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sabato 26 gennaio 2019

Come sorge la felicità









“La retta intenzione è un’espressione dell’aspirazione a non generare mai sofferenza, un’aspirazione a trattare noi stessi e gli altri nel modo più compassionevole e gentile possibile. La pratica della retta intenzione ci consente di osservare come la felicità stessa sorge dall’opportunità di lasciare andare la bramosia, l’avidità e l’avversione e coltivare con più fiducia la capacità di vivere in una maniera che sia in grado di sostenerci e portarci beneficio.”

di Patricia Feldman Genoud, da SATI anno XXV, n.1 / 2016, pag.31

















domenica 24 aprile 2016

Ognuno di noi è un cercatore...





“Non ci sono dubbi che ognuno di noi è un cercatore, in ognuno di noi c’è il desiderio di scoprire, di comprendere. Spesso la tendenza a porsi domande o a cercare di capire nasce in noi già in età molto giovane e ci spinge a domandarci: “Che cos’è la vita? Con quale scopo sono su questa terra? Quali sono i valori per me più profondi?” 
Poi, mano a mano che diventiamo adulti, perdiamo il contatto con la freschezza di queste domande, perché siamo tanto impegnati a cercare le risposte che ci dimentichiamo che la ricchezza è nella ricerca stessa, nel mistero, non nelle risposte. 
Grazie alla fiducia e alla fede è possibile riconquistare questo senso di innocenza che appartiene all’infanzia, dove l’interesse non risiedeva nelle giuste risposte, ma piuttosto nel guardare con curiosità e meraviglia la vita intorno a noi. 
Come cercatori possiamo risvegliare in noi quella semplicità che ci sostiene nell’aprirci al mistero della vita stessa.”

di Patricia Feldman Genoud, da SATI anno XXV, n.1 / 2016

[SATI è la rivista dell'A.Me.Co, Associazione per la Meditazione di Consapevolezza]









sabato 19 marzo 2016

Insegnamenti semplici ma non dominanti








Vedere lo zazen come “la cosa più onorevole” determina il nostro atteggiamento verso tutta la vita. 
Quale dovrebbe essere la nostra prospettiva? 
Qui di seguito esprimerò al meglio delle mie possibilità ciò che il Maestro Kōdō Sawaki impresse nella mia mente:

·       Guadagnare è un’illusione, perdere è realizzazione.
·       Non cercare di ottenere alcun beneficio. Non essere avido; non dispiacerti di perdere.
·       Non istituire mai un’organizzazione. Le cose raggiunte da un’istituzione crolleranno a causa di tale istituzione. (...)
·       Insegna agli individui uno per uno. Invece di formare le persone secondo un modello generale, dobbiamo affrontare ognuno individualmente, dal momento che ognuno è unico.
·       Non chiedere donazioni. (...)
·       Non essere volubile. Non agire spinto dai tuoi pensieri egoistici.
·       Se non starai attento, diventerai famoso e raggiungerai una posizione elevata. Fa’ ogni sforzo per non distinguerti nel mondo. Soprattutto dopo i quarant’anni, la fama e il profitto saranno allettanti.

    Ognuno di questi detti, a prima vista, sembra semplice. 
    Eppure se si osserva da vicino, ci si rende conto che non sono gli insegnamenti dominanti in questo mondo. 
    Sawaki rōshi non solo insegnava queste parole, ne era un esempio vivente.
      
