mercoledì 31 dicembre 2014

Fine anno





Matsuo Bashō (1644-1694) è il viaggiatore leggero per antonomasia.

Sembra voglia essere certo di non portarsi dietro nulla più dello strettamente necessario -prima della partenza dà via tutto quello che sente lo appesantirebbe.

E resta tra i poeti più amati dai giapponesi e da molti lettori di poesia per la evocativa semplicità e sincerità dei suoi versi e per la coerenza tra cammino e vita.

In questo haiku si rivolge a se stesso o a chi incontri per strada con poche parole che hanno la qualità evocativa dell’essenzialità.


Fine anno

Un altro anno è passato;

e io ho ancora indosso

cappello di paglia e sandali di paglia.







mercoledì 24 dicembre 2014

Se qui adesso






Forse più spesso in questi giorni accade di voltarsi indietro con curiosità, o nostalgia, o rimpianto…

Più questo sguardo è libero da aspettative e attaccamenti, e più è aperto al cambiamento.

Nel tanka* che segue, della poetessa giapponese Akiko Yosano  (1878 – 1942), la nota dominante della riflessione sembra essere quella, liberatoria e rinnovante, della consapevolezza.


Se qui adesso

ripenso al percorso

della mia passione

somigliavo a un cieco

senza paura del buio 

da Midaregami



tratto da Il Muschio e la Rugiada, Antologia di poesia giapponese, a cura di Mario Riccò e Paolo Lagazzi, Fabbri Editori, Milano 1997
*Il tanka è una composizione poetica di 31 sillabe, in 5 misure, rispettivamente di 5,7,5,7 e 7 sillabe.






sabato 20 dicembre 2014

Qualunque cosa facciamo






Avvicinandosi la fine dell’anno mi sovviene un insegnamento della monaca zen Shundo Aoyama:

“Che sia buona o cattiva, qualunque cosa facciamo rimane un fatto, che non cresce o diminuisce in valore in base alla lode o al biasimo di altri; diviene una forza karmica che ci accompagna. In questo modo, la nostra personalità è immancabilmente modellata da tutti i nostri atti.”
 
 
 
 
 
 

domenica 14 dicembre 2014

Felicità è battersi bene







Due giorni, una notte, il film di Jean-Pierre e Luc Dardenne si conclude con una telefonata di Sandra a suo marito Manu: “Ci siamo battuti bene. Sono felice.”

E’ una frase preziosa che indica qualcosa che possiamo fare nella vita, e qualcosa che della vita possiamo fare.

Non batterci soltanto, né in ogni modo e con ogni mezzo vincere, ma giusto batterci bene.
Non perdersi d'animo nelle avversità, non cedere alla tentazione di rinchiudersi nella gabbia delle negatività perdendo spazio e prospettiva.

Quando finiamo sotto tiro ci capita di farci piccoli piccoli, come per chiedere perdono e giustificarci, la tentazione di prendere rifugio dentro le nostre stesse ferite è forte, e farne un lasciapassare, ma in questo modo finiamo in un cantuccio dal quale è sempre più difficile uscire.

Se non ci battiamo bene non potremo che essere scontenti di noi stessi e la scontentezza ci porterà diritto al desiderio di morire, o di uccidere.

Dice Sharon Salzberg (post del 16 novembre scorso):
"Definisco la felicità come un tipo di intraprendenza. E’ un senso di resilienza e capacità di recupero e l’abilità a incontrare le cose senza esserne limitati. E’ una sorgente di profonda forza interiore, che non sempre siamo consapevoli di avere. Felicità è, anche, connessione l’un con l’altro, di modo che non ci sentiamo tagliati fuori e isolati."


 
 
 
 
 
 
 

domenica 7 dicembre 2014

Avidità e illusioni






Nella sua biografia dedicata a Suzuki-roshi, Chadwick ricorda che una praticante aveva domandato al maestro: “Che cos’è la guerra?”

Il maestro allora indicando davanti a sé le stuoie su cui vengono sistemati i cuscini per la meditazione, per ogni stuoia due cuscini, uno a fianco dell’altro, aveva detto che talvolta quando compaiono delle increspature tra due praticanti, ciascuno dei due cerca di appianare l’increspatura spingendola verso l’altro. E aveva aggiunto: “Ecco la causa della guerra. Il karma comincia con le piccole cose, poi accelera. Bisogna sapere come comportarsi con quelle piccole difficoltà.”  E’ da folli ignorare il karma, la guerra è il risultato delle nostre attività quotidiane. Persino parlare di pace in maniera rabbiosa porta acqua al mulino della guerra. “Dovremmo saperlo” -avvertiva il maestro.

Queste parole tornano in mente davanti alla vista dell'aggressione ai beni comuni, alle risorse pubbliche,  alla natura, agli esseri viventi, alle istituzioni, alla legalità…

Soltanto menti annebbiate dall’avidità e dal sogno auto-centrato o sprofondate nelle illusioni e nell’ignoranza possono credere che le quotidiane erosioni e prevaricazioni della legge e dei diritti degli altri, spesso considerate minime, veniali o innocue, siano prive di conseguenze e non concorrano alle grandi distruzioni in atto.
 
