martedì 30 aprile 2013

La ricerca della primavera




Sebbene abbia cercato tutto il giorno
non ho potuto trovare la primavera.
Portando con me il bastone
ho oltrepassato una montagna dopo l’altra.
Tornando a casa mi è capitato di prendere
in mano un rametto di susino
in fiore.
Ecco lì ho visto la primavera, sbocciata
sulla sua punta.


“Io credo –dice Shundo Aoyama- che la poesia sia stata scritta dal poeta cinese Tai-i della dinastia Sung (960-1279).
Una poesia giapponese rispecchia lo stesso sentimento:

Attraversando fiumi e montagne
In un paese in cui la solitudine non ha mai fine,
Sto ancora viaggiando.

E' del poeta Bokusui Wakayama (1885-1928) e ci parla di un attraversare, viaggiare in solitudine, senza fine, ci comunica un senso di spossatezza. Sentiamo che il cercare si è fatto angoscioso, sbagliato, inconcludente.

“In Europa -continua Shundo Aoyama- il poeta tedesco Carl Busse (1872-1918) tratta un tema simile in una delle sue poesie, come anche Maurice Maeterlink (1862-1949) nel suo L’Oiseau bleu. Sia in Oriente sia in Occidente tutti gli uomini sono andati in cerca della felicità; non hanno mai smesso di cercarla.
Tanti di loro hanno pensato di trovarla nel danaro e hanno speso le loro vite inseguendo la ricchezza. Altri hanno pensato di trovare la felicità nella fama o nella buona salute o nel tirar su figli. Ma per molti di loro la vita è finita come un sogno senza compimento; soltanto pochissimi sono diventati consapevoli che la vera felicità non si raggiunge dando soddisfazione ai nostri desideri mondani.
I desideri umani crescono senza limite. E’ impossibile tentare di soddisfarli tutti. (...) Se la felicità non può essere raggiunta a meno che i desideri umani siano completamente soddisfatti, allora non c’è posto in cui possa trovarsi la felicità. La vera felicità non è mai così imperfetta e mai dipende da condizioni. Anche se sei malato terminale o soffri una situazione di estrema povertà, se accetti le cose proprio così come sono –come felicità-fiducioso che qualunque cosa accada è bene, e rendi questa attitudine una parte di te stesso, credo che avrai trovato la vera felicità.”

La "vera felicità" può essere trovata a casa, presso te stesso, accettando quanto succede qui e ora, e rendendo questa attitudine una parte di te stesso.
 







domenica 28 aprile 2013

Creative Happiness


“Why do some seem to keep in touch with the profound in spite of circumstances and accidents, while others are destroyed by them? Why are some resilient, pliable, while others remain unyielding and are destroyed? In spite of knowledge, some keep the door open to that which no person and no book can offer, while others are smothered by technique and authority. Why?
It is fairly clear that the mind wants to be caught and made certain in some kind of activity disregarding wider and deeper issues, for it is then on safer ground, so its education, its exercises, its activities are encouraged and sustained on that level, and excuses are found for not going beyond it.
Before they are contaminated by so-called education, many children are in touch with the unknown, they show this in so many ways. But environment soon begins to close around them, and after a certain age they lose that light, that beauty which is not found in any book or school. Why? Do not say that life is too much for them, that they have to face hard realities, that it is their karma, that it is their father's sin; this is all nonsense. Creative happiness is for all and not for the few alone. You may express it in one way and I in another, but it is for all. Creative happiness has no value on the market; it is not a commodity to be sold to the highest bidder, but it is the one thing that can be for all.”

Krishnamurti, Commentaries on Living, II, Quest Books

martedì 23 aprile 2013

Stalker





Stalker, il Professore, lo Scrittore

Verso la Zona



Nel cuore della 'gabbia d'acciaio' dell'epoca moderna esiste una stanza recondita e difficile da raggiungere dove vive la Verità.
Stalker guida due volontari soprannominati il Professore e lo Scrittore alla Zona, l'area recintata e proibita che ospita la Stanza dei Desideri: quella stanza dove "il desiderio più segreto, quello più sincero, quello più sofferto" potrà, non senza pericolo, realizzarsi.
Stalker ne è consapevole: il suo maestro, il Porcospino (noto come "il Maestro"), dopo essere stato nella Stanza, infrangendo il divieto di penetrarvi che vige per gli stalker, è diventato immensamente ricco e poi si è impiccato. Era entrato nella Stanza per chiedere il ritorno in vita di suo fratello, morto nell'attraversamento del tunnel detto Tritacarne, il passaggio più terribile dell'intera Zona, e invece..

Stalker, reietto della società, vive per portare nella Zona quanti più uomini possibile. E' un essere dedicato, generoso, disponibile, non cerca successo potere o denaro, non afferma di sapere, non si nasconde dietro il ruolo per averne lustro e rango, umile semplice diretto quando si tratta di indicare la strada e come procedere, quando incoraggia quando ammonisce quando riconosce la bravura e offre conforto, quando manifesta senza occultarli i propri sentimenti: la felicità, la pace che prova a contatto con la Zona, la paura di fronte al numinoso al mistero e al tremendo che la abita, lo sgomento alla prospettiva che la Stanza dei Desideri possa essere distrutta, la stanchezza insostenibile e la disperazione perchè teme che non ci siano più uomini che vogliano entrare nella Stanza.

