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domenica 3 luglio 2016

Buddha che ride









Dal giardinetto in fondo a via Asinio Pollione che stavo risalendo ho sentito un richiamo: “Buon giorno” e voltandomi ho incontrato con lo sguardo la figura familiare della signora rom da Sarajevo con cui qualche volta mi fermo a scambiare due parole e che porta in braccio e ancora allatta l’ultimo suo bimbo.
Erano circa le 11, il sole cominciava a farsi sentire e la signora mi ha detto che aveva cercato riparo al caldo nel fresco ombroso di Largo Manlio Gelsomini in cui in quel momento non c’erano altre persone.
E’ una signora dal sorriso aperto che non nasconde i pochi denti storti, è un sorriso che può anche fare a meno di denti perfetti e bianchi.
E quello del bimbo è un sorriso generoso. Basta che i suoi occhi siano sfiorati da una attenzione benevola e il sorriso del bimbo si offre in tutta la sua benefica grazia.
I sorrisi della mamma e del piccolo mi insegnano a sorridere con la pancia, mi fanno sentire la radicale differenza tra il sorriso sforzato, non libero, prigioniero di chi sa quale paradiso futuro e il sorriso che anticipa il paradiso e lo realizza nel momento presente.

E avverto l’irresponsabile avarizia di sorrisi rateizzati, non integri, come una attitudine alla vita che non voglia mai assolvere e assolversi dal calcolo di quanto dovrebbe ancora ottenere per rilassarsi e sorridere senza tirare il freno.