Una
persona cui sono vicino e che non è ufficialmente su un cammino interiore mi ha donato, senza
l’intenzione di farlo, e senza presunzione, una bell’esempio di amorevole
benevolenza.
Questa
persona mi diceva che stava per andare a un appuntamento con una sua amica che
anch’io ho incontrato qualche volta.
-Come fai a sopportarla?
E’
una persona che vedo ogni tanto. Ha la famiglia, i colleghi, sì, eppure è molto
sola. E ancora più sola la rende il fatto di non riuscire a lasciar andare
l’osservazione che le pare critica nei propri confronti, l’espressione che le suona
poco gentile o irrispettosa. Non può dimenticarla ed è costretta a ritornarci
sopra, a rimuginare e si isola con i suoi pensieri negativi.
-Capisco. Eppure non riesco a tollerare il
fatto che parli a valanga senza lasciarti un minimo spazio...
E’
vero. Al massimo ti fa dire due parole e subito riprende a esternare a ruota
libera. Ma io non mi aspetto di essere ascoltata o di svolgere una interessante
conversazione. So che ogni tanto chiederà: “E tu che mi dici?”, e che quando avrò
pronunciato due parole mi interromperà subito con qualche frase del tipo, “Sai
quella lì... Ti ricordi, sì?”, e prima ancora che io risponda sarà già partita
di nuovo...
-E allora dov’è la comunicazione?
Infatti
non la incontro per quello, lo faccio per benevolenza. Quando non
ne posso più mi consento di distrarmi e respiro. La cosa più importante è che
lei si senta voluta bene, che non si senta esclusa e rifiutata...
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