      di Kōshō Uchiyama, da Kōdō il Senza Dimora, Ubaldini











sabato 23 gennaio 2016

Qualche suggerimento pratico per essere più felici




1° Lavorare a una correzione della nostra vista. Ciò significa in primo luogo domandarci se per caso non sia unilaterale soffermarci tanto sul negativo che vediamo in noi stessi, negli altri e nelle situazioni. Oggi in Occidente questa è una tendenza piuttosto diffusa e condivisa. (...) Continuando a evocare la consapevolezza il più spesso possibile...cominceremo a essere meno incantati da questa attrazione per il negativo, che poi a volte è una vera e propria costruzione del negativo. (...)
2° Fin a quando non lavoreremo seriamente alla nostra felicità non comprenderemo l’importanza della felicità, per noi stessi e per chi si trova intorno a noi. Attenzione: essere più felici rende possibile dare felicità. (...) Il che potenzia ulteriormente la felicità. E’ difficile, se non si intraprende questa via, toccare con mano come il diventare più felici sia l’esito di un processo di maturazione e di crescita.
3° Addestrarsi ad apprezzare il positivo, anche se piccolo.
4° Imparare ad accettare gli eventi della vita, positivi e negativi, ricordandosi che accettazione non è passività. Per esempio accettare che Tizio è aggressivo nei nostri confronti è, anzitutto, un passo verso la chiarezza: non cerchiamo di ignorare o rimuovere la cosa. Sarà più facile, poi, esercitare la fermezza e il dissenso, lasciando cadere l’impulso a essere reattivi. Infatti la nostra reattività accrescerebbe soltanto l’elemento aggressivo nell’altro. E’ utile inoltre, tenere a mente che aggressività e rabbia nascono dalla sofferenza e producono sofferenza.
5° Imparare a cogliere l’ingenuità di certe prese di posizione. Per esempio ‘non mi interessa la felicità’; piuttosto ‘mi interessa la saggezza’ oppure: ‘mi interessa lo studio’; oppure ‘mi interessa lavorare’. (...) Tuttavia è molto probabile che Tizio, Caio e Sempronio diano un significato superficiale alla parola felicità, superficialità certamente inadatta a definire la soddisfazione che viene dalla saggezza, dallo studio o dal lavoro.
6° Vedere quanto siamo esperti e abili nel coltivare l’infelicità. Abbiamo già considerato l’incantesimo che il negativo esercita su di noi. A tale proposito conviene anche allenarsi a vedere come il rimpianto del passato -che non tornerà- sia un altro modo di coltivare l’infelicità, e così anche riguardo al timore del futuro, futuro che spesso si rivela diverso da quello che ci aspettiamo. (...)
7° In generale si può dire questo: coltivare il Bene va verso la felicità e ci andrà tanto più, quanto più impariamo a coniugare serietà e tocco leggero.

di Corrado Pensa, SATI, Anno XXIV n.3, settembre/dicembre 2015



domenica 20 dicembre 2015

Sorridere







"Sorridere a voi stessi -ha detto Thich Nhat Hanh- è un atto molto gentile nei vostri confronti, perchè state soffrendo e quando soffrite avete bisogno di amore. 
Voi siete la prima persona che può offrirvelo,  non aspettate che sia un'altra a farlo."

Se non siamo gentili e sorridenti con noi stessi, la nostra capacità di perseguire il bene è gravemente compromessa. Possiamo facilmente essere travolti dalle preoccupazioni e dalla negatività. Quando sorridere a noi stessi è più difficile a causa della sofferenza, proprio allora dobbiamo esercitarci a praticare il sorriso. Ecco che ci sentiamo subito più tranquilli e l'orizzonte si rasserena.








domenica 13 dicembre 2015

Otis e il vecchio studente





Un vecchio studente venne da Otis e disse: “Sono stato da un gran numero di Maestri e ho rinunciato a un gran numero di piaceri. Ho digiunato, sono rimasto celibe e ho passato le notti vegliando alla ricerca dell’illuminazione. Ho rinunciato a tutto quello a cui mi è stato chiesto di rinunciare e ho sofferto ma non ho raggiunto l’illuminazione- cosa dovrei fare?
Otis replicò: “Rinuncia alla sofferenza.”

da Taliaris Newsletter, anno 1995





















domenica 22 novembre 2015

Su chi contare?







In verità è su di noi
che possiamo contare;
come contare
su qualcun altro?
E' un raro rifugio
arrivare ad affidarci
a noi stessi.