 
 
 

domenica 30 novembre 2014

Gratitudine






Il grazie pronunciato a denti stretti, forse malvolentieri, e quasi non udibile, o da chi sta male, è diverso da un grazie ordinario.

Dobbiamo rinnovare i nostri grazie ordinari stendendoli al sole, al vento, alla pioggia, al buono e cattivo tempo, perché siano più sentiti e più sinceri.












domenica 23 novembre 2014

La dimora di Anna Achmatova







La poetessa Anna Achmatova abitò a San Pietroburgo (allora Leningrado) dal 1924 al 1952 in uno degli alloggi del Palazzo dei Conti Seremetev sulla riva del fiume Fontanka e andando via ne scrisse:

“Su questa nobile dimora non ho diritti né pretese, ma si dà il caso che quasi tutta la mia vita io l'abbia trascorsa sotto il tetto della casa sul Fontanka, povera vi sono entrata e povera la lascio...”  

Non è quanto ogni poeta vorrebbe poter dire della propria vita?





domenica 16 novembre 2014

La felicità, per Sharon Salzberg



 
 
 
Definisco la felicità come un tipo di pienezza di risorse. E’ un senso di resilienza e l’abilità a incontrare le cose senza esserne determinati. E’ una sorgente di profonda forza interiore, che non sempre siamo consapevoli di avere.
Felicità è, anche, connessione l’un con l’altro, così che non ci sentiamo tagliati fuori e isolati.

["I define happiness as a kind of resourcefulness (tr./ pienezza di risorse, intraprendenza, ingegnosità, inventiva). It’s a sense of resiliency (tr./ resilienza, elasticità, flessibilità, capacità di recupero) and the ability to meet things without being defined by them. It’s a source of profound strength inside ourselves, which we don’t always realize we have. Also, happiness is our connection to one another, so we don’t feel so cut off and alone."]






domenica 9 novembre 2014

Un forte desiderio





 
 




Piccolo lago, grande lago (foto di Mirko Iacobucci)


Con la meditazione vediamo i nostri condizionamenti, e dal momento che sono profondi, per poter vedere occorre un forte desiderio di risveglio.
Suzuki roshi attribuiva alla meditazione seduta la capacità di allentare la presa di quello che sembra essere la realtà. E probabilmente la realtà ci sembra quello che non è proprio a causa della profondità dei nostri condizionamenti.
In più, strada facendo, dobbiamo capire ciò che è tossico e ciò che è salutare, e comportarci di conseguenza.








domenica 2 novembre 2014

La pace che cerchiamo




Nella meditazione seduta e nella vita quotidiana, tra le sue occupazioni e i suoi incontri, senza rendercene conto, condizionati come siamo dall'abitudine, cerchiamo la tanto agognata pace nel controllare, reindirizzare e raddrizzare i pensieri che ci fanno visita, ci turbano, talvolta ci seducono, ci spaventano.
Ma la calma e la tranquillità si trovano semplicemente nel lasciarli cadere, avendoli notati, non nell’ingaggiare con essi una contesa dalla quale non possono che nascere altri pensieri, immagini, fantasie, ricordi, preoccupazioni.
Dalla frammentazione, dalla selezione, dall’associazione di pensieri non può nascere altro che la ripetizione del medesimo.
La calma e la tranquillità si trovano nel riuscire a rimettere i piedi per terra e sentire toccando la terra il qui e ora.

 

Infatti Shunryu Suzuki dice: “Ci vorrà parecchio tempo prima di trovare la serenità e la calma mentale nella vostra pratica. Vengono molte sensazioni, sorgono molti pensieri o immagini, ma non sono altro che onde della vostra mente. Nulla proviene dal di fuori di essa. (…) Siete voi stessi a creare onde nella vostra mente. Se lasciate la mente così com’è, diventerà calma da sola..”

 

In sintonia con il maestro zen, i versi di T.S.Eliot, nei Quattro Quartetti:

… nel silenzio

tra due onde del mare.

Presto ora, qui, adesso, sempre…

Condizione di totale semplicità

(che costa non meno di ogni cosa)

e tutto sarà bene e

ogni sorta di cose sarà bene.



 

sabato 25 ottobre 2014

L'altro






Nella rapida successione dei giorni e delle settimane, nell’alternanza di alti e di bassi lanciamo all’altro uno sguardo per lo più primitivo e ignorante.

Perché “primitivo”? Perché cerchiamo nell’altro piacere o dispiacere, gratificazione o rigetto. Ci basta così, e questa è ignoranza.

Ma l’altro, come possiamo imparare, se ci fermiamo ad ascoltare in silenzio, se accogliamo, è un essere incomparabilmente più ricco della nostra immaginazione e della nostra disponibilità a trovare quello che già conosciamo.

