In
una lettera a Lucilio, Seneca si chiede come riconoscere il
progresso spirituale e risponde con le parole del filosofo stoico Ecatone: “Ho cominciato a essere amico di me stesso.”
Questa
amicizia inizia con “il vedere i difetti prima ignorati”: un vedere che “è
indizio di un animo che ha fatto progressi”. Attenzione: ci si riferisce ai
propri difetti non a quelli altrui -vedere i quali, magari anche quando non ci
sono, è indizio del contrario: di un animo che non ha fatto progressi, e che,
si potrebbe aggiungere, continuando così, non li farà mai.
Essere
amico di me stesso comprende il non lasciarsi imprigionare dalle preoccupazioni
in un cerchio chiuso al cui centro troneggiano l’io e il mio ma piuttosto
vedersi come essere vivo, sensibile e attento. Comincio a essere amico di me
stesso avendo cura di me. Evito quello che non è salutare, identifico e
riconosco i miei stati mentali, le parole che dico, i comportamenti che metto
in atto. Inoltre la pratica di questa amicizia mi ricorda di non trascurare per
pigrizia o per sfiducia le azioni che mi portano in dono coraggio e forza.
Non
per caso Seneca afferma che grande è il progresso di chi si fa amico di se
stesso: “Non rimarrà più solo.”
Le citazioni sono tratte da Lucio Anneo Seneca,
Lettere a Lucilio, Rizzoli
“Un malinteso frequente- scrive Corrado Pensa in Amore equanime, pubblicato su Sati n.2, 2016- è quello di identificare il bene esclusivamente con tutto ciò che è solidarietà e servizio attivo. Il che è un aspetto importante del bene, ma certamente non l’unico. Infatti se vogliamo che l’amore del bene sia autentico, dobbiamo pervenire a quella pietra miliare che è l’amore per se stessi, fondamento ineludibile per curare noi stessi dall’attaccamento e dall’avversione.”
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