Dhammapada, 160 
(versione di Ajahn Munindo, traduzione dall'inglese di Chandra Candiani)








venerdì 25 settembre 2015

Se l'ami abbastanza




Miti di tutto il mondo dicono di uomini e donne in cerca dell’elisir che protegga dalla sofferenza. La risposta del buddhismo è la consapevolezza. Come funziona la consapevolezza? Lasciatemi illustrare con una storia che divenne la base per il film del 1988 “Gorilla nella nebbia”. Il film racconta di Dian Fossey, una coraggiosa biologa ricercatrice sul campo che riuscì a farsi amica una tribù di gorilla. Fossey era andata in Africa sulle orme del suo mentore George Shaller, un famoso biologo dei primati che era ritornato dalla foresta con informazioni sulla vita dei gorilla più profonde e cogenti di qualsiasi altro scienziato prima di lui. Quando i suoi colleghi gli domandarono come era riuscito ad apprendere dettagli così rimarchevoli circa la struttura tribale, la vita familiare e le abitudini dei gorilla, egli l’attribuì a una semplice cosa: non portava con sé un fucile.
Precedenti generazioni di biologi erano entrati nel territorio di questi grandi animali presupponendo che fossero pericolosi. Così gli scienziati venivano con uno spirito aggressivo, con grandi fucili in mano. I gorilla potevano sentire il pericolo intorno a questi uomini con i fucili spianati e se ne tenevano a lunga distanza. Al contrario, Shaller -e più tardi la sua studentessa Dian Fossey- entrarono nel loro territorio senza armi. Dovevano muoversi lentamente, con gentilezza, e soprattutto con rispetto nei confronti di queste creature. E, col tempo, sentendo la benevolenza di questi umani, i gorilla gli permisero di venire proprio in mezzo a loro e imparare i loro modi. Sedendo immobile, ora dopo ora, con sollecita, paziente attenzione, Fossey finalmente capì quello che vedeva. Come spiegò il saggio afro-americano George Washington Carver: “Qualunque cosa rilascerà i suoi segreti se l’ami abbastanza.”

Jack Kornfield







mercoledì 12 agosto 2015

Un vecchio trave





Lavoravamo sulla facciata della casa e notammo che il pergolato di sostegno al glicine era storto, si era abbassato da un lato e rischiava di cedere. Bisognava estrarre i pali di sostegno e i vecchi travi dal muro e sostituirli.

Tirando via da parte uno di questi travi di castagno, consunto e fradicio, ebbi a dire: "Com'è brutto!"

Il maestro replicò con calma: "E' stato bello pure lui..."

Restai a bocca aperta.

Quanta compassione e quanta saggezza in questa espressione!

E quanta ispirazione in una frase semplice e non pretenziosa...

Tirai un respiro di sollievo. Anche se il lavoro era duro quelle parole lo avevano reso leggero, la fatica restava ma come un dato di integrità dell’esperienza.






martedì 9 giugno 2015

Segui il corso dell'acqua







Che cosa ci "spinge a riproporre sempre le solite modalità", benchè nei momenti di consapevolezza non ne siamo per niente persuasi, benchè così facendo ci incartiamo, andiamo in confusione, in complicazione, in colluttazione, con noi stessi e con la realtà; che cosa ci spinge?

Ci spinge la forza chiamiamola d'inerzia, delle abitudini, di una "perversa familiarità" con il passato che abita nei recessi del cuore (e che va in senso inverso alla forza del cambiamento e alla fiducia) e mette in luce che la nostra pratica non è sveglia e viva.

E ci spinge l'orgoglio, cioè un attaccamento penoso e masochista a una identità, probabilmente obsoleta, da lasciare andare... con una espirazione, inchinandosi energicamente e con umiltà al momento presente.

E' tutto qui, ed è così semplice, ma non facile da realizzare; occorre proprio volerlo, la liberazione è una pratica che comprende l'intenzione e lo sforzo.

Il maestro Zen Ta-mei Fa-ch'ang, nella Cina tra la fine dell'ottavo e i primi decenni del nono secolo, abitava in una capanna d'erba nel fondo della montagna, si vestiva di foglie di loto giganti e si cibava di pinoli. Una volta un prete che si era perso gli chiese del sentiero per il villaggio, Ta-mei rispose: “Segui il corso dell’acqua.”

