Il non restare attaccati al fastidio e all’irritazione
è un chiaro sintomo di pace interiore (vedi su questo blog il post del
14/09/2013).
Ad esempio sediamo in meditazione e non avendo
spento il cellulare -magari perché
riteniamo che nessuno debba osare disturbarci, in quanto non è stato
autorizzato- siamo costretti a interrompere la seduta e rispondere. Ammettiamo che
il punto di partenza dello spiacevole evento è un torreggiante e minaccioso
senso dell’io che crede nella propria importanza e considera sacra la propria
agenda. Dal call center ci assaltano con una speciale offerta e noi, a difesa
della nostra pace interiore, abbiamo uno scatto di aggressività, magari si
tratta della stessa offerta che da un altro call center ci hanno proposto
soltanto ieri sera. Diverso sarebbe se la telefonata fosse di congratulazioni e
di rallegramenti per i post che appaiono su questo blog...
Ritornando a sedere ci rendiamo conto -ed è un
segnale positivo, di consapevolezza- che il fastidio si è trasformato in
resistenza a stare nel momento e nell’esperienza del momento e ci ritroviamo a
rimuginare su quanto è accaduto, così da
ritrovarci ben presto impigliati nei più assurdi pensieri, naturalmente
negativi, di tipo sociale, politico, culturale, e personale, che mettono in moto
associazioni di altri pensieri, ricordi e sensazioni, tendenzialmente ossessivi
e paranoici.
Tutto questo è attaccamento e frutto dell’attaccamento.
Quando invece lasciamo andare il fastidio e non
ci impantaniamo nel conflitto la porta è aperta per ritornare senza strattoni e
con gentilezza alla originaria intenzione di pratica e capire che non è poi
così impossibile seguire la corrente e gioire momento per momento del cammino.
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