, l’attenzione e la consapevolezza momento dopo momento, la costanza, la pratica della compassione e del coraggio sono ciò di cui abbiamo bisogno per non dimenticare il sentiero. 





giovedì 29 giugno 2017

It has been real




Una volta un amico americano di San Francisco, Kevin, un ragazzo che si manteneva agli studi di linguistica e di lingue facendo il carpentiere e che tra le sue molte abilità e risorse poteva contare uno spiccato entusiasmo per le culture native, mi invitò a un viaggio sul suo pickup, un camioncino con il retro scoperto che gli serviva anche per il lavoro, lungo la California del Nord, l’Oregon e lo stato di Washington.
Di questo viaggio memorabile per la bellezza della costa e della natura, la varietà del paesaggio e il carattere aperto verso tutte le direzioni di luoghi oceanici come Seattle mi colpì e mi resta in particolare il suono di una frase. Ci stavamo accommiatando da sua madre che ci aveva offerto la cena e il letto e Kevin la salutò con questa per me fino ad allora sconosciuta espressione: “It has been real” - il nostro incontro è avvenuto davvero, è stato reale.
Mi sembra un bel saluto e un augurio che dovrebbe accompagnare i nostri passi nella vita.
Augurio di vivere in contatto con la vita che scorre, essere più reali, sentirsi presenti momento per momento per quanti più momenti possiamo.  
Talvolta sembra che abbiamo paura di “essere reali” e ci riduciamo a ripetere schemi di incontro e clichè di presenza che nella loro fugace e distratta ripetitività sono rassicuranti.
Eppure la mente separata dal reale è spesso una mente isolata e impaurita, che giudica, critica, soffre. Può anche collezionare pensieri, esperienze e novità ma resta chiusa in se stessa, e nel proprio collezionismo.

Aprirsi con attenzione a quello che è così com’è rappresenta un momento di significativa trasformazione. L’attenzione crea una spaziosità interiore che non coincide con il conoscere intellettuale o il sapere questo e quello ma origina dall’esserci, dall’avere “abitato” quel luogo, da un contatto reale.





sabato 21 gennaio 2017

Lettera dalla sfiducia e dalla rassegnazione






Sto scoprendo quanto il mio mondo sia segnato dalla sfiducia, seminata a piene mani dalle prime condizioni di vita e poi da circostanze personali, collettive, anche politiche e culturali.
Scopro quanto questa sfiducia è pervasiva e si insinua nei minimi interstizi dell’esistenza.
Credo davvero che l’attenzione al qui e ora sia l’unica alternativa alla negatività e al prendere per normale anche la stagnazione, ma talvolta affondo.
Ho lottato per sfuggire a questa condanna, forse però ho cessato di sperare nella possibilità di farcela.
A volte mi sono nascosto e ho cercato rifugio dietro le apparenze, la maschera dell’autorità, la posizione sociale.
Ora non è più il caso di tergiversare e lasciarsi cullare da illusioni e abitudini.
C’è l’iceberg di sfiducia e di negatività che minaccia la vita, se non sei nel momento presente, con attenzione e con fiducia, resti in balìa del grande mare oscuro di pensieri e di preoccupazioni.