Questo significa, dice la maestra Zen Shundo Aoyama, che se sem-pli-ce-men-te seguirai l'acqua troverai la strada per uscire dalle montagne.

Non spingere l’acqua, né frenarla, non alterarne il corso e neppure costruire dighe, devi sem-pli-ce-men-te fluire senza intoppi e senza creare ostacoli.








mercoledì 29 aprile 2015

Invulnerabilità e resilienza






«Noi cresciamo più rapidamente  -osserva il maestro tibetano contemporaneo Traleg Kyabgon- se siamo disponibili a lavorare con le difficoltà piuttosto che a fuggirle. Gli insegnamenti del lojong ci mostrano che, se ci induriamo a causa della sofferenza, noi semplicemente aumentiamo il peso della sofferenza e diventiamo ancora più vulnerabili all'irritazione o alla rabbia proveniente dagli altri... Invece, contrariamente ai nostri istinti, è con l'essere più aperti sia agli altri sia a noi stessi che diventiamo più forti e più resilienti.»
E su questo punto Anna Oliverio Ferraris scrive: «La persona invulnerabile così come la immaginiamo, è una specie di Superman: un semidio con doti speciali fin dalla nascita. La persona resiliente, invece, lo diventa nel corso di un processo di crescita, passo dopo passo, in funzione delle esperienze e degli incontri che fa, delle paure e delle frustrazioni che riesce a superare, dei risultati che ottiene, dell’amore che riesce a ricevere e a dare... della capacità di mantenere viva la fiducia in sé stessa.»

cit. di Corrado Pensa in SATI, n.1, 2015





martedì 14 aprile 2015

Io sono qui









“Com’è possibile praticare zazen? Solo quando accetti te stesso e sai davvero di esistere qui e ora. Non puoi scappare da te stesso. Questo è il fatto fondamentale, quell’ “Io sono qui” ”

Shunryu Suzuki, da Mente Zen Mente del Principiante








 

sabato 28 marzo 2015

Da William Blake a Buddha





Andai a Kalimpong a far visita a Dudjom Rinpoche, il capo della scuola Nyingma (di Buddhismo Tibetano), e gli portai i miei problemi con l’LSD, perché avevo avuto molte esperienze orribili. Ogni volta che prendevo un acido o roba psichedelica, ritornavo a “The Sick Rose” (la poesia di Blake), come a qualche mostro venuto per divorarmi da uno spazio esterno. Rinpoche mi diede una buonissima istruzione essenziale, che non ho mai dimenticato. Rigirò la mia mente e rese il mondo sicuro per il mio modo di pensare democratico: «Se vedi qualcosa di spaventoso, non attaccarti ad esso, e se vedi qualcosa di meraviglioso, non attaccarti ad esso.» Questo tagliò il nodo di Gordio che avevo ereditato da esperimenti troppo temerari e non abili con gli psichedelici.

da Allen Ginsberg, The Vomit of a Mad Tyger (An auto-biographical account narrating his spiritual journey from Blake to the Buddha)




 

sabato 14 marzo 2015

Un insegnamento del Buddha





Quando proviamo disagio vogliamo che questo disagio scompaia subito, e pensiamo di aver capito la lezione. Potremmo aver sì capito ma soltanto intellettualmente.

La fretta di trasformare un’esperienza disagevole nel suo superamento può essere molto forte e fuorviante.

Per prima cosa occorre accogliere e accettare il disagio fino in fondo, stare con il malessere finchè dura, con pazienza. L’esperienza deve essere completa e completamente consapevole. E' bene rilassarsi nell’esperienza così com’è. La fretta di andare oltre è perniciosa perché può portare a perdere l’occasione di approfondire la comprensione e la guarigione.

Ricordiamo che la pazienza va controcorrente perché l’impulso è quello di farla finita con il disagio, di sbarazzarsi dell’ansia, di correre altrove, di cercare un calmante, un palliativo..

Pema Chödrön insegna che ogni momento ci riporta lo stesso quesito: che cosa ci rende la vita più comoda? E la risposta abituale è: avere quello che vogliamo, che i nostri desideri siano soddisfatti... La scelta che ci piace di più non è però la più saggia.
 