Può comunicarci fiducia, nel senso di aver fiducia in noi e insegnarci a nutrirla.

Offrirci l’occasione di essere generosi e può essere generoso.

L’essere umano ha il privilegio di poter condividere con l’altro l’amicizia, in cui nascono e vivono qualità da conoscere finalmente e in cui radicarsi.

Così, in una sua poesia, Chandra Candiani (vedi in questo blog, il post del 17 ottobre, con il titolo “L’universo non ha un centro”) si rivolge all’amica Beatrice che non c’è più:


Io svanisco,

senza di te,

amica. Ho meno realtà,

meno legame.

Ci siamo incontrate

sempre solo sulla terra,

per andare alla deriva

nell’amore dello spazio.


Questa è una bellissima e fertile immagine dell’amicizia spirituale, dare terra, darsi reciprocamente terra, per aprirsi senza timore alla spaziosità e alla luce.

L’universo non ha un centro ma possiamo crearne uno qui e ora con il contatto, l’amicizia, l’amorevole benevolenza, la comunicazione.



venerdì 17 ottobre 2014

L'universo non ha un centro




C’è un libro di poesia che dà voce alla gratitudine, alla carità e all’amicizia e si apre con queste parole:


“Alle amiche e agli amici, al mio Maestro che ha 2557 anni, a chi amo, a chi mi ama, ai monaci della foresta, agli indifferenti e agli spaventati dell’amore e dell’amicizia, ai vivi, ai morti, e ai mai nati, ai sopravvissuti, a tutti gli oggetti del lavoro umano, tavoli, sedie e letti, e pane e vino, e orti, e a tutti i cari, furiosi o delicati, animali, quelli che hanno vissuto con me e quelli appena intravisti, quelli che mi hanno azzannato e graffiato e quelli che mi hanno accarezzato e fatto ‘muso-muso’, quelli che ho mangiato, quelli che lavorano, agli alberi vecchi e giovani, solitari e scoievoli, al fondo del mare, alle onde una a una, ai granelli di sabbia, alle nuvole, alle montagne, ai sassi, alle conchiglie, ai fiumi, alla terra terra, ai temporali, alla grandine, alle pozzanghere, all’erba, al ghiaccio, ai tuoni, ai fiori, alle mani e a tutto il corpo, al vento, ai vulcani, ai laghi, alla nebbia, agli abbracci e alle parole, ai deserti, alle steppe, ai frutti e alle verdure, alle foreste, ai fulmini, a tutte le facce del sole, agli  astri, al cielo che arriva fino a terra, alla pioggia, alla prediletta neve, alla luna di cui porto il nome, alla notte, alla luce, all’universo che non finisce, alla voce del silenzio, al senza nome, alla divina compagnia, grazie e grazie”

Il libro si intitola  La bambina pugile ovvero La precisione dell’amore, è stato edito da Einaudi nel 2014, lo ha scritto Chandra Livia Candiani, che è anche traduttrice di testi buddhisti e tiene corsi di meditazione.

In copertina, venendo incontro, Chandra ci offre le sue istruzioni per abbracciarsi:

 

L’universo non ha un centro,

ma per abbracciarsi si fa così:

ci si avvicina lentamente

eppure senza motivo apparente,

poi allargando le braccia,

si mostra il disarmo delle ali,

e infine si svanisce,

insieme,

nello spazio di carità

tra te

e l’altro.






venerdì 10 ottobre 2014

Paradiso e inferno, per Sri Ramana Maharshi





Sri Ramana Maharshi 1879-1950


-Paradiso e inferno: che cosa sono?

Maharshi: Paradiso e inferno li porti con te. La tua lussuria, rabbia, etc. producono queste regioni. Sono come sogni.”

da Talks With Sri Ramana Maharshi







venerdì 3 ottobre 2014

Una lettera di Jack Kornfield dalla Birmania




Nessuno dovrebbe nella rabbia o nell’odio
desiderare di far male ad altri
Il Buddha, nel Metta Sutta

 

In superficie, la Birmania dell’entroterra non è molto cambiata dal 1971, quando vi ricevevo la mia formazione da monaco nei monasteri di Mahasi e Sunlun Sayadaw. Il paesaggio verde e polveroso è punteggiato da templi e pagode dorate. Ci sono poveri contadini e piccole cittadine dai mercati colorati. Il popolo birmano resta straordinariamente gentile e di buon cuore, la nazione un centro venerato di insegnamenti buddhisti.

Ma adesso c’è anche paura, una corrente sottostante di tensione che si diffonde attraverso il paese. Ho fatto di recente ritorno dalla Birmania dove ho lavorato con attivisti per la pace e per Partners Asia, a sostegno di scuole, rifugi per orfani e donne maltrattate, programmi per HIV, ambulatori di campagna, e altri meravigliosi progetti. Ho trovato tra cambiamenti positivi e lenti movimenti verso la democrazia, crescente intolleranza e conflitto religioso ed etnico.

