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domenica 8 novembre 2015

La meditazione non è sogno




La meditazione è un processo di trasformazione, non di consolidamento di modelli e modi usuali.

Se la nostra mente non è abbastanza ferma, rimbalza qui e là quando sediamo sul cuscino e quando ci alziamo tendiamo a essere assorbiti, risucchiati e andare alla deriva tra le attività usuali, di lavoro, domestiche, o nello spazio chiamato da Achaan Sumedho "fiera dei divertimenti", che è il tempo non-libero, non-vuoto, ma inzeppato da divertimenti e da diversivi. Così, ci alziamo dal cuscino per correre a infilarci nel sogno consueto.

Occorre comprendere e sentire l’interrelazione, la compenetrazione tra meditazione seduta, "zazen", e le azioni ordinarie. La meditazione seduta inizialmente resta circoscritta, isolata, e minoritaria e non “decolla”. Tuttavia è il nostro punto di forza e di consapevolezza. A essa tende ad accompagnarsi una consapevolezza crescente estesa alla vita, così gli "insight", le intuizioni, che abbiamo su noi stessi e sulla nostra esperienza durante la meditazione seduta vengono rinforzate e allargate.

La meditazione è un mezzo abile per uscire da quella che la maestra zen Diane Rizzetto definisce la prigione del sogno auto-centrato, intendendo che in assenza della consapevolezza del qui e ora, che possiamo iniziare a coltivare sul cuscino, restiamo affondati nel sogno chiamato vita che attraversiamo in sogno. E’ un sogno potente che vuole continuare a essere sognato e a sognarci.

Tale è la natura della vita non risvegliata al cui centro sta una mente che reagisce invece di dare risposta e che è intontita e confusa dagli attaccamenti.
Una mente che ama risvegliarsi è quella mente che accoglie anche ciò che non piace, che provoca fastidio o irritazione, che porta disagio. Una mente che non fugge e non respinge quel che percepisce come strappi e lacune ma accoglie e cura, “semplicemente” accogliendo.

Talvolta ci avviciniamo alla meditazione in vista di benefici immediati e strada facendo ci risvegliamo alla prospettiva di benefici imprevisti e incalcolabili che non procedono con le nostre esigenze immediate, capiamo che non è di beneficio rinchiudersi all’interno della prospettiva dei benefici immediati, ma coltivando l'attenzione, la consapevolezza, la calma rendersi disponibili a un orizzonte aperto, di liberazione.  





mercoledì 1 maggio 2013

Lettera dalla paura


Molte persone hanno una gran paura della povertà, paura che i loro consumi, le loro risorse, le loro possibilità, anche comodità e agi, diminuiscano, hanno paura, invecchiando, di non aver mezzi sufficienti per essere adeguatamente curati e assistiti, hanno paura dell’idea stessa della povertà, anche di immaginarla, forse sono la maggioranza -mentre una minoranza, forse, si difende dalla stessa paura accumulando beni, risorse, ricchezze.
Oggi la paura della povertà è moltiplicata dall'ansia seminata a piene mani dalla mancanza di attenzione, dall'avidità di individui e gruppi e da politiche economiche irrispettose della vita e della tranquillità degli esseri viventi più indifesi.

Grazie alle condizioni familiari e alle circostanze economiche e sociali in cui sono cresciuto e divenuto adulto, la paura della povertà mi è stata finora risparmiata, ma le cose cambiano di continuo; mentre ne ho conosciuto altre di paure che hanno piegato la mia mente in altre direzioni, la paura di essere abbandonato, la paura di non essere approvato, l’incertezza, il senso di colpa, la sfiducia, la disistima, la ricerca di una copertura nel gruppo o nell’autorità.

Questa fragilità, che è inimmaginabile per chi non la soffre o non sfugga alla sofferenza torturando chi ne soffre, ho cominciato a riconoscerla a darle un nome e a muovere i primi passi per uscire dal suo regime quando ho incontrato il maestro John Garrie, e sento da allora che le paure possano essere comprese e lasciate andare grazie all’incontro con esseri capaci di accogliere, comunicare tranquillità, fiducia e amorevole gentilezza, e di insegnare quei mezzi abili che consentono di coltivare le qualità indispensabili per non essere dominati dalla paura e per uscire dalla gabbia di ferro dell’autocentratezza e autoreferenzialità dentro la quale la paura non può che crescere.

Se ci lasciamo prendere dalla paura, in rapporto alla sistemazione, al lavoro, al reddito, al “futuro”, finiamo dritto dritto nella prigione della mente e del cuore. A colpi di paura (di restare tagliato fuori dal gioco, di non avere quello che hanno gli altri) ci deprimiamo, ci tagliamo fuori da tutto-i e ci auto-condanniamo.
“Se non avessi incontrato una certa persona a un certo momento, se non avessi incontrato le parole di questa persona in quel momento –scrive Shundo Aoyama- che tipo di vita starei vivendo oggi? Il solo immaginarlo mi mette un groppo in gola. Ma dobbiamo ricordarci che anche se un grande maestro sta di fronte a noi per spiegarci i veri insegnamenti, se noi non aspiriamo alla Via e non gli prestiamo attenzione, non può esserci connessione e non può nascere una relazione maestro-discepolo.”
 
Questo riguarda non solo i grandi maestri ma anche persone che non pretendono di esserlo e che con la loro gentilezza e disponibilità ci sostengono silenziosamente e ci raggiungono con il loro calore, eppure spesso diamo per scontata la loro presenza e ci lamentiamo per la mancanza di gentilezza e disponibilità di altri che sono impietriti nelle loro paure. 

Ricordiamo allora le parole di Diane Rizzetto: "Possano coloro che sono spaventati cessare di aver paura, e quelli che sono costretti essere liberati. Possano i senza potere trovare il potere, e possa la gente pensare di agire in amicizia l'una con l'altra. Coloro che si sentono disorientati in una spaventosa landa selvaggia -i bambini, gli anziani, i senza protezione- possano essere protetti nella saggezza e compassione della vita risvegliata."