 
 

domenica 15 febbraio 2015

Liberazione e respiro






La liberazione dalla dipendenza e dall’assuefazione, in una parola dall’attaccamento, e la libertà di scegliere possono nascere semplicemente dal fermarsi, dall’espirare e dal riprendere contatto con se stessi e con la consapevolezza del qui e ora.

Una volta che sono fermo e che espiro trovo più spazio in me per la saggezza e la compassione.

Dallo stato di calma e di vuoto può nascere empatia e comprensione di dove siamo.

Per questo il comportamento più consigliabile e più controcorrente nella vita quotidiana è proprio quello di fermarsi, di introdurre pause, di espirare intenzionalmente e con sollievo, gioire del vuoto di parole, di azioni, di pensieri.

Ad esempio, stando in casa, essere consapevoli che si sta attraversando una porta, tirare un respiro e poi espirare.





sabato 7 febbraio 2015

Ascoltare





“Quando ascoltate qualcuno dovete abbandonare tutte le idee preconcette e tutte le opinioni soggettive che avete; dovete solo ascoltarlo, solo osservare com’è fatto.
I concetti di giusto e sbagliato, di buono e cattivo, sono irrilevanti per noi.
Noi vediamo semplicemente le cose così come sono per lui, e le accettiamo.
È così che si comunica.
Di solito, quando ascoltate un discorso, lo sentite come una specie di eco di voi stessi.
In effetti state ascoltando la vostra opinione personale.
Se concorda con la vostra opinione, potete anche accettarlo, ma in caso contrario lo rifiuterete, o addirittura può succedere che in realtà nemmeno lo sentiate.
Questo è il primo pericolo, quando ascoltate qualcuno.”

Shunryu Suzuki, Mente Zen Mente di Principiante





sabato 17 gennaio 2015

Quando rimaniamo bloccati in modelli abituali







Spesso nonostante le nostre migliori intenzioni -si potrebbe dire: benché le nostre intenzioni siano sincere e nascano dal cuore- non riusciamo a vedere con chiarezza che siamo prigionieri dentro modelli di comportamento abituali che creano sofferenza, sempre a noi stessi, spesso ad altri.

Sentiamo il disagio ma non sappiamo come uscirne.

Continuiamo ad andare avanti e indietro.

E continuiamo magari a dirci e a dire che tutto si sistemerebbe se solo il tale o il talaltro si comportassero in un altro modo.

Allora può essere preziosa la presenza di un amico spirituale che “ci vede” così come siamo, e che senza supponenza e senza complimenti ci “fa vedere” che occorre qualche passo “fuori”, ci indica la direzione per uscire dalla situazione bloccata -e quasi immancabilmente il dito è puntato in direzione del non attaccamento.
 
La pratica meditativa, perseguita con sincerità e con perseveranza ci porta al momento in cui le nostre resistenze al cambiamento si manifestano in tutta la loro portata, e in cui inevitabilmente sentiamo l’assenza di terreno sotto i piedi.

E’ il “momento potente”, il “momento della verità”, in cui tocchiamo quella “identità che  -come dice John Garrie- invariabilmente si ritrova in ciascuno, al centro dell’essere, una identità potentemente condizionata e protetta da abitudini, precedenti e familiarità”.

Da questo momento può prendere vigore un dinamismo che porta a non temere la mancanza di sicurezza e di terreno sotto i piedi, perché è sostenuto dalla energia della fiducia e dal desiderio di liberazione.




sabato 10 gennaio 2015

L’energia della consapevolezza per l’Anno Nuovo








Il merlo sulla neve a Montali (foto di Rika)




