La pratica dell’attenzione e della
consapevolezza ci permettono di vedere come ci sia facile e ci venga
“naturale” conservare e rafforzare il
nostro ruolo nel mondo o continuare in atteggiamenti e comportamenti
consueti -ancorchè causa di conflitto interno ed esterno- giudicando gli altri, dai più vicini agli sconosciuti, e
intervenendo su di loro e sulle situazioni perchè si adeguino alle nostre preferenze e ai nostri standard.
Il maestro di meditazione John Garrie,
diceva che “Non farsi i fatti propri” (“ Not Minding One’s Own Business”), “dalle
più grossolane e ovvie forme alle sfumature più raffinate dell’attività mentale
è, molto semplicemente, interferire.”
“Che cosa è non farsi i fatti propri
in un contesto personale?”-si chiedeva John. “E’ non essere nel momento”, “non
essere qui e ora”, e lasciarsi sopraffare e mandare fuori centro da qualcosa che è totalmente superato e obsoleto chiamando a sé e riportando in vita condizionamenti passati.
“E’ sempre più facile occuparsi dei fatti altrui piuttosto
che dei propri -è meno doloroso!” -ricordava John e esortava a chiedersi: “E’ un affare tuo
quel qualcosa là fuori di cui a causa della tua natura, formazione o
esperienza, senti di doverti occupare per giustificare te stesso? Oppure lo è
il guardare a te stesso e il prenderti cura di te stesso?”
Cap. James T.Kirk e Spock
In Star Trek, la Prima Direttiva, cardine della filosofia della Flotta Stellare nel
contattare altre culture, rappresenta, secondo John, in un contesto
interpersonale e sociale, un'adeguata esemplificazione del “farsi i fatti
propri”.
Tale Direttiva dice molto semplicemente che “non si deve interferire nelle culture altrui, non si deve
tentare di “salvare” chi che sia, non si deve cercare di spingere un pochino
gli altri lungo la strada, perché non è il loro tempo”.
Infatti: “Bisogna imparare che c’è
un tempo perché le cose accadano”.
Quando contravveniamo alla
indicazione della non interferenza si crea nel nostro organismo una dinamica di promozione e di impazienza, una
compulsione a separarci dal qui e ora, a dover essere e dover fare, e si
produce in noi una chimica dal sapore sforzato e non scorrevole, che è propria
dell’interferire. Interferire ha un gusto molto diverso e distante dalla cura
di sé, che viceversa si riconosce dal rilassamento, dalla riflessione e dal radicamento qui e ora.
Il sapore della
compulsione a intervenire e a interferire, che crea sofferenza, non è altro che attaccamento ad aspettative e a prospettive che le cose
vadano e debbano andare secondo i miei desideri. Il sapore della cura riflette invece tutte le sfaccettature della presenza in una data situazione o relazione, il conoscerla ascoltandola attentamente e il capirla dall'interno, non come qualcosa da sottomettere o ribaltare al fine di ritrovare il già conosciuto.
Ricordiamoci allora la voce del capitano James T.Kirk che in apertura di
ogni episodio della serie classica di Star Trek accompagna fiduciosa e
incoraggiante l’Enterprise: “alla ricerca di nuove
forme di vita e di civiltà…”