venerdì 11 luglio 2014

Lettera riguardo a rabbia e paura della propria rabbia








 
Ultimamente la rabbia è l'oggetto principale della mia pratica. Mi trovo spesso a riflettere sulle condizioni e sulle situazioni che generano in me questo sentimento e cerco di stare attenta anche alle sensazioni che la rabbia mi suscita a livello fisico: aumento del battito cardiaco, il classico "sangue che sale alla testa", lo stomaco contratto e l'incapacità di stare ferma, una grande irrequietezza.
Intuitivamente comprendo la necessità di accogliere e accettare la rabbia e la sofferenza per potermene liberare, ma nei fatti non riesco ad attuare questo proposito, perchè ne ho paura.

E se accettando e accogliendo non riuscissi poi a "lasciar andare"?

E se finissi, con impotente e confusa consapevolezza, per crogiolarmi e riscaldarmi al fuoco della rabbia, che è comunque una fonte di energia, seppur negativa e distruttiva?

So di non poter avere la risposta a queste domande se non provando, praticando con pazienza e amorevole compassione, ma devo dire che sono ancora lontanissima dalla meta (o meglio dal mio nuovo inizio), almeno per quanto riguarda la rabbia generata da certe particolari situazioni personali. Lontanissima ma fiduciosa.

 

Quando c'è fiducia e sincerità potremmo essere meno lontani di quel che pensiamo.
La rabbia che non può essere lasciata andare è quella con cui ci identifichiamo, e fino a quando questa identificazione resta continuiamo a credere ciecamente nelle sensazioni di forza, di autorità, e di indignata rettitudine che la rabbia offre, magari ci piace incutere timore agli altri, ci piace avere il sopravvento, o esercitare un “giusto sdegno di alto profilo", mentre non ci piacciono calma, tranquillità, equanimità, le consideriamo cose da deboli, da sconfitti, da rassegnati, non le capiamo, e crediamo sia meglio starne alla larga.  

Un altro tipo di rabbia che non può essere lasciata andare è quella di cui non siamo consapevoli, quella che c’è, e che si radica e cresce in noi inosservata. Talvolta questo avviene quando ci siamo convinti o siamo stati convinti che non possiamo e non dobbiamo essere arrabbiati, che non abbiamo nulla di cui essere arrabbiati, e che dobbiamo ricacciare indietro anche il sospetto che sia così perché altrimenti correremmo il rischio di dar corpo e vita alle ombre. Sopprimere e nascondere.
Però quel che è ignorato, come ciò a cui siamo attaccati, resta lì dov’è, mentre il vedere la rabbia è il primo passo per liberarsene.

Come tu dici, certe volte sappiamo che c’è rabbia e proviamo paura della rabbia che cova in noi, il che può anche utilmente funzionare come misura di sicurezza, perché la rabbia può essere temibile e anche terribile.

Possiamo tuttavia provare a portare l’attenzione al sorgere della rabbia e al suo alternarsi o con-fondersi con la paura che la rabbia prenda possesso e ci domini: paura che protegge la rabbia che può essere eliminata solo avendone diretta e pratica consapevolezza.

Quello che dobbiamo fare è mantenere una vigile attenzione, nutrendola di fiducia. Quando percepiamo l’emozione, diamo un nome: rabbia o paura, che la rabbia ci possa piacere e dominare, e restiamo in contatto con l’emozione fino a quando questo stato cessa. E quando si ripresenta operiamo nello stesso modo. Talvolta tra la sensazione dell’emozione e l’attuale manifestarsi della rabbia passa solo una frazione di secondo, possiamo aiutarci comunque: sapendo che in certe situazioni familiari o sociali siamo inclini alla rabbia possiamo giocare d’anticipo. Inoltre talvolta l’esplosione di rabbia è preceduta da una sorta di ruminazione interiore che la prepara e che ci predispone, e anche ci avverte di quello che sta maturando. Sosteniamo allora l’attenzione inviando amorevole benevolenza a noi stessi: che io possa essere libero dalla paura della rabbia, che io possa essere paziente e calmo, che io possa lasciar andare questa paura della rabbia. Che io possa, alla luce della consapevolezza, vedere la rabbia e la paura della rabbia per quello che sono. Non potenze o divinità cui inchinarsi e sacrificare, bensì attaccamenti, abitudini, condizionamenti, delusioni e illusioni.
 
 
 
 

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