domenica 23 febbraio 2014

La più bella stagione della tua vita





Dieci mila fiori in primavera
la luna in autunno
una fresca brezza in estate
neve in inverno.
 
 
Se la tua mente non è coperta dalla nuvola
delle cose non necessarie
questa è la più bella stagione della tua vita.
 
 
 
Wu-wen, Maestro Zen Cinese (in giapponese Mumon) 1183-1260

sabato 15 febbraio 2014

I cani di Sarajevo





 


Il numero dei cani randagi in Sarajevo ha superato gli 11 mila, secondo i media della Bosnia, e i cani, accusati di aggredire gli uomini e di causare malattie infettive nella capitale della Bosnia-Erzegovina e tra i suoi trecentomila abitanti, sono oggetto di una campagna che mira a cancellare le leggi sulla protezione degli animali, rendendo legale la loro eliminazione 15 giorni dopo la cattura, prima che possano essere adottati o aiutati da organizzazioni per la protezione degli animali.

Due anni fa il giovane regista bosniaco Damir Janacek realizzò un documentario intitolato Kinofil che rivelava l’enorme giro di denaro legato all’uccisione dei cani randagi. Attivisti di SOS Bosnia (una associazione per la prevenzione della crudeltà nei confronti degli animali) parlano nel film delle torture e delle uccisioni di massa dei cani a Sarajevo e del loro proprio calvario per mano delle persone coinvolte in questo massacro, che ricevono un premio per ogni animale abbattuto. Talvolta i cani sono picchiati a morte o subiscono iniezioni di clorina direttamente nel cuore. I cani sono anche uccisi in strada, a colpi d’arma da fuoco, avvelenati o bastonati con mazze da baseball.

Meno di venti anni fa dopo la fine della Guerra e gli accordi di Dayton, le memorie di quelle sofferenze sono ancora vive in Bosnia e Erzegovina -come anche il sentimento dell’assenza di valore della vita umana. Ma -si obietta- se la vita umana è senza valore, come potrebbe riconoscersi valore alla vita di un cane? Certo, la povertà, l’impotenza e il sentimento di non avere futuro contribuiscono alla barbarie: ma perché molti cittadini, persino ragazzi, diventano indifferenti alla brutalità verso i cani?

La risposta non è solo psicologica ma anche fattuale: la società non riconosce colpevoli gli autori di questo massacro e non li punisce perchè le vittime sono animali. In assenza di punizione, la colpa diffonde un specie di infezione che è molto più pericolosa di ogni infezione attribuita alla presenza dei cani randagi -essa infatti crea indifferenza e porta alla disumanizzazione della società.

Kinofil racconta di questa disumanizzazione. E indica nella corruzione e nell’assenza della legge la base della crudeltà. Il destino dei cani randagi sembra una metafora adeguata alla situazione della Bosnia-Erzegovina: se lo stato non funziona a livello dei cani, non può funzionare neppure al livello degli uomini. L’attitudine nei confronti dei cani riflette anche l’attitudine nei confronti di quanti sono deboli, privi di difese, diversi.

da “I cani di Sarajevo” di Slavenka Drakulic (pubblicato su Eurozine Newsletter 02/2014)
Il film "Kinofil" è su YouTube

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In aggiunta, riflettiamo su quanto diceva Sri Nisargadatta Maharaj in una delle conversazioni con visitatori che arrivavano a Mumbai da ogni dove per ascoltarne gli insegnamenti:

“E’ nella natura dell’amore di esprimersi, di affermarsi, di superare le difficoltà. Una volta capito che il mondo è amore in azione, guarderai ad esso in modo diverso. Ma prima deve cambiare la tua attitudine nei confronti della sofferenza. La sofferenza è in primo luogo richiesta di attenzione, che è in se stessa un movimento di amore. Più che felicità, amore vuole crescita, allargamento e approfondimento di coscienza e di essere. (…) Ogni volta che amore viene negato e si permette che la sofferenza si diffonda, la guerra diventa inevitabile. La nostra indifferenza al dolore del nostro vicino porta la sofferenza alla nostra porta.”


"Prima deve cambiare la tua attitudine nei confronti della sofferenza." La sofferenza non può essere regolamentata dalla legge dei pronomi possessivi -la "mia", la "tua", la "nostra", la "loro"- e quando cerchiamo di ricacciare la sofferenza dentro gli steccati dei pronomi possessivi, per tenercene distanti, per controllarla, negando attenzione, "la guerra diventa inevitabile".

