sabato 9 novembre 2013

Lettera scritta da un "tambankan"



 
I saggi incoraggiano a non guardare la realtà da un solo punto di vista esclusivo, quale che sia, il padre, il figlio, il maestro, lo studente, il padrone, il lavoratore dipendente, il giustiziere, la vittima, il cristiano, il buddista, il ribelle, il sottomesso, il prodigo, il tirchio, il consumista, l'asceta e così via.
Ma anche quando pensiamo d'essere d'accordo sul diritto all'esistenza di altri punti di vista, spesso il nostro accordo è meramente intellettuale, o strumentale.
Quello che ci manca è proprio l'esperienza sentita dell'accettare il punto di vista altrui, specie nella vita quotidiana in materie che coinvolgono le nostre strategie di comportamento, la generosità, il controllo, la sicurezza, la continuità...
Non si tratta di abiurare o di buttare a mare il nostro punto di vista ma di allentare la presa esclusiva e totalizzante che ha su di noi e sul nostro sguardo.
Soltanto così potremo capire le condizioni particolari che ci hanno portato a far nostro quel punto di vista, o per meglio dire: a farci suo, a subirne il condizionamento, e potremo anche capire dall'interno le nostre inclinazioni e vulnerabilità.
In Cetriolo storto, David Chadwick ricorda che Shunryu Suzuki usava dire: "Dovremmo capire le cose non da un punto di vista soltanto. Chiamiamo  qualcuno che capisce le cose esclusivamente da un lato tambankan. Questa parola letteralmente significa "un uomo che porta una grande tavola sulla sua spalla". Poichè trasporta una grande tavola, non può vedere l'altro lato."
Ricordando questo insegnamento mettendo giù la  "grande tavola" espiro e mi sento più leggero. Espirare ha una sua importanza perchè rende fisica la percezione del cambiamento.




 




 

3 commenti:

  1. Trovo molto interessante questa riflessione sui punti di vista, soprattutto dove dice che per capire a fondo le motivazioni del proprio punto di vista bisogna "allentare la presa esclusiva e totalizzante che ha su di noi". Infatti questa affermazione appare paradossale e contraddittoria, e per questo portatrice di verità. Per convincerci che una cosa ci appartiene dobbiamo allentare la presa; solo così potremo capire se la cosa ci resta attaccata o se siamo noi ad attaccarci forzatamente a quella cosa perché abbiamo paura di perderci o di cadere. E quand'anche, una volta mollata, la cosa si staccasse, potremmo trovare qualcos'altro a cui attaccarci, comparso sul nostro orizzonte da un altro punto di vista. In sostanza il discorso rientra nel vantaggio di conservare un certo distacco dalle cose, dove tra le cose rientrano anche le idee. Questo discorso mi dà una sensazione di tranquillità, di fiducia, di forza. Grazie Michele

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  2. Quello che mi manca è proprio l'esperienza sentita dell'accettare il punto di vista altrui. Entrare in empatia con l'altro mi comporta uno sforzo di attenzione mentale che non mi appartiene, che va contro la mia natura. La distrazione mentale, il fantastico fantasticare, il concentrarmi su ciò che conosco piuttosto che scoprire nuove vie mi rimane più semplice e quindi più facile da gestire. Ancora una volta cerco la scorciatoia ovvero la soluzione con poca fatica, la gestione della situazione. Dalla pratica meditativa sento di poter fare dei progressi a livello di attenzione mentale. Per poter vedere dall'altro lato della tavola ho bisogno di volerlo prima di tutto e poi di allenarmi ad allentare la presa sui miei personali attaccamenti più o meno grandi. Credo che ho ancora molto da scoprire di me stesso e degli altri a volte mi sembra come di aver vissuto con dei paraocchi ovvero con una sola direzione, la mia. Serene 24 ore

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  3. Grazie Maurizio per la tua precisa e franca descrizione dell'egocentratezza. Lo sforzo di attenzione mentale indispensabile per allentarne la presa va contro la natura di tutti noi, la nostra inclinazione al divertimento, al conseguimento di gratificazioni e piaceri, e contro la nostra ignoranza.
    Ignoranza sì, perchè finchè non proviamo la gioia di essere nel momento con tutto quello che c'è nel momento, non sappiamo che esiste questa possibilità.
    Ma, come dici tu, bisogna volerlo.
    La soluzione con poca fatica, la gestione della situazione, come tu le chiami suggestivamente, ci consentono di andare avanti con il pilota automatico verso gli esiti noti e limitati.
    Il sapore dell'attenzione è un altro, molto più spazioso molto più trasformativo.

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