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sabato 23 gennaio 2016

Qualche suggerimento pratico per essere più felici




1° Lavorare a una correzione della nostra vista. Ciò significa in primo luogo domandarci se per caso non sia unilaterale soffermarci tanto sul negativo che vediamo in noi stessi, negli altri e nelle situazioni. Oggi in Occidente questa è una tendenza piuttosto diffusa e condivisa. (...) Continuando a evocare la consapevolezza il più spesso possibile...cominceremo a essere meno incantati da questa attrazione per il negativo, che poi a volte è una vera e propria costruzione del negativo. (...)
2° Fin a quando non lavoreremo seriamente alla nostra felicità non comprenderemo l’importanza della felicità, per noi stessi e per chi si trova intorno a noi. Attenzione: essere più felici rende possibile dare felicità. (...) Il che potenzia ulteriormente la felicità. E’ difficile, se non si intraprende questa via, toccare con mano come il diventare più felici sia l’esito di un processo di maturazione e di crescita.
3° Addestrarsi ad apprezzare il positivo, anche se piccolo.
4° Imparare ad accettare gli eventi della vita, positivi e negativi, ricordandosi che accettazione non è passività. Per esempio accettare che Tizio è aggressivo nei nostri confronti è, anzitutto, un passo verso la chiarezza: non cerchiamo di ignorare o rimuovere la cosa. Sarà più facile, poi, esercitare la fermezza e il dissenso, lasciando cadere l’impulso a essere reattivi. Infatti la nostra reattività accrescerebbe soltanto l’elemento aggressivo nell’altro. E’ utile inoltre, tenere a mente che aggressività e rabbia nascono dalla sofferenza e producono sofferenza.
5° Imparare a cogliere l’ingenuità di certe prese di posizione. Per esempio ‘non mi interessa la felicità’; piuttosto ‘mi interessa la saggezza’ oppure: ‘mi interessa lo studio’; oppure ‘mi interessa lavorare’. (...) Tuttavia è molto probabile che Tizio, Caio e Sempronio diano un significato superficiale alla parola felicità, superficialità certamente inadatta a definire la soddisfazione che viene dalla saggezza, dallo studio o dal lavoro.
6° Vedere quanto siamo esperti e abili nel coltivare l’infelicità. Abbiamo già considerato l’incantesimo che il negativo esercita su di noi. A tale proposito conviene anche allenarsi a vedere come il rimpianto del passato -che non tornerà- sia un altro modo di coltivare l’infelicità, e così anche riguardo al timore del futuro, futuro che spesso si rivela diverso da quello che ci aspettiamo. (...)
7° In generale si può dire questo: coltivare il Bene va verso la felicità e ci andrà tanto più, quanto più impariamo a coniugare serietà e tocco leggero.

di Corrado Pensa, SATI, Anno XXIV n.3, settembre/dicembre 2015



venerdì 11 settembre 2015

Consapevolezza e Pace Interiore





Il non restare attaccati al fastidio e all’irritazione è un chiaro sintomo di pace interiore (vedi su questo blog il post del 14/09/2013).    


Ad esempio sediamo in meditazione e non avendo spento il cellulare  -magari perché riteniamo che nessuno debba osare disturbarci, in quanto non è stato autorizzato- siamo costretti a interrompere la seduta e rispondere. Ammettiamo che il punto di partenza dello spiacevole evento è un torreggiante e minaccioso senso dell’io che crede nella propria importanza e considera sacra la propria agenda. Dal call center ci assaltano con una speciale offerta e noi, a difesa della nostra pace interiore, abbiamo uno scatto di aggressività, magari si tratta della stessa offerta che da un altro call center ci hanno proposto soltanto ieri sera. Diverso sarebbe se la telefonata fosse di congratulazioni e di rallegramenti per i post che appaiono su questo blog...


Ritornando a sedere ci rendiamo conto -ed è un segnale positivo, di consapevolezza- che il fastidio si è trasformato in resistenza a stare nel momento e nell’esperienza del momento e ci ritroviamo a rimuginare su quanto è accaduto, così  da ritrovarci ben presto impigliati nei più assurdi pensieri, naturalmente negativi, di tipo sociale, politico, culturale, e personale, che mettono in moto associazioni di altri pensieri, ricordi e sensazioni, tendenzialmente ossessivi e paranoici.
Tutto questo è attaccamento e frutto dell’attaccamento.


Quando invece lasciamo andare il fastidio e non ci impantaniamo nel conflitto la porta è aperta per ritornare senza strattoni e con gentilezza alla originaria intenzione di pratica e capire che non è poi così impossibile seguire la corrente e gioire momento per momento del cammino.