1° Lavorare a una correzione della nostra
vista. Ciò significa in primo luogo domandarci se per caso non sia unilaterale
soffermarci tanto sul negativo che vediamo in noi stessi, negli altri e nelle
situazioni. Oggi in Occidente questa è una tendenza piuttosto diffusa e
condivisa. (...) Continuando a evocare la consapevolezza il più spesso
possibile...cominceremo a essere meno incantati da questa attrazione per il
negativo, che poi a volte è una vera e propria costruzione del negativo. (...)
2° Fin a quando non lavoreremo seriamente alla
nostra felicità non comprenderemo l’importanza della felicità, per noi stessi e
per chi si trova intorno a noi. Attenzione: essere più felici rende possibile dare felicità. (...) Il che potenzia
ulteriormente la felicità. E’ difficile, se non si intraprende questa via,
toccare con mano come il diventare più felici sia l’esito di un processo di
maturazione e di crescita.
3° Addestrarsi ad apprezzare il positivo, anche
se piccolo.
4° Imparare ad accettare gli eventi della vita,
positivi e negativi, ricordandosi che accettazione non è passività. Per esempio
accettare che Tizio è aggressivo nei nostri confronti è, anzitutto, un passo
verso la chiarezza: non cerchiamo di ignorare o rimuovere la cosa. Sarà più
facile, poi, esercitare la fermezza e il dissenso, lasciando cadere l’impulso a
essere reattivi. Infatti la nostra reattività accrescerebbe soltanto l’elemento
aggressivo nell’altro. E’ utile inoltre, tenere a mente che aggressività e
rabbia nascono dalla sofferenza e producono sofferenza.
5° Imparare a cogliere l’ingenuità di certe
prese di posizione. Per esempio ‘non mi interessa la felicità’; piuttosto ‘mi
interessa la saggezza’ oppure: ‘mi interessa lo studio’; oppure ‘mi interessa
lavorare’. (...) Tuttavia è molto probabile che Tizio, Caio e Sempronio diano
un significato superficiale alla parola felicità, superficialità certamente
inadatta a definire la soddisfazione che viene dalla saggezza, dallo studio o
dal lavoro.
6° Vedere quanto siamo esperti e abili nel
coltivare l’infelicità. Abbiamo già considerato l’incantesimo che il negativo
esercita su di noi. A tale proposito conviene anche allenarsi a vedere come il
rimpianto del passato -che non tornerà- sia un altro modo di coltivare
l’infelicità, e così anche riguardo al timore del futuro, futuro che spesso si
rivela diverso da quello che ci aspettiamo. (...)
7° In generale si può dire questo: coltivare il
Bene va verso la felicità e ci andrà tanto più, quanto più impariamo a
coniugare serietà e tocco leggero.
di Corrado Pensa, SATI, Anno XXIV n.3,
settembre/dicembre 2015
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