Tristezza,
ho bisogno
della tua
ala nera,
c’è troppo
sole, troppo miele nel topazio,
ogni raggio
sorride
sui prati
e tutto è
luce rotonda intorno a me
e tutto, in
alto, è come un’ape elettrica.
Perciò
la tua ala
nera
dammi,
sorella
tristezza:
ho bisogno
che si estingua qualche volta
lo zaffiro e
che cada
l’obliquo
rampicante della pioggia,
il pianto
della terra:
voglio
quel tronco
spezzato nell’estuario,
la vasta
casa buia
e mia madre
che cerca
paraffina
per riempire
il lume
finché la
luce
non esalava
l’ultimo respiro.
La notte era
lenta a venire.
Il giorno
scivolava
verso il suo
cimitero provinciale
e fra il
pane e l’ombra
ricordo me
stesso
alla
finestra che guardavo ciò che non era,
ciò che non
succedeva,
e un’ala
nera d’acqua che calava
su quel
cuore che lì forse
ho scordato
per sempre, alla finestra.
Ora,
rimpiango
quella luce
nera.
Dammi il tuo
lento sangue,
pioggia
fredda,
dammi il tuo
volo attonito!
Al mio petto
rendi la
chiave
della porta
chiusa,
distrutta.
Per un
minuto, per
una breve
vita,
toglimi luce
e lascia
che mi senta
sperduto e miserabile,
che tremi
tra le fibre
del
crepuscolo,
che riceva
nell’anima
le mani
tremebonde
della
pioggia.
Pablo Neruda
Questa poesia di Neruda me l'ha fatta conoscere Francesco
Pieroni, che a un seminario esperienziale sulla poesia come espressione e cura, l'ha presentata con queste parole:
“… quasi per
fuggire dal mondo troppo brillante attorno a lui, Neruda ritorna a pensare alla
sua infanzia, ricordandone l’insicurezza e l’amarezza, e quando sperava in un
futuro migliore, un futuro che è arrivato pieno di successi e di amore, ma che
non ha portato lo stesso la vera felicità!
Ho trovato
questa poesia di Neruda in una piccola, vecchia raccolta, e ne sono rimasto
profondamente colpito, perché mi pare molto lontana dalle sue classiche poesie
delicate, piene d’amore e di speranza. “Alla tristezza” è una poesia molto
inquietante, che racconta un Neruda in crisi esistenziale, un Neruda che mette
in discussione tutto ciò che ha fatto. Il poeta vorrebbe quasi liberarsi di
quella fastidiosa ‘ape elettrica’ che brilla sopra di lui. Quell’illusione
ipocrita che, tra l’altro, si è creato lui stesso.”
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