Quello che
segue, ti assicuro, è molto più una riflessione di tipo auto-analitico che un
attacco a te, lettore, chiunque tu sia che leggi. Se realizzi nella lettura che
è come se io ti stessi reggendo uno specchio di fronte -sappi che quanto segue
risulta in primo luogo dalle mie personali realizzazioni seguenti all’essermi
seduto davanti allo stesso specchio (credimi -nella sofferenza) per qualche
tempo. Sono stato e ho fatto tutte queste cose che seguono.
Invito alla
compassione per il lettore e per lo scrittore.
L’orgoglio è essenzialmente un tratto che si sviluppa e ha le sue
radici nell’adolescenza, o prima. Si può persino dire che l’orgoglio è un
guardiano dell’autocentratezza ed è chiaramente molto molto folle perché in
definitiva è molto auto-distruttivo. Ci induce a una logica distorta e prevenuta
e quindi a percorsi che con maggiore chiarezza mai prenderemmo in
considerazione.
Perché? Perché una delle principali caratteristiche dell’orgoglio è che
prima di tutto crediamo o abbiamo bisogno di credere che abbiamo ragione o che non
abbiamo mai torto, e subito dopo sviluppiamo una inflessibilità di attitudine
che non consente di cambiare mai idea, basata com’è sulla credenza che cambiare
idea sia una inusuale debolezza alla quale mai soccombere, rivelando così
l’immensa vulnerabilità dell’orgoglio e le cocciute e provocatorie emozioni che
l’accompagnano.
Sono sicuro che la psicologia avrà chiare spiegazioni di precoci
deprivazioni di affetto o rispetto o anche attenzione per dar conto
dell’orgoglio in anni seguenti. Forse. Personalmente preferisco guardare a
quello in cui si mette orgoglio o a quello di cui si è orgogliosi. Quello che
si sente di aver superato o almeno eguagliato o da quali standard ci si sente
ancora intimiditi o ridotti all’autocommiserazione o a bravate che accrescono
l’ego o a decisioni “potenti”.
I modelli di ruolo sono ovviamente molto influenti in questo campo...
Ma i reali modelli di ruolo sono quelli intuitivamente percepiti o ‘sentiti’ da
un ragazzo di 6 o 7 anni.
A 6 o 7 anni i confini di percezione, comprensione e ‘sentire’ non sono
chiaramente definiti e tendono a fondersi in un conoscere che spronerà spesso un bambino nell’urgenza di far bene,
di brillare, o a spiccare in qualche area che ha a che fare con rispetto,
affetto, o attenzione; o egualmente nel caso opposto. Questo impulso o la sua
assenza detterà la personalità come si sviluppa nel periodo della crescita,
educazione inclusa, in quello che emerge a 14-15 anni nell’adolescenza. La
secchiona, il somaro, il ribelle, il cocco dell’insegnante, il/la precocemente
sexy, il respinto, il militante, l’atleta, lo zerbino, oppure occasionalmente
un misto di tutti o parte dei positivi e di tutti o parte dei negativi. E in
tutti questi o in qualunque combinazione ci sarà la veemenza dell’orgoglio con la
forza impulsiva propria dei primi giorni e una forte appiccicosa riluttanza a
cambiare o a consentire lo sviluppo di modi più maturi.
Sarebbe primitivo dar la colpa ai genitori. Sto dicendo che quello che
un ragazzo percepisce, raccoglie o a cui reagisce, è qualcosa nei genitori di cui essi -i genitori-
sarebbero piuttosto ignoranti, presi dalle loro negoziazioni con i propri
partner o con le proprie coscienze per la propria felicità, pur rendendo
omaggio a parole all’idea di essere buoni, amorevoli, premurosi e responsabili
genitori e modelli di ruolo- che per lo più, a livello esteriore, essi sono.
Quanto il ragazzo riceve e a cui reagisce è piuttosto differente.
Che cosa un ragazzo sta cercando di provare dimostrandosi “bravo”,
sempre primo o tra i primi nella sua classe, eccellente negli sport? O con
l’essere conflittuale o ribelle con i genitori o gli insegnanti, o attraente
per l’altro sesso, e che significa attraente in questo contesto? Pochi sono
nati con eccezionale bellezza fisica o del viso, il resto della “attrattività”
consiste di accessibilità, disponibilità, determinazione e “proiezione” di
personalità. A quell’età io ero ben lontano dall’essere in alcun modo
attraente. Il mio viso, collo, spalle erano orribilmente coperti da acne
-foruncoli, bolle, ascessi. Per fortuna ero un corridore veloce e bravo a
cricket -così mi sono specializzato e con il sostegno della rabbia ottenni la
mia rivincita sui diffusori di nomi ingiuriosi e i molti rovesci che sopportavo
-ma solo in parte. Divenni socialmente “presentabile” solo a 18 o 19 anni.
Probabilmente quello che sto chiedendo è “Quali misure siamo portati a
prendere per assicurare la nostra sopravvivenza o esistenza in quanto identità
che sia riconoscibile in mezzo a quella che spesso è una competizione davvero
formidabile?”
L’orgoglio è essenzialmente reattivo: è una risposta a qualche stimolo
o emozione, e mentre è inizialmente difensiva o auto-protettiva può facilmente
diventare, e spesso diventa presunzione e si trasforma in arroganza,
insensitività, o ciecamente compulsiva autocentratezza.
Ripeto è un gioco emozionale molto molto folle e in ultima istanza
autodistruttivo.
Orgoglio è come scavare compulsivamente dentro un fosso nel mentre si
cerca di venirne fuori -ed è azione totalmente futile e votata
all’autoseppellimento da cui ci si può salvare soltanto saltando fuori dal
fosso. Non c’è letteralmente futuro nell’orgoglio!
Posso sentire le obiezioni adesso. Quelli che dicono che l’orgoglio nei
risultati o nei propri standard morali o sociali è degno di ammirazione etc.,
ma certo quello di cui stiamo parlando è semplice auto-rispetto. Orgoglio in
verità è auto-rispetto che è tracimato in un stato nuovo, se non pienamente
patologico.
Attenzione ai sintomi dell’orgoglio - essi trasformano nature gradevoli
e davvero amabili in persone che diventano socialmente inaccettabili e spesso
pericolose, perché i confini si confondono e la filosofia morale si distorce.
Triste a vedersi! Abbi compassione per l’orgoglio ma se hai qualche
rispetto per la vittima dell’orgoglio -non condonarlo mai. Un secco calcio nel
sedere è spesso più affettuoso che un mazzo di rose - e in definitiva di
maggior valore.
Non puoi comprare l’orgoglio -affrontalo! Negli altri e soprattutto in
te stesso.
E buona fortuna.
di John Garrie
(1923-1998), da Newsletter from Kemps,
May 1997