venerdì 11 gennaio 2013

Calmi fervori



Leggo una poesia di Gianfranco Palmery pubblicata pochi giorni fa sul blog “Poesie senza pari”:


LA NOTTE E LE SUE NOIE
Niente più notti illuminate, luci
di notturne tenebre – la notte
e le sue noie, consumate, spese, come
i calmi fervori che le hanno accompagnate
negli anni – e ora soltanto ore
vane, lente, disertate
sedia e carte nell’alone di lampade
laboriose: finite qui, o notti, spente
le luci sulle insonni, sonnolente
pose
Da Medusa, Editore Il Labirinto, 2001

Un’espressione mi colpisce: “calmi fervori”. Il suono trova in me una via facile, una via in discesa, e arriva diritto al cuore. Riconosco che questa via diretta è stata aperta dal desiderio, dalla ripetizione di un desiderio dominante di “calmi fervori”. Il poeta ha scoccato dal suo arco una freccia che mi sveglia trovando una risonanza profonda in una vita che ha ruotato “negli anni” intorno al mozzo di “calmi fervori” da acquisire e da accumulare.

Anche il rimpianto - "orchestratore dell’inverno": come il poeta infelice felicemente lo dice in Tutto un inverno nero, doloroso, un'altra eccellente poesia, presentata sullo stesso blog -si nutre a sua volta del ricordo di “calmi fervori”. Mirabilmente il suono delle due parole accoppiate evoca una stagione irrimediabilmente passata di ore che non furono “vane" nè "lente”, illuminata da luci diffuse da “lampade laboriose”.

E' un momento importante quello in cui ci rendiamo conto di adoperarci quotidianamente, con allenata naturalezza, a riportare in vita, grazie a immediate e sentite espressioni, mondi perduti o altri dalla realtà in cui siamo qui e ora, e  mentre ci chiudiamo dentro di essi, li sentiamo: i più veri, i più autentici e i più “miei”.
Il tutto  avviene in pochi istanti.
E se si ripetono, ripetendosi tendono a occupare il momento presente con tutta la loro straripante assenza.

 

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