Le notizie dicono di monaci che attraversano la Birmania e usano gli insegnamenti buddhisti per incoraggiare la violenza e l’approvazione di leggi inumane. Qui in Occidente molte persone sono scioccate. Non è il buddhismo la religione che predica contro la violenza e le uccisioni? Sono vere queste storie? Come dobbiamo comprenderle?

Le storie sono vere. Viaggiando attraverso la Birmania di recente, ho incontrato alcuni di questi monaci che fomentano odio e fervore sciovinista. Non vogliono sentir parlar di pace e hanno avuto successo nel seminare diffidenza in lungo e in largo in buona parte del paese. Sotto la loro influenza, tassisti e negozianti da Rangoon a centri urbani remoti parlano della loro paura di una presa del potere dei musulmani e dell’ “insegnamento di Buddha” per cui talvolta la violenza è necessaria per proteggere la nazione. Tale pericolosa situazione richiede qualche spiegazione.

La più grande fonte di conflitto è la situazione incerta dei musulmani Rohingya nell’estremo occidente della Birmania. Rakhine è una bella terra al confine con il Bangladesh che è stata per secoli un regno marinaro. Ma da quando i re della Birmania centrale conquistarono Rakhine, il popolo è stato maltrattato. E nel corso dell’ultimo secolo, un milione di musulmani Rohingya, alla ricerca di nuove  opportunità o in fuga dalla povertà e dai maltrattamenti nell’odierno Bangladesh, si sono stabiliti in Rakhine. Oggi, il sovrappopolato Bangladesh non vuole riaccoglierli lasciandoli ritornare indietro e i nativi Rakhine, già poveri e angariati dal governo centrale, temono di perdere terra e mezzi di sostentamento in favore degli immigrati musulmani, anche se molti Rohingya  hanno vissuto in quella terra pacificamente per decenni.

L’attuale pressione economica ha reso la situazione pronta per la paura, la violenza, e la strumentalizzazione politica. Case e attività di musulmani sono state date alle fiamme e 100 mila musulmani Rohingya, molti bambini e donne tra di loro, sono stati forzatamente rinchiusi dentro campi per rifugiati. Quando ho parlato con Rohingya  provenienti da Rakhine, i loro occhi si ingrandivano per lo sgomento, ed era palpabile l’impotenza e la paura di aggressioni da parte della maggioranza buddista. Recentemente, il rullante richiamo di tamburi alla violenza contro i musulmani e altre minoranze si è diffuso in altre parti del paese, spesso con la tacita approvazione della polizia locale e dell’esercito.

Sono testimone in prima persona del propagarsi della violenza nella città di Lashio nello stato settentrionale di Shan, dove nell’anno passato una moschea, attività economiche, e un orfanotrofio musulmano sono stati dati al fuoco, non lontano dalla più venerata pagoda della città. I buddisti del luogo con cui ho parlato erano amichevoli ma anche preoccupati, e dalle loro file provenivano le folle  che appiccavano il fuoco ai vicini musulmani.

Dei circa mezzo milione di monaci e monache in Birmania, coloro che sposano l’odio e sostengono la violenza sono un pugno, meno dell’un per cento. Tuttavia il loro messaggio di paura e di pregiudizio ha una risonanza a causa di svariati fattori.

Innanzitutto, i monaci radicali hanno collegato con successo l’insegnamento buddista con il nazionalismo. Il buddhismo insegna la nobiltà  di tutti gli esseri umani, senza distinzione di casta, di razza, o credo. Ma gli umani riescono a far cattivo uso di tutto, dharma compreso, e questi monaci sono diventati fondamentalisti che sposano il pregiudizio nel nome del dharma. Con il 40 per cento della popolazione birmana diviso in 135 gruppi etnici, tre milioni di musulmani, e una dozzina di guerre civili in lenta ebollizione, i malaccorti monaci dicono ai buddisti birmani che devono combattere contro i diversi per conservare la nazione.

In secondo luogo, dal momento della recente transizione a un governo quasi-civile, c’è crescente insicurezza, sviluppo economico predatorio e inganno politico. Durante precedenti viaggi nel periodo del regime militare, amici avrebbero potuto essere imprigionati o torturati se fossi stato per caso udito parlar loro di Aung San Suu Kyi. Al giorno d’oggi la conversazione  pubblica è permessa ma restano ancora dei pericoli per giornalisti e attivisti.

Con l’abolizione della dittatura militare, le tensioni etniche e religiose in ebollizione sono sfruttate da monaci malaccorti, gruppi politici, e quel che resta della dittatura, a scopo di potere. Si dice che alcuni dei monaci peggiori siano uomini del Servizio Segreto che hanno preso l’abito monacale e stanno deliberatamente attizzando le paure per riportare la gente dalla parte dei militari e contro Aung San Suu Kyi. I monaci radicali giocano sulla memoria storica dell’espansione musulmana nell’Asia delle preesistenti culture buddiste. Racconti paurosi di musulmani violentatori di donne buddiste, aventi enormi famiglie e che sovrappopolano la terra sono largamente disseminate.

