Il numero dei cani
randagi in Sarajevo ha superato gli 11 mila, secondo i media della Bosnia, e i
cani, accusati di aggredire gli uomini e di causare malattie infettive nella
capitale della Bosnia-Erzegovina e tra i suoi trecentomila abitanti, sono
oggetto di una campagna che mira a cancellare le leggi sulla protezione degli
animali, rendendo legale la loro eliminazione 15 giorni dopo la cattura, prima
che possano essere adottati o aiutati da organizzazioni per la protezione degli
animali.
Due anni fa il giovane
regista bosniaco Damir Janacek realizzò un documentario intitolato Kinofil che rivelava l’enorme giro di
denaro legato all’uccisione dei cani randagi. Attivisti di SOS Bosnia (una associazione per la prevenzione della crudeltà nei
confronti degli animali) parlano nel film delle torture e delle uccisioni di
massa dei cani a Sarajevo e del loro proprio calvario per mano delle persone
coinvolte in questo massacro, che ricevono un premio per ogni animale abbattuto. Talvolta
i cani sono picchiati a morte o subiscono iniezioni di clorina direttamente nel
cuore. I cani sono anche uccisi in strada, a colpi d’arma da fuoco, avvelenati
o bastonati con mazze da baseball.
Meno di venti anni fa
dopo la fine della Guerra e gli accordi di Dayton, le memorie di quelle sofferenze sono
ancora vive in Bosnia e Erzegovina -come anche il sentimento dell’assenza di
valore della vita umana. Ma -si obietta- se la vita umana è senza
valore, come potrebbe riconoscersi valore alla vita di un cane? Certo, la
povertà, l’impotenza e il sentimento di non avere futuro contribuiscono alla
barbarie: ma perché molti cittadini, persino ragazzi, diventano indifferenti
alla brutalità verso i cani?
La risposta non è solo
psicologica ma anche fattuale: la società non riconosce colpevoli gli autori di
questo massacro e non li punisce perchè le vittime sono animali. In assenza di
punizione, la colpa diffonde un specie di infezione che è molto più pericolosa
di ogni infezione attribuita alla presenza dei cani randagi -essa infatti crea
indifferenza e porta alla disumanizzazione della società.
Kinofil racconta di questa disumanizzazione. E indica nella corruzione e nell’assenza della legge la base della crudeltà. Il destino dei cani randagi sembra una metafora adeguata alla situazione della Bosnia-Erzegovina: se lo stato non funziona a livello dei cani, non può funzionare neppure al livello degli uomini. L’attitudine nei confronti dei cani riflette anche l’attitudine nei confronti di quanti sono deboli, privi di difese, diversi.
da “I cani di Sarajevo” di Slavenka Drakulic (pubblicato su Eurozine Newsletter 02/2014)
Il film "Kinofil" è su YouTube
Kinofil racconta di questa disumanizzazione. E indica nella corruzione e nell’assenza della legge la base della crudeltà. Il destino dei cani randagi sembra una metafora adeguata alla situazione della Bosnia-Erzegovina: se lo stato non funziona a livello dei cani, non può funzionare neppure al livello degli uomini. L’attitudine nei confronti dei cani riflette anche l’attitudine nei confronti di quanti sono deboli, privi di difese, diversi.
da “I cani di Sarajevo” di Slavenka Drakulic (pubblicato su Eurozine Newsletter 02/2014)
Il film "Kinofil" è su YouTube
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“E’ nella natura dell’amore di esprimersi, di affermarsi, di superare le difficoltà. Una volta capito che il mondo è amore in azione, guarderai ad esso in modo diverso. Ma prima deve cambiare la tua attitudine nei confronti della sofferenza. La sofferenza è in primo luogo richiesta di attenzione, che è in se stessa un movimento di amore. Più che felicità, amore vuole crescita, allargamento e approfondimento di coscienza e di essere. (…) Ogni volta che amore viene negato e si permette che la sofferenza si diffonda, la guerra diventa inevitabile. La nostra indifferenza al dolore del nostro vicino porta la sofferenza alla nostra porta.”
"Prima deve cambiare la tua attitudine nei confronti della sofferenza." La sofferenza non può essere regolamentata dalla legge dei pronomi possessivi -la "mia", la "tua", la "nostra", la "loro"- e quando cerchiamo di ricacciare la sofferenza dentro gli steccati dei pronomi possessivi, per tenercene distanti, per controllarla, negando attenzione, "la guerra diventa inevitabile".
Allora "la nostra indifferenza al dolore del nostro vicino porta la sofferenza alla nostra porta", e il nostro vicino è l'essere vivente che chiede attenzione.
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