Dunque, come seminare e coltivare la fiducia.
Innanzitutto in ogni occasione non perdere la pazienza, non considerare noioso o inutilmente ripetitivo il ricominciare, ma impegnarsi a riprendere il filo di ogni pratica salutare di presenza consapevole da cui allontanano la distrazione o la disattenzione.
Secondo, non ignorare o sottovalutare le cose spesso reputate secondarie o minori, come l’attenzione alle parole che usiamo, il tono di voce, la faccia che “facciamo”, i cambi di umore, le reattività automatiche...
Le cose piccole, i dettagli hanno un impatto forse sottile ma potente sull’inquinamento della mente e dell’organismo.  Tutto però-senza distinzione di alto e basso, di raffinato e grossolano, ecc.- ha la capacità di accrescere l’oscurità e la confusione ma anche di portare luce e di illuminare la realtà se viene accolto con attenzione non giudicante.
Terzo, non farsi intimidire o scoraggiare dalla difficoltà di andare controcorrente. E’ importante riconoscere le nostre antipatie, magari “a prima vista”, le idiosincrasie, le diffidenze, le paure, ma è solo il primo passo per non arrendersi al moto e all’autopotenziamento dei pregiudizi e dei giudizi sommari. Accettiamo di avvicinarci, e consentiamoci di esplorare anche esseri e cose per cui non proviamo uno spiccato entusiasmo. Questo non significa lasciarsi travolgere e calpestare. E non succederà se siamo svegli. L'accettazione crea fiducia e connessione ed è un rimedio buono alle paranoie, all’isolamento e al senso di separatezza.
Infine, praticare nelle difficoltà il respiro consapevole. Lascio andare il senso di rassegnazione e di depressione espirando consapevolmente. Per ogni respiro inspiro energia e presenza e espiro pesantezza, preoccupazioni e angoscia. Con ogni respiro pratico il rilassamento e il non attaccamento.







domenica 15 gennaio 2017

La fiducia e l'attenzione






L’attenzione a quanto diciamo di getto, senza pensarci, rivela quello che sentiamo. Si accende una luce sul nostro oscuro mondo interiore che quando parliamo distrattamente resta insondato e le tenebre acquistano forza e solidità.
Una di queste mattine ho incontrato una vicina di casa, una signora olandese, con la quale scambio volentieri un saluto e un sorriso. Vedendola diretta al cassonetto per la raccolta della carta l’ho salutata “Buon giorno”, e ho aggiunto: “Per la carta bisogna andare più avanti: il cassonetto qui vicino è finito rovesciato a terra...” Poi, sull’abbrivio, ho concluso: “E ci resterà qualche anno!”
Sono rimasto colpito dalle mie ultime parole.
C’era proprio bisogno di questa chiusa tombale?
E ho accolto la scoperta con un senso di sollievo e di liberazione: felice di capire in diretta e dal vivo che sono ancora portato al commento negativo e che il sarcasmo è pronto a prendere il sopravvento sulla fiducia e sul gioco.


ps. Dopo una settimana il pesante cassonetto per la raccolta della carta è stato rialzato e rimesso in funzione al suo posto.






sabato 24 dicembre 2016

Festeggia e abbi cura di te stesso!







Facciamo gli auguri ai nostri cari, agli amici, anche agli sconosciuti e agli stranieri, ma nessuno dimentichi di curarsi di sé.
Stamattina ho telefonato a Luigi, con cui condivido l'origine arbërësh, ci siamo scambiati auguri, affetto, benevolenza, e abbiamo concluso con il “ruhu”: cioè prenditi cura, abbi cura di te, in tutti i sensi, mentale, fisico, emozionale.
Luigi, ha chiosato: “E’ l’unico comandamento!”
Tutto il resto segue a ruota.
Dalla cura, dall’attenzione rivolta a te stesso dipendono la fiducia, il coraggio, l’energia, la gentilezza, la compassione.
Il non restare chiusi dentro situazioni tossiche, il non aggrapparsi a illusioni, il non deperire a causa di attaccamenti a opinioni, a parole, proprie o altrui, a pensieri.
Perciò dico ai lettori, e a tutti: “ruheni”. Abbiate cura di voi stessi: dalla cura di te dipende la cura degli altri, e anch'io prendendomi cura di me stesso mi prenderò cura anche di voi.
Auguri!







sabato 3 settembre 2016

Amicizia



In una lettera a Lucilio, Seneca si chiede come riconoscere il progresso spirituale e risponde con le parole del filosofo stoico Ecatone: “Ho cominciato a essere amico di me stesso.”

Questa amicizia inizia con “il vedere i difetti prima ignorati”: un vedere che “è indizio di un animo che ha fatto progressi”. Attenzione: ci si riferisce ai propri difetti non a quelli altrui -vedere i quali, magari anche quando non ci sono, è indizio del contrario: di un animo che non ha fatto progressi, e che, si potrebbe aggiungere, continuando così, non li farà mai.