Sorprendentemente, esiste una diffusa ignoranza in Birmania di molti insegnamenti centrali per il buddismo. Gran parte della pratica buddhista in Birmania ha carattere devozionale. Le preghiere e le offerte esprimono un bello spirito di generosità e la credenza nell’ottenimento di meriti, nel karma e nella rinascita. I templi accuratamente decorati sono regolarmente inondati con una gioiosa compartecipazione  comunitaria, con canti e manifestazioni di sostegno per i monaci.

In questa cultura devozionale,  gli insegnamenti delle nobili verità e dell’ottuplice sentiero, della nonviolenza,  consapevolezza, e della virtù non sono enfatizzati. E il monito del Buddha a guardare e a occuparsi di se stessi è completamente perduto.  Il sistema educativo birmano non insegna al popolo a mettere in discussione l’autorità. Gli studenti di una scuola media, appassionati e dai visi radiosi mi hanno detto di aver sempre imparato a memoria e di non aver mai fatto una domanda in tutta la loro carriera scolastica. In aggiunta a questo, cinquant’anni di polizia segreta e di oppressione militare hanno lasciato molti birmani impauriti e facilmente tratti in inganno.

Per fortuna  ci sono anche abati, attivisti, e leaders musulmami che incarnano l’insegnamento del Buddha a “accordarsi con tutti gli esseri con illimitata amorevole gentilezza”. Sono stato ispirato dal coraggio di coloro che stanno cercando di disinnescare questa deplorevole situazione. Alcuni lavorano in pubblico, altri si impegnano dietro la scena, per educare i monaci e le comunità negli insegnamenti buddisti riguardanti rispetto, nonviolenza, e risoluzione  dei conflitti. Ma il linguaggio dell’odio ha creato una situazione pericolosa, e coloro che parlano apertamente in pubblico contro il pregiudizio sono presi di mira e molestati dagli squadristi anti-musulmani. Nonostante questo, leader come Zin Mar Aung che ha ottenuto l’International Woman Courage Award, e il Venerabile U Nayaka Sayadaw, abate di un monastero di Mandalay con settemila monaci, hanno tenuto alta la bandiera del dharma di rispetto per tutti.

Anche se la soluzione è nelle mani degli stessi birmani, ci sono molti gruppi all’esterno che cercano di incoraggiare la miglior tradizione buddista birmana di tolleranza, come Partners Asia, il Catholic Peacebuilding Network, Hope International, United to End Genocide, e il International Network of Engaged Buddhists. Sfortunatamente, Médecins Sans Frontières e le UN sono stati banditi da Rakhine perché il governo non vuole che resoconti onesti sulla situazione raggiungano il mondo esterno. Aung San Suu Kyi, che mantiene una visione di lungo termine dello sviluppo della Birmania, con immensa dignità, grazia, e coraggio, ha incoraggiato quanti di noi l’hanno incontrata ad ascoltare tutte le parti in conflitto. Sfortunatamente la costituzione imposta dai militari non è stata ancora cambiata sì da riconoscerle pieni diritti politici e lei è limitata nella sua abilità a misurarsi con la situazione.

Nei mesi passati ho organizzato un gruppo di interessati anziani buddisti, inclusi il Dalai Lama e Thich Nhat Hanh, per pubblicare una lettera occupante l’intera pagina di giornali birmani per incoraggiare i birmani ad alzarsi in piedi per la loro nobile tradizione di rispetto e nonviolenza.

-Jack Kornfield, da Shambala Sun


venerdì 26 settembre 2014

Non me la sento






Se ci lasciamo persuadere dal ‘non me la sento’, ‘non ce la faccio’, ‘non è possibile’, che le Sirene ci suggeriscono cantando da dietro gli scogli in direzione del nostro cuore, finiamo per ritirarci nella rinuncia, la rassegnazione, l’incapacità.

Magari siamo persino accolti e consolati dalla comprensione di chi ci sta vicino..

Inizialmente non vediamo che si tratta di una inarrestabile discesa e che non c’è arrivo in vista.

Prendiamo rifugio nell’ignoranza e non usciamo più da questa tana perchè ci sono sempre più cose e situazioni che ci fanno paura e di fronte alle quali alziamo le mani, mentre i risparmi si assottigliano e non troviamo più le rendite su cui inconsciamente facevamo affidamento.

 

Dice Lama Gendün Rinpoche: “L’emozione corrispondente all’ignoranza è la paura, che include l’inclinazione a distogliere l’attenzione da ciò che è fastidioso e il desiderio di restare in stati di consapevolezza diminuita.”






venerdì 19 settembre 2014

Il lago d'autunno

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Immagine del Trasimeno di Hinnerk Brockmann, settembre 2014
 
 
 
 
 
 

 


 


Il traghetto fermo davanti

alla boa

 

Nella sospensione del movimento

c’è movimento

 

Nella immobilità c'è anche

presenza consapevole

in quello che è così com’è

non solo attesa

 

Sciogliersi di nodi

calmarsi delle onde

abbassarsi di spalle

 

Lago e cielo

la nebbia e il grigio

si affacciano sul cuore






sabato 13 settembre 2014

Mente e corpo





 

Quella persona cammina ma sta pensando a qualcosa che la trattiene e la piega da una parte, una indecisione, un rimpianto, una preoccupazione.

