la porta della cella
il muro
l'alba
Robert Bresson aveva letto dell’evasione dal carcere di un combattente antinazista nella Francia occupata e ne fece un film trascurando tutto ciò che riteneva superfluo e che poteva distrarre dal percorso del protagonista verso la libertà. Nei titoli di testa scrisse infatti: “Questa storia è vera. Io ve la racconto com’è, senza ornamenti”.
Entrando in cella dopo il
trasferimento dal comando tedesco e un primo sfortunato tentativo di
evasione dall’auto che l'aveva trasportato in prigione, Fontaine benché malridotto e
sanguinante rivolge la sua attenzione al muro, lo tasta lo batte lo
esamina scrupolosamente. Poi si issa alle sbarre
dell'alta finestrella per dare uno sguardo fuori e valutare le sue circostanze e
scopre un cortiletto interno in cui passeggiano alcuni detenuti. Si adopera a trasformare il cucchiaio in
un attrezzo atto a smontare il pannello della porta. Ricava dalla rete della branda il filo di ferro per
costruire una corda necessaria a calarsi dal tetto. La sua giornata è
interamente dedita a preparare l'evasione: raccolta di informazioni,
osservazione di condizioni e vincoli della vita carceraria, costruzione dei mezzi per fuggire. Neanche un momento deve essere perso e tutto quanto
(nostalgie, fantasie, ricordi, rimpianti, consolazioni, elucubrazioni, sogni ad
occhi aperti, ecc.) non converga qui e ora con l’intenzione, lo sforzo e la
riflessione sulla liberazione, non viene evocato. Non indulgere nell’inutile e nell’inessenziale nutre il desiderio della libertà, di cui la cella del condannato a
morte è divenuta un laboratorio.
Ultima inquadratura. Prima luce e primi suoni dell’alba, Fontaine,
scalzo, e il suo compagno di fuga sono fuori, in strada, al di là del muro di
cinta del carcere, e se ne allontanano silenziosamente a passettini accorti e
svelti.
Per François Truffaut, “Un
condamnè à mort” è “un film dell’ostinazione sull’ostinazione”. Perchè, ostinazione? Fontaine sa essere flessibile e adeguarsi al momento e alla situazione imprevista: alla vigilia della
fuga svela il suo intento al nuovo compagno di cella che avrebbe potuto
anche denunciarlo ma poi la sua presenza si rivela indispensabile per superare
ostacoli insormontabili per un fuggitivo solitario. Per ostinazione
dobbiamo perciò intendere non irrigidita caparbietà ma perseveranza e raccoglimento: in altre parole, la dedizione sincera paziente fiduciosa e riflessiva al
compito dell'evasione, all’esercizio delle qualità, e alla creazione degli strumenti che la consentono.
“Un condamnè à mort s’est
èchappé ou Le vent souffle où il veut” è il titolo di questo film del 1956, che riprende le parole dell'evangelista Giovanni (3.8): « Il vento soffia dove
vuole e ne senti la voce, ma non sai dove viene né dove va: così è chiunque è
nato dallo Spirito». Con una feconda asciuttezza, tuttavia, il film indirizza lo sguardo sul contributo creativo del nascituro alla propria nascita.