Allora "la nostra indifferenza al dolore del nostro vicino porta la sofferenza alla nostra porta", e il nostro vicino è l'essere vivente che chiede attenzione. 



 

sabato 8 febbraio 2014

Nel nostro tempo





Nel nostro tempo afflitto dall’ansia e povero di slanci, è forte la spinta a rifugiarsi dentro l'algido rigore del calcolo costi-ricavi (se faccio tanto, mi dà quanto? se investo in questo o in quello, a quando i frutti dell’investimento?) e in rapporti di dominio indiscutibili, in cui il dominato deve dare sicurezza contro la paura del fallimento, dell'incertezza e della morte.
 
Si sente qui e ora con più forza il valore di essere svegli e interiormente aperti a semplicità, pazienza e compassione.





sabato 1 febbraio 2014

Lettera su preoccupazione e paura



Quando provo a parlare delle mie paure e delle mie preoccupazioni, percepisco che alla maggioranza dei miei interlocutori non importa quello che sto dicendo, e che per una ragione o per un’altra viene sminuito. Attualmente, il mio problema principale è il lavoro, e non ti nascondo che mi dispiace quando viene svalutato. Mi chiedo, come fanno a non capire che senza un qualche lavoro non si può vivere? Che una persona ha fatto tanti sacrifici per studiare e andare avanti nonostante tutto, e si ritrova senza niente? Innanzitutto penso che i miei interlocutori siano indifferenti alla condizione altrui, poi forse non sono consapevoli della gravità della situazione, oppure lo sono ma non è un loro problema poiché il lavoro ce l’hanno oppure vivono di rendita.


La tua lettera mi ha ricordato un discorso di Jiddu Krishnamurti, tenuto a Ojai in California nel maggio del 1982, che concerne la paura, e anche le preoccupazioni che alla paura e alla fuga spianano la strada.
Krishnamurti elenca vari tipi di paura: di non avere soddisfazione, di "non diventare", paura di non trovare lavoro, paura del buio, della morte, paura di vivere. 
"E quando c’è paura -sottolinea- c’è oscurità e fuga da quella oscurità -e allora la fuga diventa più importante che la paura stessa."
Questo aspetto mi pare debba essere compreso in profondità: fuggendo, per paura, si prendono strade rischiose e si possono fare azioni molto dannose.

"Ma la paura rimane. La paura può essere una delle ragioni della guerra, di uccidersi l’un l’altro. Nessun intervento esterno può risolvere il problema della paura."
A questo punto Krishnamurti invita come suo solito a una esplorazione diretta, alla meditazione, a chiedersi in maniera ripetuta e continua, che cosa è o potrebbe essere implicato nella paura, e ciascuno deve sentirsi interrogato in prima persona. E dice:
"Quando ti confronti con un altro, ideologicamente, psicologicamente, o anche fisicamente, c’è lo sforzo di diventare quello e la paura di non farcela. E’ il desiderio di appagamento e tu potresti non essere in grado di trovare appagamento. Dove c’è confronto lì c’è paura.
E’ possibile -domanda Krishnamurti- vivere senza confronto, e senza confrontarsi? C’è costante confronto in atto. E’ una delle cause della paura?
E’ ovvio.
E dove c’è comparazione lì deve esserci conformità. Deve esserci imitazione all'interno di sé. Paragonare, conformarsi, imitare- sono cause che contribuiscono alla paura? E si può vivere senza fare paragoni, imitare, conformarsi psicologicamente?
Certamente.
Se quelli sono fattori che contribuiscono alla paura e sei interessato alla fine della paura, allora interiormente non c’è comparazione, che significa non c’è divenire. La comparazione comprende, il vero significato del paragonare sta nel voler divenire quel che ritieni sia migliore, o più alto, più nobile e così via."
Krishnamurti conclude ripetendo la domanda che è rivolta a ognuno -e ci ricorda che non dobbiamo aderire a una teoria o a una tradizione ma svolgere in proprio una investigazione quanto mai urgente e indispensabile, eppure così trascurata: paragonarci all'altro, imitare, conformarsi sono uno dei fattori o il fattore della paura?
"Se questi sono i fattori, allora, quando la mente li vede come cause della paura, il fatto stesso di percepirli come tali porta alla cessazione di questi fattori che contribuiscono alla paura".
Naturalmente questo vedere non è mera conoscenza intellettuale, ma è inteso come un percepire, come un esperire che porta alla cessazione della paura.