Un’altra parla e parla e cerca di spingere tutti dentro l’ambiente costruito dal suo monologo.

Le espressioni tirate del viso, il tono della voce, la postura rendono manifesti gli attaccamenti che ci caratterizzano.

Ecco l’importanza del rilassamento, che comprende la meditazione seduta e gli esercizi fisici.

 

Un ritiro meditativo può essere anche impegnativo, le sessioni dedicate agli esercizi fisici creano l’allegria e il buonumore, facilitano l’apprendimento e sdrammatizzano lo sforzo di restare fermi, e vigili, durante zazen.

Ma anche nella vita quotidiana, gli esercizi e piccole pause meditative, interrompono salutarmente la reiterazione e l’avvitamento nel pensiero cumulativo.

 

Gli esercizi li possiamo apprezzare e comprendere esclusivamente dall’interno, attuandoli, sentendoli  nel loro svolgersi, le resistenze, la circolazione di energie e l’impulso alla apertura e alla leggerezza nel corpo e nella mente.

Con le parole possiamo solo dire che gli esercizi fisici ci aiutano a contattare il complesso e sofisticato organismo che siamo.

 

L’essere umano ha bisogno fin dalla nascita di aria, di spazio, con la pratica capiamo quanto sia deleterio e autolesionistico il rinchiudersi in qualunque tipo di concettualizzazione o di abitudine fissa che hanno sempre il loro corrispettivo nell’indurimento del corpo.

Impariamo ad apprezzare l’aria e l’aperto, il mantenere i piedi per terra senza incatenarci alla terra, guardiamo da diversi punti di vista e impariamo a dialogare con il movimento.

 

Esercitandoci  non vogliamo tanto entrare in forme che magari ci appaiono belle, eleganti, suggestive, quanto stare nel flusso del cambiamento, e provare “come è”, “cosa si sente”, lasciando andare con una espirazione l’attaccamento a questo o a quello, ci muoviamo dall’acquisitivo e dall’avverso alla accettazione così com’è del momento presente.



venerdì 29 agosto 2014

Un insegnamento di Achaan Chah






Così procede il sentiero:
primo, dobbiamo essere retti e onesti
secondo, non avere fiducia nell'agire male
terzo, avere un cuore intriso di umiltà.









venerdì 22 agosto 2014

Ego-centratezza





 
Usciamo di casa e vediamo tutto e tutti come oggetti disposti intorno a noi o ai nostri piedi.

Ma non ce ne rendiamo conto. Ci pensiamo liberi di vedere mentre siamo prigionieri dell’abitudine a vederci, come singoli e come genere umano, al centro del mondo.

Non c’è da stupirsi se quando stiamo male o giù di morale il resto del mondo non esiste più, e ci scopriamo isolati e miserabili.

D’altra parte molti di quegli altri uomini che noi vediamo come oggetti, ci vedono come oggetti, proprio come noi vediamo loro.

Ma non è così, siamo in relazione, con gli altri esseri e con il pianeta, siamo esseri planetari.

Come umani ci siamo costruiti una prospettiva di centralità assoluta che è una struttura che ci corazza e ci inganna.


giovedì 14 agosto 2014

Pioggia, neve e luna





Ogni giorno i sacerdoti

esaminano minuziosamente la Legge

e cantano senza fine complicati sutra.

Prima di questo, dovrebbero imparare

a leggere le lettere d’amore inviate da vento

pioggia neve e dalla luna.

di Ikkyu (1394-1481), dalla Antologia di Nuvola Pazza

 



E i primi sacerdoti siamo noi stessi con i nostri registri costellati di note, di materiali e di rendiconti del dare e dell’avere, con sempre l’avere in disavanzo attivo sul dare, e sempre presi dal pensiero dei nostri canoni e dal cantare senza fine i nostri sutra che si complicano e si ingarbugliano vieppiù nel tempo..

Ma prima di cantare e di sventagliare sugli altri e sul mondo i nostri garbugli e le nostre complicazioni possiamo prestare ascolto a Ikkyu: imparare a leggere le miriadi di lettere d’amore che nascono nell’aria..






venerdì 8 agosto 2014

Lettera per John





A volte, nel mezzo delle ordinarie attività della vita quotidiana, ricordo il mio maestro di zen, John Garrie. E lo ricordo, più che per i discorsi, per quelle informali osservazioni e i richiami che stanno a indicarmi che in ogni momento ho qualche possibilità di riflessione e di scelta sul cammino. Se lasciarmi incantare, o angosciare, dal canto delle sirene oppure accogliere la realtà così com'è, anche l'ansia l'incertezza il disagio, accettare senza trattenere, e comprendere. Posso sempre in qualche misura cambiare l'energia mia e dell'ambiente in cui entro e posso prestare attenzione a questi cambiamenti.

