sabato 16 novembre 2013

Alla tristezza (1)




Tristezza, ho bisogno
della tua ala nera,
c’è troppo sole, troppo miele nel topazio,
ogni raggio sorride
sui prati
e tutto è luce rotonda intorno a me
e tutto, in alto, è come un’ape elettrica.

Perciò
la tua ala nera
dammi,
sorella tristezza:
ho bisogno che si estingua qualche volta
lo zaffiro e che cada
l’obliquo rampicante della pioggia,
il pianto della terra:
voglio
quel tronco spezzato nell’estuario,
la vasta casa buia
e mia madre
che cerca
paraffina
per riempire il lume
finché la luce
non esalava l’ultimo respiro.

La notte era lenta a venire.
Il giorno scivolava
verso il suo cimitero provinciale
e fra il pane e l’ombra
ricordo me stesso
alla finestra che guardavo ciò che non era,
ciò che non succedeva,
e un’ala nera d’acqua che calava
su quel cuore che lì forse
ho scordato per sempre, alla finestra.
Ora, rimpiango
quella luce nera.

Dammi il tuo lento sangue,
pioggia
fredda,
dammi il tuo volo attonito!
Al mio petto
rendi la chiave
della porta chiusa,
distrutta.
Per un minuto, per
una breve vita,
toglimi luce e lascia
che mi senta sperduto e miserabile,
che tremi tra le fibre
del crepuscolo,
che riceva nell’anima
le mani
tremebonde
della
pioggia.

Pablo Neruda


Questa poesia di Neruda me l'ha fatta conoscere Francesco Pieroni, che a un seminario esperienziale sulla poesia come espressione e cura, l'ha presentata con queste parole:
 
“… quasi per fuggire dal mondo troppo brillante attorno a lui, Neruda ritorna a pensare alla sua infanzia, ricordandone l’insicurezza e l’amarezza, e quando sperava in un futuro migliore, un futuro che è arrivato pieno di successi e di amore, ma che non ha portato lo stesso la vera felicità!
Ho trovato questa poesia di Neruda in una piccola, vecchia raccolta, e ne sono rimasto profondamente colpito, perché mi pare molto lontana dalle sue classiche poesie delicate, piene d’amore e di speranza. “Alla tristezza” è una poesia molto inquietante, che racconta un Neruda in crisi esistenziale, un Neruda che mette in discussione tutto ciò che ha fatto. Il poeta vorrebbe quasi liberarsi di quella fastidiosa ‘ape elettrica’ che brilla sopra di lui. Quell’illusione ipocrita che, tra l’altro, si è creato lui stesso.”



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