Dice Tarkovskij: "..Stalker vive momenti di disperazione, la sua fede barcolla, ma ogni volta egli avverte nuovamente in sè la propria vocazione a servire gli uomini che hanno smarrito le proprie speranze e le proprie illusioni".
Quando è chiaro che il Professore e lo Scrittore non entreranno nella stanza che è lì davanti a loro, perchè hanno paura dei propri desideri, Stalker dice: “Che pace, sentite? Sarebbe meglio piantare tutto, prendere mia moglie, Martiska e venire qua per sempre, qui non c’è nessuno, nessuno farà loro del male…” 
Tuttavia egli vive non per stare nella Zona ma per portarci gli uomini. 

Stalker è un film del 1979 di Andrej Tarkovskij.



sabato 20 aprile 2013

Lettera allo specchio


 


Mi scorrono davanti le facce di persone di cui talvolta mi colpiva la volubilità stizzosa, l’insofferenza scoppiettante, le impennate di euforia o le “incomprensibili” cadute nella ritrosia e nel rifiuto.

Quello lì, questa qui, quell’altro..

Li ho sempre visti come individui isolati, con cui non ho niente a che fare, da tenere lontani e separati grazie a un netto giudizio. Eppure hanno continuato a venire. Il deluso, l'eternamente illuso, il manipolatore, il risentito.. E ora vedo che in fondo alla sfilata, ci sono io!
 
Come ho potuto non rendermi conto che reggevano tra le mani uno specchio e in quello specchio posto davanti ai miei occhi c’era la mia mente, il mio corpo, io stesso?
 
 
 
 
 
 

giovedì 18 aprile 2013

La tortora e il siliquastro





Lungo la via di San Gregorio al Celio, dietro la grande cancellata che s’apre al Palatino, nei giorni di primavera piange lacrime di sangue un albero antico che non ti aspetteresti di vedere lì dov'è e per questo puoi finire per non vederlo. 
Egli è noto ai botanici come il Siliquastro e tra il popolo di Roma l'ho sentito chiamare Re degli alberi di Giuda.
E benché pianga, fiorendo, la sua vista che ravviva le pendici del colle, mette allegria, non tristezza, e meraviglia chi viene ad ammirarlo da paesi lontani.
 
§
La tortora e il siliquastro 
 
L’albero magico che rallegra il Palatino
fiorisce nelle rughe e sul tronco a primavera
le bocche di leone ruggiscono
tra le crepe del muro e il ciuffo di ciclamini viola
si offre al sole. La porta dove bussavi
è stata sempre aperta e la tortora
rimanda il richiamo: ho imparato
ho imparato, anch’io che mi ripeto
qualcosa ho imparato
 
da Tieni aperto, di Michele Colafato, Il Labirinto 2012
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

lunedì 15 aprile 2013

Mi piace, non mi piace






 

E’ inutile dire quanto la consapevolezza, l’attenzione non giudicante, applicata alle sensazioni, sia trasformante. Riflettiamo un momento. Nella nostra giornata, in un’ora, o in cinque minuti della nostra esistenza, quanti «mi piace» e «non mi piace» sbocciano? Tanti. A volte sono grossi, forti e sonori; altre volte, piccoli; altre volte ancora, piccolissimi; ma è un continuo. La nostra sensibilità, variamente condizionata, passa in continuazione da «mi piace, mi piace, mi piace» a «non mi piace, non mi piace, non mi piace». Questa forma di sensibilità ha una sua utilità pratica, ma che cosa succede se sviluppiamo una certa misura di consapevolezza di questo nostro essere soggetti alle reazioni piacevole-spiacevole, mi piace-non mi piace? Inizia chiaramente a introdursi un elemento di libertà che, se invece siamo all’oscuro, se non siamo nella luce della consapevolezza, non può esserci. Ma se vediamo più da vicino quanto siamo governati da questa sequenza infinita di mi piace-non mi piace, acquisiamo un elemento di estremo valore per la nostra purificazione mentale, e dunque per la nostra trasformazione.”

da Attenzione saggia, attenzione non saggia, di Corrado Pensa, Magnanelli
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

sabato 13 aprile 2013

La lettera della tazza di tè


 

 

Tornando a casa ho lasciato che le parole del medico –“ansia”, “stress”, “nervosismo”- si depositassero. Dovrei saperlo da me, l’intestino, lo stomaco, reagiscono direttamente alla sofferenza mentale, la raccolgono, eppure..

Mi ha preso di sorpresa, e lì per lì mi sono difeso, ho risposto "non saprei", e adesso sono sorpreso della mia sorpresa -basta solo voler vedere, per sapere.