Essere amico di me stesso comprende il non lasciarsi imprigionare dalle preoccupazioni in un cerchio chiuso al cui centro troneggiano l’io e il mio ma piuttosto vedersi come essere vivo, sensibile e attento. Comincio a essere amico di me stesso avendo cura di me. Evito quello che non è salutare, identifico e riconosco i miei stati mentali, le parole che dico, i comportamenti che metto in atto. Inoltre la pratica di questa amicizia mi ricorda di non trascurare per pigrizia o per sfiducia le azioni che mi portano in dono coraggio e forza.

Non per caso Seneca afferma che grande è il progresso di chi si fa amico di se stesso: “Non rimarrà più solo.”


Le citazioni sono tratte da Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio, Rizzoli

domenica 6 marzo 2016

Risvegliarsi...





Risvegliarsi alla realtà dell’attaccamento, ed esplorarne la profondità, caparbietà, vischiosità -così evidente nelle vicende familiari e in quelle professionali, dove l’aprirsi al cambiamento e lasciar andare dipende da te, e ti puoi sempre aspettare da te stesso una giravolta che ti riporta al punto di prima. Così che preferiresti talvolta essere obbligato, non avere scelta, e che sia qualcuno o qualcosa che ti metta di fronte al “non ce n’è più”, “è così”, “è finita”... 
Eppure il risvegliarsi è nel segno della positività, puoi vedere le cose come sono, puoi vivere e testimoniare i testacoda dei pensieri, gli alti e bassi, gli attacchi di ansia, l’avanti e indietro, scoprirti attaccato al consueto e nello stesso tempo desideroso di libertà, di fuoriuscita dall’abitudinario, curioso di saggiare più a fondo te stesso...

Risvegliarsi alla spinta del voler conoscere in anticipo il futuro e di programmarlo, del sentire l’incertezza come stress, del rifiuto di onde e di scossoni...
E, anche, lo scoprire pur tra la fatica e i dubbi che la via dell’esplorazione è una via di attenzione e di presenza alla vita -“io ci sono”, non sono uniformato e silenziato, posso provare a vedere e a conoscere direttamente...


Vivere il tempo del cambiamento non come deriva, nel segno della paura del peggio, ma come tempo di apertura, di esplorazione, di osservazione, di approfondimento e di maturazione grazie alla stabilità offerta dalla pratica dell’attenzione, della consapevolezza e della fiducia.




domenica 21 febbraio 2016

Attenzione e vita





Senza attenzione la vita non sarebbe davvero vissuta ma scorrerebbe via tra abitudini e conformismi. Attraverso l'esercizio paziente dell'attenzione che, nonostante la corrente avversa delle distrazioni, mi riporta al presente posso cercare di dare uno sguardo dall'interno alla mia vita. Quando perdo il filo dell'attenzione occorre che ritorni ad essa. Tutto quello che mi viene incontro in ogni momento di attenzione è in quel momento la mia vita. Non posso arrivare ad apprezzarla se non offro la mia attenzione.
Se mi distraggo ho delle possibilità di ritornare al momento presente: la gratitudine per un giorno di sole o per una camminata, la parola data o ricevuta da un amico, la generosità nei confronti di chi mi chiede ascolto, la pazienza per una incombenza faticosa, il raccoglimento nel silenzio, la meditazione nella quale prescindo da ogni risultato utile e testimonio con il mio essere presente il momento presente...
Talvolta però dimentico che attenzione non è riservata a quel che mi piace, ai momenti gradevoli: ancora più importante per creare coraggio ed equanimità è l’attenzione quando illumina il momento che stride, che infastidisce, che non piace. E che non va cacciato via perchè la vera attenzione è a quello che c'è così com'è. Il resto è compiacenza.

