sabato 2 settembre 2017

To love, Amare











“To love is to give a space to grow”, maestro Zen Shōhaku Okumura

dal video Sit, di Yoko Okumura, dedicato allo Zen come cammino nella vita della famiglia Okumura.
















martedì 15 agosto 2017

Bashō e la rana





Dal blog Poesie senza pari riporto una mia poesia pubblicatavi il 9 agosto scorso:



BASHŌ E LA RANA

Un mattino il poeta Bashō
sentì una gran pace dentro
e invece di correre
a scrivere un haiku
si rilassò in quello che stava facendo
– stendere il bucato ad asciugare
sulla canna.
Fu in quel momento
che udì la rana tuffarsi
nel vecchio stagno: plof!


da AA. VV. Per una gentile compagna di viaggio, Dieci omaggi a Nancy Watkins, Fàmmera Edizioni, 2o17





domenica 23 luglio 2017

Viandanti del cuore





Siamo indifferenti o disattenti alle condizioni di mente e di cuore in cui viviamo abitualmente? Siamo divenuti insensibili all’orientamento dei nostri pensieri, alla loro pesantezza o tossicità? Diamo per scontati i nostri stati d’animo, ancorchè scoraggianti e deprimenti? Oppure la nostra ricerca “spirituale” si disinteressa e ha smesso da tempo di vedere il nostro aspetto fisico, il nostro portamento? E’ il momento di realizzare che le nostre intenzioni e motivazioni, le nostre riflessioni, sono connesse con l’ambiente interiore in cui viviamo, e anche quando non ne siamo consapevoli ne sono profondamente influenzate, in particolare se esso è segnato da negatività, abbandono, rassegnazione, sfiducia.
Molti sono i versi del Dhammapada, il classico libro della scuola del buddhismo antico, che ci richiamano alla realtà delle emozioni e dei modelli mentali in cui nel nostro viaggio nell’esistenza terrena possiamo restare impigliati e anche perderci, e di quel che ci offre sostegno e gioia. Leggendo il Dhammapada ci viene naturale vederci come viandanti del cuore, visualizzare le strade che percorriamo nel mondo come sono predisposte dalla nostra realtà mentale, dai suoi meccanismi, spesso inconsci, dalle abitudini, dalle distrazioni. E possiamo, grazie alla pratica di consapevolezza, realisticamente impegnarci a prenderci cura della mente-cuore, sostituire la trascuratezza con la sollecitudine, la paura e la negatività con l’intenzione positiva, l’ostilità con la gentilezza amorevole, e capiamo che da qui si diramano le strade che prendiamo.
Un noto insegnante di pratica della consapevolezza, Jack Kornfield, ha scritto un libro intitolato The Wise Heart in cui invita a praticare con fiducia la sostituzione di pensieri negativi con pensieri positivi. Raccomanda l’attenzione alle occasioni in cui i pensieri distruttivi emergono, qual è il bersaglio del loro criticismo, quali frasi utilizzano, da dove vengono queste frasi e che tipo di reazione generano nell’organismo, la vergogna, il giudizio devastante, la denigrazione sistematica. Una volta che la consapevolezza degli attacchi di negatività è sentita, Kornfield sollecita a crearsi un antidoto, due o tre semplici frasi che rovescino la falsità insita nei pensieri non salutari, “La vita è preziosa”, “Userò bene questo giorno”, o esprimano l’opposto della vergogna e dell’autosvalutazione, “Vivrò nobilmente e dignitosamente”, o l’opposto dell’ansia, “Vivrò con fiducia”. O potranno essere basate su espressioni desunte dalla pratica dell’amorevole gentilezza:
Che io possa amare me stesso proprio come sono.
Che io possa sentire in me il merito e il benessere.
Che io possa aver fiducia in questo mondo.
Che io possa aver compassione per me stesso.
Che io possa accogliere con compassione la sofferenza e l’ignoranza di altri.

