venerdì 6 dicembre 2013

Amarezza e amore di Gianfranco





Gianfranco Palmery, in un certo numero di giorni, prima di lasciare questo mondo, ha completato la creazione di un’isola chiamata Amarezza, questa parola contiene il mare e un esito di brezza, o soprattutto una variante di ebbrezza, bensì amara, e l’isola è anche Gianfranco stesso che ci si smaschera e denuda, naturalista e natura, fisio-patologo e organismo, psicologo e psiche, letterato e opera, scenografo e scena, attore e azione, tanghero e tango, uomo vecchio e malato e vecchiaia-malattia, giardiniere e giardino.  

Sull’isola crescono molte specie di piante, erbe e fiori amari (il che ricorda il brano dello Zibaldone 4175, 4176, 4177 dall'incipit "Entrate in un giardino di piante, di erbe e di fiori", dove leggi: "non potete volger lo sguardo in nessuna parte che voi non vi troviate del patimento"): legarsi al dito le offese subite, rovistare nel risentimento, affliggersi e rinforzare i muri torti delle afflizioni, contare e ricontare le ingiustizie che ci hanno colpito, cucire e scucire le ferite, rammemorare le umiliazioni, ostentarne le reliquie, investire e capitalizzare la sofferenza…

C’è  l’amarezza-farmaco: oh amarezza / tu curi il cuore / lo liberi del mondo, il triste morbo che ci consuma e affanna..
Ma nel farmaco si cela una pozione velenosa che illude e inganna: la salvezza / non può venire da un veleno puro / distillato mortale della mente / messa alle strette dal mondo che fa muro / e la umilia in una lunga contesa

L’amarezza ha natura seduttiva e cangiante, mentre da vivo giochi e godi a fare il morto con il mondo, ecco che ti ritrovi negli inferi per accorgerti che sei davvero morto: se sentirti / un tempo morto al mondo / ti piaceva, ora è il mondo / che ti considera morto..

E persino le dolcezze pasquali, di anni lontani, sanno di amaro mentre le si gusta, amareggiate da una amara nostalgia…

L’amarezza pur copiosa, solidifica rapidissimamente; come lava bollente di rancore si converte in un baleno in materiale da costruzione resistente e tossico. E l’isola dell’amarezza ambisce a farsi continente, in sé perfetto, ma fatalmente decade e si rinchiude nel sogno di qualcuno che la liberi da se stessa o la faccia finita.

Simultaneamente l’amarezza è grande mare, oceano allungato tra i massicci dell’Io, e quelle isolette sparse che sono gli io-pigmei, gli io degli altri, quali li incontriamo andando a caccia o li percepiamo, insignificanti e queruli, nel corso dei peripli e delle processioni che ripetiamo identici intorno a noi stessi. E ci avvediamo, prodigio di poesia e di consapevolezza, come sia tanto più facile annaspare e naufragare amaramente in questo mare amaro quanto meno ci si lasci bagnare dalle acque sorgive dell’accettazione e del rilassamento, nei cui riguardi si nutre diffidenza sapida di fiele e di bile, quasi che abbandonarci e affidarci al fluire di una corrente festiva fosse un tradimento di quella categorica serietà e della arcigna vigilanza che occorre esercitare senza posa nei confronti della vita.
 
Gianfranco invita a toccare con mano la ferita aperta e a vedere che l'amarezza è morte, mortifera, morte che respira e che avvelena con il suo fiato, morte in vita che si incarna in colui che è amaro, senza redimere.

Vorrei tenerla tutta
racchiusa in me, mia cara, l’amarezza
che mi riempie ma a volte trabocca
e si fa stizza, ira
che t’investe: una ventata cattiva
esce dalla mia bocca
come un soffio di morte rinverdita
poiché io sono un morto che respira
a fatica e a fatica si trascina
ancora nella vita.
 
Nell’Amare-zza c’è tuttavia il contrappasso e l'impronta dell’ Amare. L’amarezza “contrappassa” un “amare” incompleto e incompiuto, e si riflette tardiva nella sorgente dell’amore, lo specchio di errori e incurie.

Amore vuole lume d’intelletto
e quell’offerta di sé
che antepone l’oggetto
amato a ogni altra mira:
non può esserci errore nel soggetto
amante poiché è amore che lo ispira -
e invece quanti errori, quante incurie
nel mio amore imperfetto
per voi tutti miei amati
mie amate, che mi fanno
sbranare dai Rimorsi e dalle Furie
e per mio duro danno
resteranno per sempre imperdonati.

Gianfranco è però capace di volgere l’amarezza in danza.  Passo, doppio passo, contro passo, svolta, risvolta, gira e volta, cadenze e battute di tango ricorrono nei suoi versi e trasmutano l’amaro e il tossico dell’amarezza in ritmo:

Solo-solo assediato da nemici
interni, esterni, eterni:
non una mano amica,
non un soccorso: l’inatteso, l’ospite
che bussa alla tua porta
di solitario sisifo e ti libera
dall’amara fatica…
 
E ancora:

O vita senza vita
che somigli a una morte senza morte,
morte sempre patita
finché la vita non chiude le porte,
così se vita in morte è morte in vita
vivo una morte che sembra infinita

Il ritmo sapiente e scorrevole delle battute e delle controbattute non cancella l’amarezza bensì l’incanta e ammalia per qualche istante, la confonde rovescia e dischiude...  E nell’accenno di apertura, nel varco si apre alla generosità.

Generosi non sempre sono i versi che declamano una generosità di maniera,  ma i versi rubati all’amarezza e all’affanno, versi che ci aiutano a capire l’amarezza e a evitarla, a non coltivarla.

Il balsamo e il farmaco di Amare-zza resta così pur sempre Amore, dono di sé, del proprio tempo, della propria voce, del proprio ritmo, della propria integrità, gocce benefiche di una amara piega che preparano la docilità e la mansuetudine.

(Si veda per i versi riportati in questo ricordo di Gianfranco: Amarezze - Madrigali e altre maniere amare di Gianfranco Palmery, Il Labirinto, 2012)

 

2 commenti:

  1. molto bello e intenso, questo pezzo sulle amarezze di gf. molto partecipe. francesco

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  2. posso suggerire il link a un mio ricordo di gf? ecco:http://www.filidaquilone.it/num032dalessandro.html
    e di seguito una breve antologia di gf:
    http://www.filidaquilone.it/num032passarelli.html
    francesco

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