sabato 1 febbraio 2014

Lettera su preoccupazione e paura



Quando provo a parlare delle mie paure e delle mie preoccupazioni, percepisco che alla maggioranza dei miei interlocutori non importa quello che sto dicendo, e che per una ragione o per un’altra viene sminuito. Attualmente, il mio problema principale è il lavoro, e non ti nascondo che mi dispiace quando viene svalutato. Mi chiedo, come fanno a non capire che senza un qualche lavoro non si può vivere? Che una persona ha fatto tanti sacrifici per studiare e andare avanti nonostante tutto, e si ritrova senza niente? Innanzitutto penso che i miei interlocutori siano indifferenti alla condizione altrui, poi forse non sono consapevoli della gravità della situazione, oppure lo sono ma non è un loro problema poiché il lavoro ce l’hanno oppure vivono di rendita.


La tua lettera mi ha ricordato un discorso di Jiddu Krishnamurti, tenuto a Ojai in California nel maggio del 1982, che concerne la paura, e anche le preoccupazioni che alla paura e alla fuga spianano la strada.
Krishnamurti elenca vari tipi di paura: di non avere soddisfazione, di "non diventare", paura di non trovare lavoro, paura del buio, della morte, paura di vivere. 
"E quando c’è paura -sottolinea- c’è oscurità e fuga da quella oscurità -e allora la fuga diventa più importante che la paura stessa."
Questo aspetto mi pare debba essere compreso in profondità: fuggendo, per paura, si prendono strade rischiose e si possono fare azioni molto dannose.

"Ma la paura rimane. La paura può essere una delle ragioni della guerra, di uccidersi l’un l’altro. Nessun intervento esterno può risolvere il problema della paura."
A questo punto Krishnamurti invita come suo solito a una esplorazione diretta, alla meditazione, a chiedersi in maniera ripetuta e continua, che cosa è o potrebbe essere implicato nella paura, e ciascuno deve sentirsi interrogato in prima persona. E dice:
"Quando ti confronti con un altro, ideologicamente, psicologicamente, o anche fisicamente, c’è lo sforzo di diventare quello e la paura di non farcela. E’ il desiderio di appagamento e tu potresti non essere in grado di trovare appagamento. Dove c’è confronto lì c’è paura.
E’ possibile -domanda Krishnamurti- vivere senza confronto, e senza confrontarsi? C’è costante confronto in atto. E’ una delle cause della paura?
E’ ovvio.
E dove c’è comparazione lì deve esserci conformità. Deve esserci imitazione all'interno di sé. Paragonare, conformarsi, imitare- sono cause che contribuiscono alla paura? E si può vivere senza fare paragoni, imitare, conformarsi psicologicamente?
Certamente.
Se quelli sono fattori che contribuiscono alla paura e sei interessato alla fine della paura, allora interiormente non c’è comparazione, che significa non c’è divenire. La comparazione comprende, il vero significato del paragonare sta nel voler divenire quel che ritieni sia migliore, o più alto, più nobile e così via."
Krishnamurti conclude ripetendo la domanda che è rivolta a ognuno -e ci ricorda che non dobbiamo aderire a una teoria o a una tradizione ma svolgere in proprio una investigazione quanto mai urgente e indispensabile, eppure così trascurata: paragonarci all'altro, imitare, conformarsi sono uno dei fattori o il fattore della paura?
"Se questi sono i fattori, allora, quando la mente li vede come cause della paura, il fatto stesso di percepirli come tali porta alla cessazione di questi fattori che contribuiscono alla paura".
Naturalmente questo vedere non è mera conoscenza intellettuale, ma è inteso come un percepire, come un esperire che porta alla cessazione della paura. 



7 commenti:

  1. Paura

    torno sempre ossessivo
    a un non luogo,
    ricondotto al suo centro
    da impulsi che ignoro:
    una inconscia incessante
    ricerca d' altrove, mi rende
    dovunque un estraneo:
    una sorta di ferma
    sgomenta in/coscienza
    che forse rinnova,
    la perduta armonia con il vuoto.