“Quando i blocchi di dolore, di dispiacere, rabbia e disperazione si fanno più forti e più grossi, premono per salire nella coscienza mentale, nel soggiorno a reclamare la nostra attenzione. Essi desiderano emergere, ma noi non li vogliamo, perchè ci fanno stare male solo a vederli.
Non avendo nessuna voglia di affrontarli, usiamo riempire il soggiorno con altri ospiti: prendiamo in mano un libro, accendiamo la tv, andiamo a fare un giro in macchina… qualunque cosa pur di tenere occupato il soggiorno.
Abbracciare il tuo dolore e il tuo dispiacere con l’energia della presenza mentale è esattamente come massaggiare la coscienza invece che il corpo.
Quando togli l’imbargo e i blocchi di dolore affiorano ti tocca soffrire, almeno un po’, non c’è modo di evitarlo. Occorre imparare ad abbracciare questo dolore. Dopo che avrai abbracciato per qualche tempo i tuoi dolori, essi torneranno in cantina e si ritrasformeranno in semi.
Se invitiamo il seme della paura ad uscire allo scoperto, siamo anche meglio equipaggiati per prenderci cura della rabbia.
E’ la paura a generare la rabbia: quando hai paura non sei in pace e questo tuo stato diventa il terreno dove la rabbia può crescere.
La paura si fonda sull’ignoranza, mancanza di chiara comprensione.
Immergi quotidianamente la tua rabbia, la tua disperazione, la tua paura in un bagno di presenza mentale: la pratica di invitare i semi ogni giorno per abbracciarli è molto salutare.
Dopo svariati giorni o settimane di questa pratica, avrai generato una buona circolazione nella tua psiche. La presenza mentale lavora come un massaggio delle formazioni interne, dei tuoi blocchi di sofferenza. Questi devono poter circolare liberamente, dentro di te, possono farlo soltanto se non ne hai paura. Se impari a non avere paura dei tuoi nodi di sofferenza, puoi imparare anche ad abbracciarli con l’energia della consapevolezza e a trasformarli.”
Thich Nhat Hanh

Inviato da Francesca con auguri di consapevolezza per l’Anno Nuovo.

[Thich Nhat Hanh, che ha sofferto un aneurisma al cervello nell’autunno dell’anno passato, nelle ultime tre settimane è gradualmente riemerso a una condizione di vigile veglia. Per gran parte del giorno il maestro Zen vietnamita tiene gli occhi aperti, al punto che i dottori lo hanno dichiarato fuori dal coma. Nella sua attuale condizione Thay, come Thich Nhat Hanh è affettuosamente chiamato, è in grado di riconoscere i volti familiari, è reattivo agli stimoli verbali e ha rallegrato tutti ricominciando a sorridere. Tuttavia non è in grado di parlare, il che indica un qualche grado di afasia, che è monitorata e che potrebbe evolvere favorevolmente grazie alla terapia. Di particolare importanza è l’accenno, nel comunicato emesso dalla comunità di Plum Village, al grande sforzo che Thay mette nelle sessioni di fisioterapia. Si registrano progressi giorno dopo giorno, gli assistenti vedendo come il maestro Zen svolge gli esercizi durante il giorno, hanno molto da imparare dalla sua determinazione.
Thay, be well, be happy and free from suffering!]

sabato 20 dicembre 2014

Qualunque cosa facciamo






Avvicinandosi la fine dell’anno mi sovviene un insegnamento della monaca zen Shundo Aoyama:

“Che sia buona o cattiva, qualunque cosa facciamo rimane un fatto, che non cresce o diminuisce in valore in base alla lode o al biasimo di altri; diviene una forza karmica che ci accompagna. In questo modo, la nostra personalità è immancabilmente modellata da tutti i nostri atti.”
 
 
 
 
 
 

domenica 9 novembre 2014

Un forte desiderio





 
 




Piccolo lago, grande lago (foto di Mirko Iacobucci)


Con la meditazione vediamo i nostri condizionamenti, e dal momento che sono profondi, per poter vedere occorre un forte desiderio di risveglio.
Suzuki roshi attribuiva alla meditazione seduta la capacità di allentare la presa di quello che sembra essere la realtà. E probabilmente la realtà ci sembra quello che non è proprio a causa della profondità dei nostri condizionamenti.
In più, strada facendo, dobbiamo capire ciò che è tossico e ciò che è salutare, e comportarci di conseguenza.