A questo punto ogniqualvolta notiamo la presenza di pensieri distruttivi, inquinanti, ci fermiamo e intenzionalmente sentiamo la sofferenza che portano, tiriamo un respiro, tratteniamo il senso di sofferenza con gentilezza e poi mentalmente recitiamo le frasi che abbiamo scelto. Le ripetiamo comunque, che ne siamo o no convinti, come un antidoto alla sofferenza. Passerà del tempo prima che ci rendiamo conto che funzionano ma succederà. Forse sarà prima necessario passare attraverso più acute difficoltà e sofferenze ma succederà. Come semi che vengono piantati, insegna Kornfield, percepiamo con tenerezza ogni frase - come lasciando cadere semi di compassione e di cura nella nostra mente e corpo. Piantiamo queste frasi di gentilezza e piano piano, mentalmente, notiamo come la mente e il cuore diventino una fonte di nutrimento e di forza nel cammino.






giovedì 29 giugno 2017

It has been real




Una volta un amico americano di San Francisco, Kevin, un ragazzo che si manteneva agli studi di linguistica e di lingue facendo il carpentiere e che tra le sue molte abilità e risorse poteva contare uno spiccato entusiasmo per le culture native, mi invitò a un viaggio sul suo pickup, un camioncino con il retro scoperto che gli serviva anche per il lavoro, lungo la California del Nord, l’Oregon e lo stato di Washington.
Di questo viaggio memorabile per la bellezza della costa e della natura, la varietà del paesaggio e il carattere aperto verso tutte le direzioni di luoghi oceanici come Seattle mi colpì e mi resta in particolare il suono di una frase. Ci stavamo accommiatando da sua madre che ci aveva offerto la cena e il letto e Kevin la salutò con questa per me fino ad allora sconosciuta espressione: “It has been real” - il nostro incontro è avvenuto davvero, è stato reale.
Mi sembra un bel saluto e un augurio che dovrebbe accompagnare i nostri passi nella vita.
Augurio di vivere in contatto con la vita che scorre, essere più reali, sentirsi presenti momento per momento per quanti più momenti possiamo.  
Talvolta sembra che abbiamo paura di “essere reali” e ci riduciamo a ripetere schemi di incontro e clichè di presenza che nella loro fugace e distratta ripetitività sono rassicuranti.
Eppure la mente separata dal reale è spesso una mente isolata e impaurita, che giudica, critica, soffre. Può anche collezionare pensieri, esperienze e novità ma resta chiusa in se stessa, e nel proprio collezionismo.

Aprirsi con attenzione a quello che è così com’è rappresenta un momento di significativa trasformazione. L’attenzione crea una spaziosità interiore che non coincide con il conoscere intellettuale o il sapere questo e quello ma origina dall’esserci, dall’avere “abitato” quel luogo, da un contatto reale.





domenica 11 giugno 2017

Passare la vita nella propria testa







Una partecipante a un corso di meditazione scrisse all’insegnante, che era Frank Ostaseski: “Sempre più, con il passare del tempo, provo dispiacere: dispiacere per tutti gli anni che ho passato vivendo nella mia testa, giudicando, criticando e analizzando.”

da Cinque inviti di Frank Ostaseski, Mondadori











domenica 28 maggio 2017

Una lettera di Albert Einstein






Nel 1950 Albert Einstein scrisse una lettera a Robert E.Marcus, direttore del World Jewish Congress, il cui figlio era appena morto di poliomielite.