E' un passo importante inciampare nella pietra del non mi piace, mantenere l'attenzione aperta a quello che non mi piace e sentirne il sapore, sentire com’è.

E’ importante perché  comporta l'esperienza diretta del fatto che le sensazioni nascono e muoiono e di essere noi stessi vulnerabili e di passaggio. Una esperienza che può aprire la porta non all’indifferenza e alla negatività bensì alla fiducia, alla compassione e a una iniziale consapevolezza di essere connessi con l’intero universo.




domenica 10 gennaio 2016

Si può meditare sull'amore?




Un’amica mi rivolge la domanda: “Si può meditare sull’amore”.

Quando mi avvicino al momento presente con dedizione e con calma non esprimo forse una intenzione, un pensiero, un atto d'amore?
E a cos’altro posso assomigliare il restare qui e ora, in uno stato di tranquillità, di apertura, di attenzione ricettiva, che non divaga da un oggetto all’altro?
E quando, sentendomi distratto, faccio ritorno al momento presente e alla consapevolezza, non gioisco forse di gratitudine e di fiducia?


Forse l’essere umano che vive nell'attenzione e si prende cura della propria condizione mentale, non sente il bisogno di meditare sull’amore tematizzandolo come un oggetto esterno, perché ne è infuso...  






venerdì 9 ottobre 2015

La tua nuova casa










“Il territorio sconosciuto che può diventare la tua nuova casa ha una vita sua propria, ma anche, in un senso antico, alla maniera di Meister Eckart, riceve la vita dal modo in cui lo ascolti, gli dimostri attenzione.”


da “What to Remember When Waking: Disciplines That Transform an Every Day Life” di David Whyte, poeta (vedi anche, in questo blog, Lettera dall'oscurità del 6/04/2014 )













venerdì 25 settembre 2015

Se l'ami abbastanza




Miti di tutto il mondo dicono di uomini e donne in cerca dell’elisir che protegga dalla sofferenza. La risposta del buddhismo è la consapevolezza. Come funziona la consapevolezza? Lasciatemi illustrare con una storia che divenne la base per il film del 1988 “Gorilla nella nebbia”. Il film racconta di Dian Fossey, una coraggiosa biologa ricercatrice sul campo che riuscì a farsi amica una tribù di gorilla. Fossey era andata in Africa sulle orme del suo mentore George Shaller, un famoso biologo dei primati che era ritornato dalla foresta con informazioni sulla vita dei gorilla più profonde e cogenti di qualsiasi altro scienziato prima di lui. Quando i suoi colleghi gli domandarono come era riuscito ad apprendere dettagli così rimarchevoli circa la struttura tribale, la vita familiare e le abitudini dei gorilla, egli l’attribuì a una semplice cosa: non portava con sé un fucile.
Precedenti generazioni di biologi erano entrati nel territorio di questi grandi animali presupponendo che fossero pericolosi. Così gli scienziati venivano con uno spirito aggressivo, con grandi fucili in mano. I gorilla potevano sentire il pericolo intorno a questi uomini con i fucili spianati e se ne tenevano a lunga distanza. Al contrario, Shaller -e più tardi la sua studentessa Dian Fossey- entrarono nel loro territorio senza armi. Dovevano muoversi lentamente, con gentilezza, e soprattutto con rispetto nei confronti di queste creature. E, col tempo, sentendo la benevolenza di questi umani, i gorilla gli permisero di venire proprio in mezzo a loro e imparare i loro modi. Sedendo immobile, ora dopo ora, con sollecita, paziente attenzione, Fossey finalmente capì quello che vedeva. Come spiegò il saggio afro-americano George Washington Carver: “Qualunque cosa rilascerà i suoi segreti se l’ami abbastanza.”

