sabato 13 aprile 2013

La lettera della tazza di tè


 

 

Tornando a casa ho lasciato che le parole del medico –“ansia”, “stress”, “nervosismo”- si depositassero. Dovrei saperlo da me, l’intestino, lo stomaco, reagiscono direttamente alla sofferenza mentale, la raccolgono, eppure..

Mi ha preso di sorpresa, e lì per lì mi sono difeso, ho risposto "non saprei", e adesso sono sorpreso della mia sorpresa -basta solo voler vedere, per sapere.

Invecchiare, sentirsi non abile a fare qualcosa, non potere fare qualcosa che prima si dava per scontato, non potere dare per scontato questo o quello, ammalarsi più spesso, malattie di stagione e non, l’inverno, temere il freddo, la pioggia, e subito dopo il caldo torrido, avviarsi al tramonto senza sole, un viale tutt’altro che trionfale, sentirsi debole, vulnerabile, la memoria che dimentica, fili di paranoia che ti allacciano..

Eppure c'è il sollievo, sempre disponibile, che sta nel risvegliarsi alla sequenza di evidenze e resistenze, nell'esserne consapevoli, vedere, toccare, tornando a casa versarsi dal thermos del tè caldo, tenere la tazza tra le mani per riscaldarle e un sorso dopo l’altro avvertire un’onda benefica che accompagna in questa riflessione, e con essa si distende, e calma.




 

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