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domenica 20 gennaio 2019

Forza e debolezza








Chi ha rinunciato
all’uso della forza
nel rapporto con gli altri
deboli o forti che siano
chi non uccide né fa uccidere
è da ritenere un grande essere.
  Dhammapada strofa 405

La delicatezza con cui terremmo un bambino piccolo chiaramente non è un segno di debolezza. La sensibilità con cui ascolteremmo un amico che ha subito una perdita ugualmente non sarebbe ritenuta una debolezza. Comportarsi con umiltà riconoscendo la parte che possiamo aver avuto nel contribuire alla sofferenza di altre persone ugualmente non sarebbe, si spera, considerata un segno di debolezza. Ciò che talvolta viene visto come debolezza è di fatto forza. Al contrario, nascondersi dietro un’ostentazione di invulnerabilità, rifiutarsi di chiedere aiuto quando è chiaro che ne abbiamo bisogno, essere incapaci di provare empatia di fronte al dolore degli altri, queste sono di fatto forme di debolezza a cui gioverebbe un’accurata attenzione. 

Commento al Dhammapada di Achaan Munindo
Traduzione dall'inglese di Chandra Candiani
[Pubblicazione a cura del Monastero buddhista Santacittarama
Localita Brulla, Poggio Nativo, Rieti 02030]






martedì 9 ottobre 2018

L'impudenza







La vita sembra facile
per chi non conosce vergogna,
per chi è impudente come un corvo,
arrogante, aggressivo
invadente e corrotto

dal Dhammapada, strofa 244


Anche se talvolta le persone elogiano un comportamento sfrontato, non significa che sinceramente lo ammirino. Spesso è solo che un comportamento del genere consente di divertirsi. A seconda dello stato d’animo in cui si trovano, le persone possono essere divertite da ogni sorta di atteggiamenti nocivi: violenza, rudezza, arroganza. Ma quando lo stato d’animo cambia, lo stesso atteggiamento può creare, nella stessa misura, repulsione. Quando la mente è oscurata dall’egocentrismo, qualità come l’empatia e la compassione vengono messe facilmente in secondo piano. È saggio prestare attenzione a cosa ci consentiamo di trovare divertente.

commento di Achaan Munindo
traduzione di Chandra Candiani

dal sito del Monastero Buddhista Santacittarama






domenica 22 novembre 2015

Su chi contare?







In verità è su di noi
che possiamo contare;
come contare
su qualcun altro?
E' un raro rifugio
arrivare ad affidarci
a noi stessi.

Dhammapada, 160 
(versione di Ajahn Munindo, traduzione dall'inglese di Chandra Candiani)








sabato 25 ottobre 2014

L'altro






Nella rapida successione dei giorni e delle settimane, nell’alternanza di alti e di bassi lanciamo all’altro uno sguardo per lo più primitivo e ignorante.

Perché “primitivo”? Perché cerchiamo nell’altro piacere o dispiacere, gratificazione o rigetto. Ci basta così, e questa è ignoranza.

Ma l’altro, come possiamo imparare, se ci fermiamo ad ascoltare in silenzio, se accogliamo, è un essere incomparabilmente più ricco della nostra immaginazione e della nostra disponibilità a trovare quello che già conosciamo.

Può comunicarci fiducia, nel senso di aver fiducia in noi e insegnarci a nutrirla.

Offrirci l’occasione di essere generosi e può essere generoso.

L’essere umano ha il privilegio di poter condividere con l’altro l’amicizia, in cui nascono e vivono qualità da conoscere finalmente e in cui radicarsi.

Così, in una sua poesia, Chandra Candiani (vedi in questo blog, il post del 17 ottobre, con il titolo “L’universo non ha un centro”) si rivolge all’amica Beatrice che non c’è più:


Io svanisco,

senza di te,

amica. Ho meno realtà,

meno legame.

Ci siamo incontrate

sempre solo sulla terra,

per andare alla deriva

nell’amore dello spazio.


Questa è una bellissima e fertile immagine dell’amicizia spirituale, dare terra, darsi reciprocamente terra, per aprirsi senza timore alla spaziosità e alla luce.

L’universo non ha un centro ma possiamo crearne uno qui e ora con il contatto, l’amicizia, l’amorevole benevolenza, la comunicazione.



venerdì 17 ottobre 2014

L'universo non ha un centro




C’è un libro di poesia che dà voce alla gratitudine, alla carità e all’amicizia e si apre con queste parole:


“Alle amiche e agli amici, al mio Maestro che ha 2557 anni, a chi amo, a chi mi ama, ai monaci della foresta, agli indifferenti e agli spaventati dell’amore e dell’amicizia, ai vivi, ai morti, e ai mai nati, ai sopravvissuti, a tutti gli oggetti del lavoro umano, tavoli, sedie e letti, e pane e vino, e orti, e a tutti i cari, furiosi o delicati, animali, quelli che hanno vissuto con me e quelli appena intravisti, quelli che mi hanno azzannato e graffiato e quelli che mi hanno accarezzato e fatto ‘muso-muso’, quelli che ho mangiato, quelli che lavorano, agli alberi vecchi e giovani, solitari e scoievoli, al fondo del mare, alle onde una a una, ai granelli di sabbia, alle nuvole, alle montagne, ai sassi, alle conchiglie, ai fiumi, alla terra terra, ai temporali, alla grandine, alle pozzanghere, all’erba, al ghiaccio, ai tuoni, ai fiori, alle mani e a tutto il corpo, al vento, ai vulcani, ai laghi, alla nebbia, agli abbracci e alle parole, ai deserti, alle steppe, ai frutti e alle verdure, alle foreste, ai fulmini, a tutte le facce del sole, agli  astri, al cielo che arriva fino a terra, alla pioggia, alla prediletta neve, alla luna di cui porto il nome, alla notte, alla luce, all’universo che non finisce, alla voce del silenzio, al senza nome, alla divina compagnia, grazie e grazie”

Il libro si intitola  La bambina pugile ovvero La precisione dell’amore, è stato edito da Einaudi nel 2014, lo ha scritto Chandra Livia Candiani, che è anche traduttrice di testi buddhisti e tiene corsi di meditazione.

In copertina, venendo incontro, Chandra ci offre le sue istruzioni per abbracciarsi:

 

L’universo non ha un centro,

ma per abbracciarsi si fa così:

ci si avvicina lentamente

eppure senza motivo apparente,

poi allargando le braccia,

si mostra il disarmo delle ali,

e infine si svanisce,

insieme,

nello spazio di carità

tra te

e l’altro.