Difficile non è essere gentili
e simpatetici con chi sta modestamente al suo posto e
con lui non si è tentati dalla rabbia e presi dall’emozione dell’offesa al proprio
onore e stato, ma per condiscendenza e sicurezza
nella propria superiorità. Mentre è difficile esserlo con gli arroganti, gli
avidi, che sono mossi, o così pare, da autocentratezza e da egoismo e ti chiedi perché dovresti piegarti alle
loro richieste o pretese, perché dovresti inchinarti o dire di sì, un inchino o
un sì che giovano a che cosa, a chi?
Ma il giudizio impedisce di essere con l’altro.
Qualunque tipo di giudizio, di superiorità, di inferiorità e anche il confronto. Il giudizio serve l’identificazione non la connessione
o il contatto con l’altro.
Quando
non siamo identificati, non reagiamo con il tono sdegnato, l’irritazione, il
fastidio che indicano proprio l’identificazione, quella reazione propria dell'io-mio ferito, e allora l’eventuale arroganza, avidità,
invadenza altrui, dalle quali siamo distaccati, non ci sembreranno così gravi
serie importanti e cadranno per terra e noi saremo in grado di rispondere in
maniera adeguata alle nostre proprie premesse.
Quando
non c’è identificazione e attaccamento c’è spazio per la consapevolezza e il
discernimento e se messi di fronte all’arroganza, o all’ invadenza di pretese
brutali o richieste insinuanti, facciamo in maniera semplice e distaccata presente: “questo non è possibile”
(oppure, con leggera, ma molto leggera, ironia: “mi avvalgo della facoltà di non
rispondere” o “mi appello al Quinto Emendamento”) e siamo pienamente contenti
di questa risposta senza quell’attaccamento al sapore, al gusto, al profumo
dell’indignazione, del sarcasmo, della rivincita verbale o della sfuriata.
Infine,
la persona benintenzionata ma priva di una pratica quando è stretta tra l’arroganza
altrui e l’amor proprio talvolta ricorre
al ragionamento e fa delle concessioni ma poi se ne rammarica. Per ragionamento
intendo qualcosa come cercare nella propria esperienza delle giustificazioni
per l’altro. Questo può anche essere utile, per esempio può portarci al punto
di comprendere l’ansia o la paura nell’altro ed essere più indulgenti, ma non
basta, perché quel che fa la differenza è l’identificazione, e in presenza di
identificazione lo sforzo di comprensione è non solo limitato ma sempre
revocabile. L’io magari offre tolleranza e comprensione ma sbotta subito dopo
per qualcosa che avverte come "francamente eccessivo".
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