Talvolta mi ritrovo al fianco John che mi dice: “I see you want to play it safe”. Oppure: “Now you become negative, again”.

Queste frasi mi toccano profondamente, mi riportano al clima di sollecitudine affettuosa e non giudicante di John, e nel raggio di un contatto che è stato e che è ancora vitale.

Il “vuoi andare sul sicuro”, come il “diventi di nuovo negativo”, mi mettono di fronte al fatto che la pratica di consapevolezza è un esercizio di attenzione e di benevolenza, diretta in primo luogo a noi stessi, riguardo all’uso che immaginiamo e che facciamo delle nostre energie e delle nostre possibilità.

Vedendo la nostra cocciuta propensione a ricadere nelle vecchie abitudini i maestri ci richiamano a non dare per scontato che le cose debbano andare sempre nello stesso modo, e a non guardarle come se non possano che prendere la stessa e ben nota piega.  

Ci risvegliano a non subire gli eventi, a non cadere in una improduttiva e autolesionistica reattività. A trovare il modo per essere presenti alla nostra vita accogliendola. A “non cercare la liberazione in quello che vedi ma in come lo guardi.” E a capire il valore liberatorio del momento in cui si può invertire una tendenza e un carattere.
 


John Garrie rievocava così il suo primo incontro con il maestro H.Saddhatissa: “irradiò buon umore e gentilezza a beneficio di tutti i presenti, a dimostrazione di quello che è l’aspetto principale dell’insegnamento buddhista, molto al di là di quanto possono dire le sole parole” e concludeva il ricordo con una espressione che so di poter riferire a lui stesso: “il Buddhadhamma vive nelle sue azioni, parole e atmosfera di amorevole gentilezza.”


 

venerdì 1 agosto 2014

E, pur in fior, la tase





“No posso dame pase
al pensamento
che la tera fiurisse ogni momento
e, pur in fior, la tase”.

“Non posso darmi pace -dice Biagio Marin- al pensiero che la terra fiorisca ogni momento e, pur in fiore, resti silenziosa”.

 
Così risuona il quasi-haiku del poeta gradese, ispirato d/alla fioritura della terra che è continua eppure silenziosa e che incanta per il senso di mistero che effonde.

Nel silenzio sbocciano i fiori, senza preavviso e senza proclami. Ogni fioritura richiede il silenzio, e la fiducia, la consapevolezza, l'energia, la lucidità, ogni fioritura, anche la più piccola, esige talvolta un cambiamento totale, che ci porta a quella accettazione delle cose così come sono che dona libertà e apertura.








venerdì 25 luglio 2014

Lettera dopo un fine settimana di meditazione




 
Sento gratitudine dopo questo fine settimana meditativo.

Mi sono trovato “a casa“ perché potevo arrivare con calma ed essere a mio agio. Il silenzio mi ha creato uno spazio per sostenere la presenza mentale sia nell´essere seduto sia nel camminare.

Cosi il tema della metta (gentilezza amorevole) nella prima serata mi ha colpito “nudo” o “aperto” o “vuoto”: pronto a confrontarmi con la mia pratica di fondo.

Cioè non limitandomi a ripercorrere il rituale ben conosciuto e praticato della meditazione sulla gentilezza amorevole, ma guardando dietro: il mio stato mentale qui ed ora - cosa c´entrava con metta, come si realizzava metta di fronte a ciascuno dei partecipanti.

Ecco perché potevo dire: vedo i limiti, tanti limiti, anche se c´è la buona volontà di essere “bravo praticante” con parecchia esperienza.

In seguito mi è venuto in mente - e al cuore - questa metafora: vedere metta come un albero con mille foglie, non solo come un mazzo, che si prende in mano per usarlo e regalarlo a volontà.

Vedere la metta come un albero con mille foglie: ci sono benevolenza, comprensione, perdono, accettazione, affetto, dedizione, connessione, pazienza, cura, empatia, pietà, morbidezza, stima, sostegno, inclusione, mitezza, apertura, rispetto, generosità, fiducia, freschezza, indulgenza, fedeltà, sensibilità, attenzione, bontà, calore, tenerezza, dolcezza, amicizia …

Vedere come tronco la bodhicitta, la “grande aspirazione”: fa crescere le foglie e si rinforza con la crescita delle foglie.

Sentirmi albero con un tronco stabile e mille foglie mosse del vento della consapevolezza: veramente una grande aspirazione – ci vuole un grande fiato, che mi manca ancora, qualche volta più qualche volta meno….

Hinnerk




venerdì 18 luglio 2014

Il bocciolo





Il bocciolo

rappresenta tutte le cose,

anche quelle che non fioriscono,

poiché tutto fiorisce, dall’interno, di auto benedizione;

anche se a volte è necessario

ricordare alle cose la propria bellezza,

posare una mano sul capo

del fiore

e ripetergli a gesti e a parole

che è bello

finchè fiorisce di nuovo, dall’interno, di auto benedizione.

