«In uno dei suoi libri su Don Juan Castaneda chiede:
“Come fai a sapere quale deve essere il tuo sentiero?”, e Don Juan risponde:
“Scegli il sentiero che ha un cuore”, Castaneda replica: “Ma questo non è un
sentiero particolarmente difficile?” E don Juan dice: “No, è negli altri
[sentieri] che sta il difficile”. Ho scoperto che ciò è assolutamente vero.
(…)
Alla fine, nessun sentiero andrà bene al cento
per cento. Farsi strada attraverso sentieri differenti, fare uso della propria
innata saggezza e della propria consapevolezza, è parte della pratica. Il criterio
che mi ha aiutato a decidere è l’originario criterio del Buddha: “Insegno
soltanto la sofferenza e la fine della sofferenza”. Perciò chiedetevi: “Questo
modo di vivere, questo metodo, questo insegnante, mi sta aiutando a liberarmi
della mia sofferenza? La mia vita sta diventando meno pesante? Sto diventando
meno egocentrico?”
Se non conoscete voi stessi, e intendo ciò al
livello più ordinario, semplicemente ciò che vi piace e ciò che non vi piace,
siete destinati a inciampare. I lunghi ritiri e le tecniche meditative sono
cose belle e utili; ma se le usate a prezzo dell’onestà, dell’imparare a
fronteggiare voi stessi e a vedere come vivete e come create sofferenza per voi
stessi e per gli altri, allora non ho molta fiducia in esse. Potete essere
intensamente concentrati a
conseguire la calma, ma se non riuscite a conoscere voi stessi, qualcosa si
insinuerà in voi e causerà sofferenza.
Non sono contro la relazione
guru-discepolo, se aiuta la gente a liberarsi. Ma non è quello il modello per
cui ho lavorato. Nella mia tradizione i Buddha semplicemente indicano la via e
tu devi percorrere il sentiero. Ecco ciò che tanto mi piacque nel Buddhismo fin
dall’inizio: è un sentiero di responsabilità. Mi considero un guardiano, un
portiere. Una persona dice: “Mi trovo intrappolato in questa stanza; sono molto
infelice”. Io indico la porta. La porta è nella mente. Dico alla gente che l’uscita
dalla loro sofferenza non è più distante del loro respiro. Sta nello stesso
luogo della sofferenza.
Ci sono alcune persone
straordinarie nel mondo, persone che hanno saputo svilupparsi in misura
notevole. Ma sono arrivate? La vita continua e ci sono sempre nuove sfide. Quindi
ho rispetto per l’abito e per il lignaggio ma non ne sono eccessivamente
impressionato. Tutto si riduce alla stessa cosa: eccoti qua, un essere umano,
sulle due tue gambe. Sai prenderti cura di te stesso?
Ciò che dà soddisfazione è
aiutare le persone a capire finalmente che, in ultima istanza, non c’è nessuno
a cui far riferimento, che tutto ciò di cui hanno bisogno sta dentro di loro:
vale a dire la loro capacità di essere autoconsapevoli e di imparare. In certi
casi so di aver fatto bene il mio lavoro proprio quando una persona non si fa
più vedere.
Una volta una donna si alzò e
disse a Krishnamurti: “Sa, sono quindici anni che vengo a sentire i suoi
discorsi e finalmente capisco quello che lei mi è venuto dicendo”. Egli chiese:
“Che cosa, signora?” Ed ella rispose: “Ciò che è venuto dicendo negli ultimi
quindici anni è che lei non può aiutarmi in nessun modo”. Ed egli disse: “Esattamente”.»
da una intervista a Larry
Rosenberg, fondatore e insegnante guida del Cambridge Insight Meditation Center
a Cambridge, Massachusetts. Tradotta e pubblicata su SATI, Rivista dell’Associazione
per la Meditazione di Consapevolezza, A.Me.Co, 1-2017