lunedì 4 febbraio 2019

Umani e animali









"Le Upanishads e le scritture dicono che gli esseri umani sono solo animali se non sono esseri realizzati. Forse sono anche peggio."
da Talks With Sri Ramana Maharshi, p.81





sabato 26 gennaio 2019

Come sorge la felicità









“La retta intenzione è un’espressione dell’aspirazione a non generare mai sofferenza, un’aspirazione a trattare noi stessi e gli altri nel modo più compassionevole e gentile possibile. La pratica della retta intenzione ci consente di osservare come la felicità stessa sorge dall’opportunità di lasciare andare la bramosia, l’avidità e l’avversione e coltivare con più fiducia la capacità di vivere in una maniera che sia in grado di sostenerci e portarci beneficio.”

di Patricia Feldman Genoud, da SATI anno XXV, n.1 / 2016, pag.31

















domenica 20 gennaio 2019

Forza e debolezza








Chi ha rinunciato
all’uso della forza
nel rapporto con gli altri
deboli o forti che siano
chi non uccide né fa uccidere
è da ritenere un grande essere.
  Dhammapada strofa 405

La delicatezza con cui terremmo un bambino piccolo chiaramente non è un segno di debolezza. La sensibilità con cui ascolteremmo un amico che ha subito una perdita ugualmente non sarebbe ritenuta una debolezza. Comportarsi con umiltà riconoscendo la parte che possiamo aver avuto nel contribuire alla sofferenza di altre persone ugualmente non sarebbe, si spera, considerata un segno di debolezza. Ciò che talvolta viene visto come debolezza è di fatto forza. Al contrario, nascondersi dietro un’ostentazione di invulnerabilità, rifiutarsi di chiedere aiuto quando è chiaro che ne abbiamo bisogno, essere incapaci di provare empatia di fronte al dolore degli altri, queste sono di fatto forme di debolezza a cui gioverebbe un’accurata attenzione. 

Commento al Dhammapada di Achaan Munindo
Traduzione dall'inglese di Chandra Candiani
[Pubblicazione a cura del Monastero buddhista Santacittarama
Localita Brulla, Poggio Nativo, Rieti 02030]






lunedì 14 gennaio 2019

Il seme dell'amarezza











Quanto male fanno le parole non buone, che non nascono dall’attenzione e dalla benevolenza nè dalla fiducia e creano molti equivoci e pregiudizi. Parole intrise di amarezza che lasciano l’amaro in bocca.
Eppure ricordandole spesso siamo presi da una torpida indulgenza nei nostri stessi confronti, come fossimo in diritto di dire certe frasi in nome del fatto che in fondo non ci crediamo veramente, che abbiamo parlato per inerzia, che ci siamo lasciati catturare dal discorso...
Quando poi la sensazione di gravità di quanto abbiamo detto ci colpisce, possiamo scoprire di essere già stati presi dall’urgenza del condono, del fare ammenda, e già inconsapevolmente spinti alla ricerca di meriti o distrazioni che cancellino il nostro disagio.
In questo modo tuttavia sciupiamo una occasione preziosa.
Il seme dell’amarezza può dare buoni frutti ma ha bisogno di essere pienamente accolto e compreso nel suo movimento che nega la realtà.

domenica 6 gennaio 2019

Valutare un'esperienza





"Hai studiato il Buddhismo e come hai detto ti ha impressionato più di qualunque altra religione così che ha avuto luogo il processo di condizionamento. Quel condizionamento -dice Jiddu Krishnamurti- può aver proiettato la figura anche se la mente cosciente era occupata con una materia completamente diversa. Inoltre essendo stata la tua mente resa acuta e sensibile dalla modalità della tua vita, e dalla discussione che stavi avendo con i tuoi amici, forse hai visto "pensiero" rivestito in una forma Buddhista.
Non ti ha rivelato il modo lavorativo della tua stessa mente e sei diventato prigioniero di quella esperienza. Ogni esperienza ha significato quando con essa arriva la conoscenza di sè, che è l'unico fattore di liberazione e di integrazione, ma senza conoscenza di sè l'esperienza è un peso che apre la strada a ogni forma di illusione."
da Krishnamurti, Valuing an Experience












sabato 22 dicembre 2018

Ehi, vieni fuori dal bozzolo!







In tanti siamo portati dall'egocentrismo e dall’autoreferenzialità a trascurare l’attenzione alla qualità della presenza consapevole nelle relazioni con familiari, amici, compagni di pratica, colleghi e a concentrarci con maggiore o minore devozione sul nostro bozzolo. E qualcuno di noi ha la capacità di imbozzolarsi così impermeabilmente da non percepire più la presenza altrui se non quando la propria è ormai per gli altri diventata una assenza. E’ proprio il caso di ripetersi più frequentemente l’invito della maestra Pema Chōdrōn: “Datti una chance di venir fuori dal tuo bozzolo.”
La pratica della meditazione se non è una fuga dal mondo o un desiderio di rinascita fondato su respingimenti e rifiuti di qualcosa di noi stessi che non ci piace, potrebbe rappresentare un mezzo abile nelle nostre mani e una buona occasione per aprirsi alla vita.

«Siamo creature di sensazioni e possiamo diventare habitués di particolari sensazioni preferite (di qualunque tipo) e pronti a smuovere cielo e terra per procurarcene l’esperienza» ha detto John Garrie, maestro zen.
Con la coltivazione della consapevolezza possiamo capire come, portati dalla lunga familiarità con le sensazioni preferite, siamo condizionati a incrementarne la frequenza e l’intensità. E così trascuriamo l'attenzione alle facce più creative e innovative della nostra esperienza, l’esplorazione delle nostre potenzialità, e il coraggio di uscire dal chiuso di abitudini e di paure. 
“Vieni fuori dal bozzolo!”, "Che io possa uscire dal mio bozzolo", ecco  l'augurio che faremmo bene a rivolgere a noi stessi per il Natale e il Nuovo Anno!







lunedì 3 dicembre 2018

La perfezione











La perfezione non è necessariamente impeccabile.
Spesso è semplicemente qualcosa fatta col cuore.
Perfezione è un lavoro completato,
una gloria resa, una preghiera ascoltata.
Può essere un gesto gentile,
dei ringraziamenti.
Perfezione è ciò che scopriamo gli uni negli altri
quello che poi vediamo riflesso.
E se la perfezione ci sfugge
non importa.
Perché ciò che viviamo
nel momento è sufficiente.

da Call the Midwife, una serie di film tratta dal libro omonimo scritto da Jennifer Worth, prodotta da Netflix