Egregio dottor Marcus,
un essere umano è parte di quel tutto che abbiamo battezzato «universo», una parte limitata nel tempo e nello spazio. Sperimenta se stesso, i propri pensieri e sentimenti come qualcosa di separato dal resto, una specie di illusione ottica della coscienza. La lotta per liberarsi da tale illusione è il solo scopo della vera religione. Non nutrire l’illusione ma cercare di sormontarla è il modo per raggiungere l’unica pace interiore che sia alla nostra portata.
Con i miei migliori auguri
Sinceramente suo,

Albert Einstein







sabato 13 maggio 2017

“Scegli il sentiero che ha un cuore”







«In uno dei suoi libri su Don Juan Castaneda chiede: “Come fai a sapere quale deve essere il tuo sentiero?”, e Don Juan risponde: “Scegli il sentiero che ha un cuore”, Castaneda replica: “Ma questo non è un sentiero particolarmente difficile?” E don Juan dice: “No, è negli altri [sentieri] che sta il difficile”. Ho scoperto che ciò è assolutamente vero.
(…)
Alla fine, nessun sentiero andrà bene al cento per cento. Farsi strada attraverso sentieri differenti, fare uso della propria innata saggezza e della propria consapevolezza, è parte della pratica. Il criterio che mi ha aiutato a decidere è l’originario criterio del Buddha: “Insegno soltanto la sofferenza e la fine della sofferenza”. Perciò chiedetevi: “Questo modo di vivere, questo metodo, questo insegnante, mi sta aiutando a liberarmi della mia sofferenza? La mia vita sta diventando meno pesante? Sto diventando meno egocentrico?”

Se non conoscete voi stessi, e intendo ciò al livello più ordinario, semplicemente ciò che vi piace e ciò che non vi piace, siete destinati a inciampare. I lunghi ritiri e le tecniche meditative sono cose belle e utili; ma se le usate a prezzo dell’onestà, dell’imparare a fronteggiare voi stessi e a vedere come vivete e come create sofferenza per voi stessi e per gli altri, allora non ho molta fiducia in esse. Potete essere intensamente concentrati a conseguire la calma, ma se non riuscite a conoscere voi stessi, qualcosa si insinuerà in voi e causerà sofferenza.

Non sono contro la relazione guru-discepolo, se aiuta la gente a liberarsi. Ma non è quello il modello per cui ho lavorato. Nella mia tradizione i Buddha semplicemente indicano la via e tu devi percorrere il sentiero. Ecco ciò che tanto mi piacque nel Buddhismo fin dall’inizio: è un sentiero di responsabilità. Mi considero un guardiano, un portiere. Una persona dice: “Mi trovo intrappolato in questa stanza; sono molto infelice”. Io indico la porta. La porta è nella mente. Dico alla gente che l’uscita dalla loro sofferenza non è più distante del loro respiro. Sta nello stesso luogo della sofferenza.

Ci sono alcune persone straordinarie nel mondo, persone che hanno saputo svilupparsi in misura notevole. Ma sono arrivate? La vita continua e ci sono sempre nuove sfide. Quindi ho rispetto per l’abito e per il lignaggio ma non ne sono eccessivamente impressionato. Tutto si riduce alla stessa cosa: eccoti qua, un essere umano, sulle due tue gambe. Sai prenderti cura di te stesso?

Ciò che dà soddisfazione è aiutare le persone a capire finalmente che, in ultima istanza, non c’è nessuno a cui far riferimento, che tutto ciò di cui hanno bisogno sta dentro di loro: vale a dire la loro capacità di essere autoconsapevoli e di imparare. In certi casi so di aver fatto bene il mio lavoro proprio quando una persona non si fa più vedere.

Una volta una donna si alzò e disse a Krishnamurti: “Sa, sono quindici anni che vengo a sentire i suoi discorsi e finalmente capisco quello che lei mi è venuto dicendo”. Egli chiese: “Che cosa, signora?” Ed ella rispose: “Ciò che è venuto dicendo negli ultimi quindici anni è che lei non può aiutarmi in nessun modo”. Ed egli disse: “Esattamente”.»


da una intervista a Larry Rosenberg, fondatore e insegnante guida del Cambridge Insight Meditation Center a Cambridge, Massachusetts. Tradotta e pubblicata su SATI, Rivista dell’Associazione per la Meditazione di Consapevolezza, A.Me.Co, 1-2017