Quando provo a
parlare delle mie paure e delle mie preoccupazioni, percepisco che alla
maggioranza dei miei interlocutori non importa quello che sto dicendo, e che per una ragione o per un’altra viene sminuito. Attualmente,
il mio problema principale è il lavoro, e non ti nascondo che mi dispiace
quando viene svalutato. Mi chiedo, come fanno a non capire che senza un
qualche lavoro non si può vivere? Che una persona ha
fatto tanti sacrifici per studiare e andare avanti nonostante tutto, e si
ritrova senza niente? Innanzitutto penso che i miei interlocutori siano indifferenti alla condizione
altrui, poi forse non sono consapevoli della gravità della situazione,
oppure lo sono ma non è un loro problema poiché il lavoro ce l’hanno
oppure vivono di rendita.
La tua lettera mi ha ricordato un discorso di Jiddu Krishnamurti, tenuto a Ojai in California nel maggio del 1982, che concerne la paura, e anche le preoccupazioni che alla paura e alla fuga spianano la strada.
Krishnamurti elenca vari tipi di paura: di non avere soddisfazione, di "non diventare", paura di non trovare lavoro,
paura del buio, della morte, paura di vivere.
"E quando c’è
paura -sottolinea- c’è oscurità e fuga da quella oscurità -e allora la fuga diventa più
importante che la paura stessa."
Questo aspetto mi pare debba essere compreso in profondità:
fuggendo, per paura, si prendono strade rischiose e si possono fare azioni molto dannose.
"Ma la paura
rimane. La paura può essere una delle ragioni della guerra, di uccidersi l’un l’altro.
Nessun intervento esterno può risolvere il problema della paura."
A questo punto Krishnamurti invita come suo solito a una esplorazione diretta, alla meditazione, a chiedersi in maniera ripetuta e continua, che cosa è o potrebbe essere implicato nella paura, e ciascuno deve sentirsi interrogato in prima persona. E dice:
"Quando ti confronti
con un altro, ideologicamente, psicologicamente, o anche fisicamente, c’è lo
sforzo di diventare quello e la paura di non farcela. E’ il desiderio di
appagamento e tu potresti non essere in grado di trovare appagamento. Dove c’è
confronto lì c’è paura.
E’ possibile -domanda Krishnamurti-
vivere senza confronto, e senza confrontarsi? C’è costante confronto in
atto. E’ una delle cause della paura?
E’ ovvio.
E dove c’è comparazione
lì deve esserci conformità. Deve esserci imitazione all'interno di sé. Paragonare,
conformarsi, imitare- sono cause che contribuiscono alla paura? E si può vivere
senza fare paragoni, imitare, conformarsi psicologicamente?
Certamente.
Se quelli sono
fattori che contribuiscono alla paura e sei interessato alla fine della paura,
allora interiormente non c’è comparazione, che significa non c’è divenire. La comparazione
comprende, il vero significato del paragonare sta nel voler divenire quel che
ritieni sia migliore, o più alto, più nobile e così via."
Krishnamurti conclude ripetendo la domanda che è rivolta a ognuno -e ci ricorda che non dobbiamo aderire a una teoria o a una tradizione ma svolgere in proprio una investigazione quanto mai urgente e indispensabile, eppure così trascurata: paragonarci all'altro, imitare, conformarsi sono uno dei fattori o il
fattore della paura?
"Se questi sono i fattori, allora, quando la mente li vede come cause della paura, il fatto stesso di percepirli come tali porta alla
cessazione di questi fattori che contribuiscono alla paura".
Naturalmente questo vedere non è mera conoscenza intellettuale, ma è inteso come un percepire, come un esperire che porta alla cessazione della paura.