Jack Kornfield







venerdì 4 settembre 2015

All'aperto







Una poesia di Tomas Tranströmer (Stoccolma, 15 aprile 1931- 20 marzo 2015) ricorda l’atmosfera della pratica meditativa. Il silenzio, il bosco delle sensazioni, il risvegliarsi dell’attenzione, la disponibilità o indisponibilità a riconoscere la realtà della nostra esperienza, la scoperta di appena accennati rumori, gli indizi di una realtà misteriosa e più vasta del piccolo io rispetto alla quale possiamo chiuderci nelle strette della paura e nell’ansia oppure aprirci all’ascolto, considerando ogni momento nuovo e inedito.

 

All’aperto

Entra! In questa stagione il bosco

è silenziosi locali abbandonati.

Solo rumore di battiti come se qualcuno

spostasse piano i rami con una pinzetta.

O un cardine che cigola

in un grosso tronco.

dalla raccolta Poesia dal silenzio, Crocetti editore, trad. di Maria Cristina Lombardi









mercoledì 26 agosto 2015

Lettera a un ragazzo sulla non-violenza






Carissimo,

sarei contento se tu leggessi questa lettera nata dallo scambio di idee, di opinioni e di emozioni che abbiamo avuto.

Alcuni di noi sono per la non violenza, ne parlano e la sbandierano ma spesso continuiamo a ignorare quanta attenzione, onestà, integrità e costanza richieda il praticarla.

E forza, molta più forza che il lamentarsi o piangersi addosso o lasciarsi prendere dal risentimento e dall’energia della rabbia.

E qualcosa, una dedizione, un impegno, più profondo e personale di uno slogan accattivante.

La violenza nelle relazioni interpersonali può presentarsi come una spirale in cui siamo risucchiati prima di rendercene conto se non conosciamo quelle tendenze, inclinazioni, debolezze che possono facilmente renderci ciechi e sordi ai pensieri, alle parole, e alle azioni, nostre e altrui.

Può essere utile visualizzare la situazione come quella di un uomo che si trovi dentro un fosso irto di chiodi appuntiti, vetri aguzzi e lame taglienti e che abbia appena lo spazio per venirne fuori ma solo se si muove con consapevolezza sveglia perché ogni distrazione e inavvertenza può ferirlo gravemente.

Come parla, come muove le mani, come si lascia prendere da una certa idea, tutto può essergli fatale e spingerlo più a fondo.

Quello che considera un dato obiettivo può essere a causa del suo tono di voce recepito come un’offesa. La metafora cui fa ricorso per illustrare la sua ragione può prendergli la mano e trasformarsi in una polemica senza quartiere contro l’avversario. Il ricordo dei comportamenti passati di questi divenire un’ossessione che gli toglie la calma. Fino al momento in cui la rabbia si impossessa di tutto il suo essere e in preda ad essa scoppia in urla e in atti di violenza contro oggetti ed esseri viventi, umani e non.

Anche uomini essenzialmente innocui possono trasformarsi in violenti se non curano la pace del cuore e della mente.

Due persone pronte a una conversazione, che si conoscano e conoscendosi sappiano di correre qualche pericolo di cadere nella trappola della violenza, mentale, verbale e fisica, dovrebbero impegnarsi, direi far voto preventivo, di rinunciare ad ogni costo a provocazioni, ingiurie, argomenti tendenziosi o equivocabili e naturalmente a manifestazioni di vera e propria violenza fisica. 

Se si rendono conto che non gli è possibile per qualche motivo nonostante le buone intenzioni dovrebbero aggiornare la loro conversazione a un altro momento, quando saranno più calmi.

Ciao, sono certo che riflessione e consapevolezza facilitano il cammino di ciascuno di noi verso l'essere che desideriamo più felice, saggio e senza paura di liberarsi dalle catene e dalle remore del passato e delle abitudini.

Un abbraccio
 
 
 
 
 

mercoledì 15 luglio 2015

Il falco, la quaglia e il territorio ancestrale







Una di queste mattine, dopo un primo passo in internet tra le suggestioni, i divertimenti, le varie offerte dal mondo dei sensi e gli spot dell’infinito intrattenimento, mi sono fermato, e ho scelto di occuparmi di quelle cose che comportano impegno e presenza mentale, le cose che rappresentano la mia occupazione, la mia realtà e gli “affari miei”: riprendere il filo di un discorso, organizzare un lavoro, entrare senza frapporre indugi nella mia pratica.