    Cercavo di esprimere il concetto
    che la paura va ''oltre'' il raffronto
    ed è venuta una specie di poesia...
    se dal tuo blog scaturiscono poesie
    sei sulla buona strada....un abbraccio
    il tuo amico da scoprire

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  2. carissimo amico,
    grazie per la poesia, il commento e l'incoraggiamento
    Michele

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  3. Grazie a te per il tuo lavoro... in quanto alla poesia scherzavo...sapessi scrivere cosi avrei trovatol mio centro... piuttosto ..se posso ossequiare il mio ruolo di rompi scatole voglio farti osservare che non hai mai dedicato la tua attenzione all umorismo... e sono sicuro che ci potresti allettare con qualche tua perla
    ..il tu a d s

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  4. Moltissime grazie per l’opportuno richiamo all’umorismo. Consiglio in questo senso il post intitolato “Il pronome possessivo” tratto dalle “Lettere di Berlicche” di Clive Staple Lewis, l’autore delle “Cronache di Narnia”.
    E a proposito di “trovare un centro”, proprio Krishnamurti, in un discorso tenuto a Madras nel 1979 e intitolato “Può un problema essere risolto non appena sorge?” (vedi YouTube) avverte: “Perché viviamo con i problemi? Rifiutate di accettare i problemi. I problemi sorgono finchè c’è un centro. Non avere centro significa non avere problema. Osservate cosa è implicato in questo. Finchè c’è un ‘me’ con un centro, devo avere problemi. E’possibile vivere in un mondo moderno, con moglie o con marito, figli, lavoro, ecc. e avendo da agire ogni momento, senza avere un ‘centro’? Quando agisci da un centro stai introducendo tutto il problema. Una mente che ha funzionato da un centro ha creato innumerevoli problemi economicamente, socialmente e nelle relazioni, intime e no.”
    Possiamo riflettere insieme su cosa significa agire da un centro?

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  5. Non sono in grado di fare altro che ringraziarti per questa nuova "apertura ' ...forse è nello spiritostesso della poesia...potrò dirti solo dopo aver meditato le mie impressioni...cercando di nontediarti ciao mik a d s

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  6. Caro Michele dovrai scusarmi se uso questo spazio per un chiarimento non riconducibile a commento di un post Ovviamente non ho la capacità che tu hai acquisito, di trattare argomenti complessi nello spazio e nei tempi adatti ad un blog, ma rileggendo questo nostro ultimo ' scambio ' mi trovo più confuso di quanto sia dato esserlo e sono.
    - Quando definisco il mio tentativo di ' spiegare ' il sentimento della paura
    ' una specie di poesia ' non intendevo nel senso letterario : del resto mal si coniuga il verbo ' spiegare ' con la poesia : mi riferivo alla forma che cerca nella massima stringatezza di raccontare nei suoi nodi essenziali non un fatto bensì un sentimento...( mi viene da pensare a ' nodi ' di Laing che a suo tempo apprezzai ma non ho mai considerato poesia ).
    - Quando dico ' sapessi scrivere così avrei trovato il mio centro ' mi riferivo alla modalità e non al risultato : una efficace capacità di sintesi all ' impronta in tempi e spazi da smart phone...
    - Quando dico ' centro ' non intendo centro del ' me ' ma di un centro che ' alberga ' in me come un clandestino ed io cerco di scovare, e tanto mi prende la sua ricerca che mi rende estraneo a qualsiasi circostanza possa vivere e ho vissuto.
    Dunque...il livello di confusione che ho generato era ( e resta ? ) molto alto :avrebbe aiutato una sfumatura di umorismo per argomenti al contempo così pesanti e volatili...non vorrei prendermi troppo sul serio... fortunatamente assolve a questo compito il mio clandestino...
    a d s

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  7. Grazie per i chiarimenti, mi sono stati molto utili, e ne riparleremo, ciao Michele

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