Invecchiare, sentirsi non abile a fare qualcosa, non potere fare qualcosa che prima si dava per scontato, non potere dare per scontato questo o quello, ammalarsi più spesso, malattie di stagione e non, l’inverno, temere il freddo, la pioggia, e subito dopo il caldo torrido, avviarsi al tramonto senza sole, un viale tutt’altro che trionfale, sentirsi debole, vulnerabile, la memoria che dimentica, fili di paranoia che ti allacciano..

Eppure c'è il sollievo, sempre disponibile, che sta nel risvegliarsi alla sequenza di evidenze e resistenze, nell'esserne consapevoli, vedere, toccare, tornando a casa versarsi dal thermos del tè caldo, tenere la tazza tra le mani per riscaldarle e un sorso dopo l’altro avvertire un’onda benefica che accompagna in questa riflessione, e con essa si distende, e calma.




 

giovedì 11 aprile 2013

Itaca




Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere d’incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo
né nell’irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l’anima non te li mette contro.

Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d’estate siano tanti
quando nei porti –finalmente, e con che gioia-
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d’ogni sorta, più profumi
inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.

Sempre devi avere in mente Itaca-
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
in viaggio: che cos’altro ti aspetti?

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.

Constantinos Kavafis (29 aprile 1863- 29 aprile 1933), Cinquantacinque Poesie, Einaudi







lunedì 8 aprile 2013

Giorno della Shoah e dell’Eroismo


 

 

“Morituri è il termine più indicato per descrivere il nostro stato d’animo. La maggioranza della popolazione è orientata verso la resistenza: ho l’impressione che la gente non andrà più allo sterminio come una massa di pecore. Vuol vendere la pelle a caro prezzo. Si scaglierà contro di loro armata di coltelli, di assi, di gas, di carbone. Non tollererà più gli sbarramenti. Non si lascerà più rastrellare per le strade, perché ormai sa che campo di lavoro significa campo di morte. Naturalmente resistenza ci sarà se ci sarà organizzazione...”.

Emanuel Ringelblum, Sepolti a Varsavia, Castelvecchi






domenica 7 aprile 2013

Dialogo del piccolo Io




 
Com’è invecchiare?
A seguito della coltivazione di abitudini e di pigrizie tendiamo a scivolare impercettibilmente verso una posizione in cui non vogliamo essere toccati da disturbi e fastidi e quando questo capita soffriamo dentro il nostro piccolo angusto e contratto Io. E’ la posizione in cui il piccolo Io è diventato “il Mio Tesoro”. Dovremmo invece dare il benvenuto a contrattempi e inconvenienti perché ci offrono l’occasione di risvegliarci.


Hai detto “il Mio Tesoro”: come l’anello magico in Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli?
Esattamente, e noi ne siamo prigionieri come Sméagol-Gollum.
Possiamo chiamare questo processo “invecchiamento”, e se pratichiamo l’attenzione testimoniamo che esso porta con sé la sofferenza dell’ammalarsi e del deteriorare mentalmente.

Come lo descriveresti?
Come un rinchiudersi graduale e senza ritorno dentro il guscio dell'Io-Mio Tesoro, dove nonostante tutte le difese siamo inesorabilmente raggiunti dalla sofferenza. E pateticamente questo rinchiudersi si accompagna allo stringersi e aggrapparsi a qualche nostro anello, ninnolo, medaglietta, mentale, gestuale, verbale, di cui non possiamo fare a meno.

E allora come ce la caviamo?
Quando realizziamo che siamo a questo punto non dobbiamo fare altro che arrenderci, aprire il guscio che ci stiamo autoconfezionando e aprirci, questa è la medicina.

“Arrenderci”??, che brutta parola!
Non attaccarti alla parole, già alla tua età.. Significa che ci arrendiamo all'evidenza. Alla verità dell'attenzione. Se smettiamo di indulgere nelle nostre carissime pigrizie e abitudini siamo colti da fastidio e irritazione. Allora non riprendiamo la strada dell’indulgenza ma riconosciamo chiaramente il fastidio e l’irritazione, li accogliamo, invece di dargli un calcio, e abbiamo la pazienza di osservare, ripetendo questa osservazione più e più volte, come declinano e scompaiono per lasciare spazio a un senso di liberazione e di energia risvegliata.

Davvero?
Provare per credere.







giovedì 4 aprile 2013

Lettera agli amici


 

La gioia più profonda nella vita dell’essere umano -alla portata dell’uomo comune, che non ha rango o ricchezze, quella gioia che non ne ha bisogno per essere perseguita e realizzata- sta nel conoscere se stesso, nel liberare se stesso dai propri attaccamenti e nel portare questa luce calda di conoscenza e di liberazione nelle relazioni con gli altri esseri viventi.

Tutto il resto viene dopo e può dare contentezza e soddisfazione, ma se non si accompagna al prima sarà meramente compensativo e destinato al tirare avanti.

Soltanto quella gioia può sostenere la gentilezza, la consapevolezza e la calma in tutte le circostanze, piacevoli e spiacevoli.