Questo ha riportato alla memoria l’insegnamento del Buddha nel Sutta del falco: finchè la quaglia vaga fuori dal proprio «territorio ancestrale» non può non essere preda del falco; fin quando resta nel proprio territorio, identificato in un “campo arato di recente”, potrà rifugiarsi dietro la zolla contro la quale si infrange l’attacco dello sparviero, pur con tutta la sua forza, velocità e sicurezza di sé.

Fuori dal «territorio ancestrale», ci attendono, sempre accessibili, le consuete novità mondane, dall’apparenza vaga, seduttrice, incantevole, e la canzone che cantano è la stessa: divertiti, divertiti, dormi, dormi...

Il «territorio ancestrale» lo vedo proprio come il mio laboratorio, in cui presto attenzione e fiduciosa sollecitudine, adopero l’ingegno e i mezzi abili adatti all’attività specifica, lasciando andare le divagazioni e quel che non mi riguarda.

venerdì 15 maggio 2015

E' così facile



 
E’ così facile venire risucchiati dentro stati mentali negativi e intossicanti -la preoccupazione cronica, la paura, il risentimento...- e avvitarsi nella logorante catena di conflitti e insoddisfazione che li accompagnano, che non si cesserebbe mai di lodare i giorni, le ore e i minuti messi da parte e dedicati al silenzio e alla coltivazione mentale che ci portano attenzione, tranquillità, fiducia, coraggio, buone energie, conoscenza.
 
 
 
 
 

lunedì 6 aprile 2015

La grazia della consapevolezza.Una lettera




Carissima,

questa mattina mi sono svegliato graziato dalla consapevolezza di quello che facevo, preparare il caffè, riscaldare il latte, mettere lo yogurth in tavola, sorridere a chi incontravo nel corso di queste occupazioni, attento ai movimenti della mente, i pensieri passeggeri, i pensieri che si ripresentano, fino al momento in cui, avendo salutato chi stava per uscire, mi sedevo sul cuscino per la meditazione seduta.

Grazie a questo mi sono trovato nello stato d'animo più propizio per scriverti poche righe che ti possano accompagnare nella tua giornata.

E che iniziano con la condivisione di una semplice  riflessione. Come esseri umani siamo esposti a tante traversìe e a tante gioie, è mia persuasione che tutto quello che ci può capitare può essere vissuto in maniera più leggera e tranquilla se ne siamo consapevoli. Se riusciamo a mantener viva la luce della consapevolezza, e la fiducia in essa, attraverso il tumulto e i mutamenti, se ci ricongiungiamo con la sensazione di esserci, così come siamo, questa consapevolezza ci assiste e ci protegge.

Certo, occorre seguirla e averne cura, talvolta arriva come una grazia, una ispirazione che porta calma e presenza in quello che facciamo, e sempre si giova della pratica.

C'è una radice comune tra il primo moto dell'attenzione, da cui nasce la consapevolezza, e l'amore inteso come benevolenza, disposizione al bene, essere e muoversi nel mondo con tranquillità, con ispirazione, qui e ora, momento dopo momento.

Trova, troviamo, questa radice, affidiamoci con fiducia alla consapevolezza. E diamole lo spazio e l'apertura che merita.
 