Galway Kinnell

 

“Ricordare alle cose la propria bellezza” -scrive Sharon Salzberg in Lovingkindness- è l’essenza della gentilezza amorevole. Attraverso di essa ciascuno e ogni cosa può fiorire di nuovo dall’interno. Quando riacquistiamo coscienza della nostra bellezza e di quella degli altri, l’auto-benedizione diventa una cosa naturale e bella.




venerdì 11 luglio 2014

Lettera riguardo a rabbia e paura della propria rabbia








 
Ultimamente la rabbia è l'oggetto principale della mia pratica. Mi trovo spesso a riflettere sulle condizioni e sulle situazioni che generano in me questo sentimento e cerco di stare attenta anche alle sensazioni che la rabbia mi suscita a livello fisico: aumento del battito cardiaco, il classico "sangue che sale alla testa", lo stomaco contratto e l'incapacità di stare ferma, una grande irrequietezza.
Intuitivamente comprendo la necessità di accogliere e accettare la rabbia e la sofferenza per potermene liberare, ma nei fatti non riesco ad attuare questo proposito, perchè ne ho paura.

E se accettando e accogliendo non riuscissi poi a "lasciar andare"?

E se finissi, con impotente e confusa consapevolezza, per crogiolarmi e riscaldarmi al fuoco della rabbia, che è comunque una fonte di energia, seppur negativa e distruttiva?

So di non poter avere la risposta a queste domande se non provando, praticando con pazienza e amorevole compassione, ma devo dire che sono ancora lontanissima dalla meta (o meglio dal mio nuovo inizio), almeno per quanto riguarda la rabbia generata da certe particolari situazioni personali. Lontanissima ma fiduciosa.

 

Quando c'è fiducia e sincerità potremmo essere meno lontani di quel che pensiamo.
La rabbia che non può essere lasciata andare è quella con cui ci identifichiamo, e fino a quando questa identificazione resta continuiamo a credere ciecamente nelle sensazioni di forza, di autorità, e di indignata rettitudine che la rabbia offre, magari ci piace incutere timore agli altri, ci piace avere il sopravvento, o esercitare un “giusto sdegno di alto profilo", mentre non ci piacciono calma, tranquillità, equanimità, le consideriamo cose da deboli, da sconfitti, da rassegnati, non le capiamo, e crediamo sia meglio starne alla larga.  

Un altro tipo di rabbia che non può essere lasciata andare è quella di cui non siamo consapevoli, quella che c’è, e che si radica e cresce in noi inosservata. Talvolta questo avviene quando ci siamo convinti o siamo stati convinti che non possiamo e non dobbiamo essere arrabbiati, che non abbiamo nulla di cui essere arrabbiati, e che dobbiamo ricacciare indietro anche il sospetto che sia così perché altrimenti correremmo il rischio di dar corpo e vita alle ombre. Sopprimere e nascondere.
Però quel che è ignorato, come ciò a cui siamo attaccati, resta lì dov’è, mentre il vedere la rabbia è il primo passo per liberarsene.

Come tu dici, certe volte sappiamo che c’è rabbia e proviamo paura della rabbia che cova in noi, il che può anche utilmente funzionare come misura di sicurezza, perché la rabbia può essere temibile e anche terribile.

Possiamo tuttavia provare a portare l’attenzione al sorgere della rabbia e al suo alternarsi o con-fondersi con la paura che la rabbia prenda possesso e ci domini: paura che protegge la rabbia che può essere eliminata solo avendone diretta e pratica consapevolezza.

Quello che dobbiamo fare è mantenere una vigile attenzione, nutrendola di fiducia. Quando percepiamo l’emozione, diamo un nome: rabbia o paura, che la rabbia ci possa piacere e dominare, e restiamo in contatto con l’emozione fino a quando questo stato cessa. E quando si ripresenta operiamo nello stesso modo. Talvolta tra la sensazione dell’emozione e l’attuale manifestarsi della rabbia passa solo una frazione di secondo, possiamo aiutarci comunque: sapendo che in certe situazioni familiari o sociali siamo inclini alla rabbia possiamo giocare d’anticipo. Inoltre talvolta l’esplosione di rabbia è preceduta da una sorta di ruminazione interiore che la prepara e che ci predispone, e anche ci avverte di quello che sta maturando. Sosteniamo allora l’attenzione inviando amorevole benevolenza a noi stessi: che io possa essere libero dalla paura della rabbia, che io possa essere paziente e calmo, che io possa lasciar andare questa paura della rabbia. Che io possa, alla luce della consapevolezza, vedere la rabbia e la paura della rabbia per quello che sono. Non potenze o divinità cui inchinarsi e sacrificare, bensì attaccamenti, abitudini, condizionamenti, delusioni e illusioni.