 
 
 
 

sabato 10 gennaio 2015

L’energia della consapevolezza per l’Anno Nuovo








Il merlo sulla neve a Montali (foto di Rika)




“Quando i blocchi di dolore, di dispiacere, rabbia e disperazione si fanno più forti e più grossi, premono per salire nella coscienza mentale, nel soggiorno a reclamare la nostra attenzione. Essi desiderano emergere, ma noi non li vogliamo, perchè ci fanno stare male solo a vederli.
Non avendo nessuna voglia di affrontarli, usiamo riempire il soggiorno con altri ospiti: prendiamo in mano un libro, accendiamo la tv, andiamo a fare un giro in macchina… qualunque cosa pur di tenere occupato il soggiorno.
Abbracciare il tuo dolore e il tuo dispiacere con l’energia della presenza mentale è esattamente come massaggiare la coscienza invece che il corpo.
Quando togli l’imbargo e i blocchi di dolore affiorano ti tocca soffrire, almeno un po’, non c’è modo di evitarlo. Occorre imparare ad abbracciare questo dolore. Dopo che avrai abbracciato per qualche tempo i tuoi dolori, essi torneranno in cantina e si ritrasformeranno in semi.
Se invitiamo il seme della paura ad uscire allo scoperto, siamo anche meglio equipaggiati per prenderci cura della rabbia.
E’ la paura a generare la rabbia: quando hai paura non sei in pace e questo tuo stato diventa il terreno dove la rabbia può crescere.
La paura si fonda sull’ignoranza, mancanza di chiara comprensione.
Immergi quotidianamente la tua rabbia, la tua disperazione, la tua paura in un bagno di presenza mentale: la pratica di invitare i semi ogni giorno per abbracciarli è molto salutare.
Dopo svariati giorni o settimane di questa pratica, avrai generato una buona circolazione nella tua psiche. La presenza mentale lavora come un massaggio delle formazioni interne, dei tuoi blocchi di sofferenza. Questi devono poter circolare liberamente, dentro di te, possono farlo soltanto se non ne hai paura. Se impari a non avere paura dei tuoi nodi di sofferenza, puoi imparare anche ad abbracciarli con l’energia della consapevolezza e a trasformarli.”
Thich Nhat Hanh

Inviato da Francesca con auguri di consapevolezza per l’Anno Nuovo.

[Thich Nhat Hanh, che ha sofferto un aneurisma al cervello nell’autunno dell’anno passato, nelle ultime tre settimane è gradualmente riemerso a una condizione di vigile veglia. Per gran parte del giorno il maestro Zen vietnamita tiene gli occhi aperti, al punto che i dottori lo hanno dichiarato fuori dal coma. Nella sua attuale condizione Thay, come Thich Nhat Hanh è affettuosamente chiamato, è in grado di riconoscere i volti familiari, è reattivo agli stimoli verbali e ha rallegrato tutti ricominciando a sorridere. Tuttavia non è in grado di parlare, il che indica un qualche grado di afasia, che è monitorata e che potrebbe evolvere favorevolmente grazie alla terapia. Di particolare importanza è l’accenno, nel comunicato emesso dalla comunità di Plum Village, al grande sforzo che Thay mette nelle sessioni di fisioterapia. Si registrano progressi giorno dopo giorno, gli assistenti vedendo come il maestro Zen svolge gli esercizi durante il giorno, hanno molto da imparare dalla sua determinazione.
Thay, be well, be happy and free from suffering!]

venerdì 26 settembre 2014

Non me la sento






Se ci lasciamo persuadere dal ‘non me la sento’, ‘non ce la faccio’, ‘non è possibile’, che le Sirene ci suggeriscono cantando da dietro gli scogli in direzione del nostro cuore, finiamo per ritirarci nella rinuncia, la rassegnazione, l’incapacità.

Magari siamo persino accolti e consolati dalla comprensione di chi ci sta vicino..

Inizialmente non vediamo che si tratta di una inarrestabile discesa e che non c’è arrivo in vista.

Prendiamo rifugio nell’ignoranza e non usciamo più da questa tana perchè ci sono sempre più cose e situazioni che ci fanno paura e di fronte alle quali alziamo le mani, mentre i risparmi si assottigliano e non troviamo più le rendite su cui inconsciamente facevamo affidamento.

 

Dice Lama Gendün Rinpoche: “L’emozione corrispondente all’ignoranza è la paura, che include l’inclinazione a distogliere l’attenzione da ciò che è fastidioso e il desiderio di restare in stati di consapevolezza diminuita.”